Il rumore delle posate di Ethan concentra tutta l'attenzione della famiglia su di lui. Il clima è pungente. Ho paura di fare male a qualcuno al solo respirare.
"Gwen, hai già cominciato a scrivere qualche essay per il college?"
Guardo mio padre con il boccone di carne a mezz'aria.
"Stai scherzando." ridacchio "Spero." aggiungo infilando la forchetta in bocca e masticando nervosamente.
"Daffodil ci sta già lavorando, mi ha detto Trevor." mormora, prende un sorso di vino bianco.
Guardo mia madre, lo imita.
"Daffodil non deve lavorarci, papà." scuoto la testa "Sua zia insegna a Yale, ha già un posto riservato."
Guardo Ethan ridacchiare e sorrido anch'io.
"Non dovresti parlare così di una tua amica, sai bene quanto si impegni."
Scuoto ancora una volta la testa. Non sa niente. Non sanno niente. Né di me, né dei miei amici, della loro vita, chi sono. Daffodil é la cosa migliore che mi sia mai successa. Ma non di certo si impegna per andare bene a scuola. Non gliene importa niente. Non conta. Non ha importanza. È solo qualcosa che si deve fare per forza.
"Hai già qualche idea?" chiede mio padre.
"Alla fine ti hanno preso alla radio del college?" guardo mio fratello in attesa della sua risposta.
Mi osserva interdetto.
"Sì alla fin-."
"Gwendoline, puoi rispondere alle mie domande prima di farne altre?" la voce di mio padre alza leggermente il tono.
Lancio un'occhiata a Ethan. Testa bassa sul piatto di pesce ancora integro. Mi sento così male per lui.
"Comunque per il diploma di Ethan ho scelto come colore il lilla." annuncio, gli occhi blu saettano su di me "Ovviamente non ti obbligherò ad indossare un completo lilla, però il fazzolettino nella tasca sì. E ovviamente tutti gli invitati dovranno rispettare il dresscode."
"Di cosa stai parlando?" mia madre mormora imbarazzata, un altro sorso di vino.
"Se tutto va bene tra pochi mesi Ethan prende il diploma e noi daremo una festa." annuisco "A casa nostra. Con un catering che prepari da mangiare."
"Tesoro, mi passi il vino?"
Guardo mio padre archiviare la conversazione sotto i miei occhi.
"Al resto penso tutto io." sorrido in direzione di Ethan "Non preoccuparti, sarà una bomba."
"Gwendoline." sento mia mamma richiamarmi.
"Cosa?" chiedo.
"Non credi dovrebbe decidere Ethan riguardo cosa fare? Lui non ci ha chiesto nulla, rispetta la sua scelta di non festeggiare."
Posso farcela.
"Lui non vi ha chiesto niente perché non vuole niente da voi. Non perché non vuole festeggiare."
"Gwenny.." guardo Ethan richiamarmi "Lascia perdere."
"No, non lascio perdere." borbotto "Non ho più voglia di lasciare perdere."
"Abbastanza, Gwendoline, ne ho abbastanza."
Mi ammutolisco davanti al pugno chiuso di mio padre che ha appena battuto sul tavolo facendo voltare le schiene di un paio di tavoli vicini nella nostra direzione.
"Possiamo pranzare, ora? Se non vuoi farlo per noi, Gwendoline, fallo per tuo fratello allora e comportati bene." aggiunge.
Guardo i suoi occhi chiari segnati dalle rughe. Non mi fanno più paura come da piccola. Non mi fanno niente. E forse questo mi fa paura.
"Già, perché ora riguarda Ethan. Cioè questo pranzo, riguarda Ethan. Non riguarda la pretesa di sembrare la bella famiglia perfetta, che va a pranzo fuori per festeggiare, tra vino costoso e vestiti firmati." sbuffo una risata "Riguarda Ethan, non riguarda voi e il vostro fottuto quadretto che avete paura che da un momento all'altro crolli e si spacchi in mille pezzi."
"Gwen, per favore." le dita di mio fratello si agganciano dolcemente al mio polso, lo so che vuole proteggermi. In fondo sono io la figlia preferita, probabilmente non vuole che i miei genitori riservino anche a me lo stesso trattamento che hanno riservato tutti questi anni per lui.
"Gwendoline, se non ti calmi ora ti pentirai per quello che succederà dopo. Ti sto avvertendo."
"Non mi calmo." rispondo a mio padre "Sono incazzata nera. Perché invece di preoccuparci del buco nero che c'è in questa famiglia in cui abbiamo buttato per anni e anni e continuiamo a buttare parole mai dette, discorsi banali, inutili, cazzate gigantesche e bugie ancora peggio, la vostra preoccupazione resta sempre e solo quella dell'apparenza." sto per singhiozzare, sento le lacrime pizzicare al fondo degli occhi "Perché mentre la carriera scolastica di vostro figlio va a gonfie vele e dovreste esserne fieri, siamo qua a bere vino per niente, vestiti eleganti come pagliacci, pretendendo di essere una famiglia ma senza sapere niente l'uno dell'altro."
"Gwendoline, adesso basta." interviene mia madre, sta per piangere anche lei, le tremano le mani ferme su quelle di Ethan.
"Vuoi sapere quali sono le mie idee per l'anno prossimo?" guardo mio padre fisso negli occhi del mio stesso colore "Mmhhh? Andare il più lontano possibile da voi."
Lancio il tovagliolo stroppicciato sulla sedia e volto i tacchi lasciando dietro di me il tavolo e le suppliche di mia madre. Mi passo una mano sotto l'occhio destro e caccio indietro i lacrimoni che tremano sotto il mio sguardo. Non piango. Non per loro. Non adesso.
Lo sbalzo termico dall'aria condizionata del ristorante al clima torrido delle due del pomeriggio a Portland lascia una scia di brividi sulle mie braccia scoperte. Sono così arrabbiata. Vorrei spaccare qualcosa. Guardo la strada davanti a me e vorrei avere tra le mani un piatto di ceramica per scaraventarcelo contro. Infilzo i palmi della mano con le unghie e inspiro profondamente. Passerà.In spiaggia non c'è nessuno. Tolgo i sandali con il tacco e lascio che i piedi doloranti si godano il contatto con la sabbia umida. Prendo posto su una piccola pietra all'ombra, le cuffiette nelle orecchie stanno suonando My Kind Of Woman di Mac Demarco mentre i miei nervi sembrano essersi rilassati. Merito della camminata. E di Mac Demarco.
Vorrei semplicemente fossimo più veri. Non ho mai avuto un compleanno solo noi quattro, con una torta magari fatta in casa poche ore prima, qualche festone da supermercato messo qua e là, un po' storto, ma pieno di affetto e sincerità. Era quello che volevo da piccola mentre la parrucchiera mi faceva i boccoli apposta per l'occasione e mamma mi trascinava nei negozi in cerca del vestitino perfetto. È quello che spero ancora adesso. Tornare a casa e trovare papà sul divano che legge un quotidiano mentre mamma mette i fiori freschi, che lui le ha appena portato, sul tavolo della cucina imbastito a festa. Dorothy che mangia con noi. Noi che ridiamo e prendiamo in giro Ethan che racconta di come cucini quando è da solo dall'altra parte del continente. E ci racconda com'è essere uno studente fuori sede. E poi papà che vuole che legga uno dei miei racconti. Insiste. Io emozionata che lo leggo sbagliando qualche parola qua e là, mentre mi scambio sguardi commossi con mamma. È tutto quello che vorrei. Una famiglia vera. Non da copertina di un magazine. Da copertina per il mio cuore. Da stamparmi in mente per quando mi mancheranno. Mi levo le cuffie arrabbiata. Non mi ero neanche accorta di essere in lacrime. Le asciugo velocemente con il dorso della mano e scuoto la testa.
"Gwen, hey, tutto bene?!"
La voce sottile di Aaron mi riporta sulla spiaggia. Alzo gli occhi su di lui.
"Cos'è successo?" mormora. Una mano sulla mia schiena, l'altra sulla mia spalla.
"Non voglio parlarne." mugugno tirando su con il naso. Il mio petto trema per i singhiozzi. Cosa mi sta succedendo? Avevo promesso di non piangere.
"Posso avere un abbraccio?" sussurro. La voce si spezza appena finisco la frase.
"Certo, Cameron, certo che puoi."
Sospira prima di avvolgere le braccia abbronzate intorno al mio corpo rannicchiato.
"Andrà tutto bene, Gwenny." parla piano vicino al mio orecchio. "Staremo meglio di così, te lo prometto."
Affondo la testa sulla sua spalla e chiudo gli occhi.
Vorrei solo scomparire in questo momento.
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never too far
Romance"Non lo so.." sospira "Tu ci credi alle anime gemelle? Io ci credo. E sono convinto che in un modo o nell'altro uno si ritrovi. Anche solo per qualche secondo mentre vi incrociate da qualche parte, dieci anni dopo, con due vite completamente stravol...