ventitré

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Apro gli occhi visualizzando davanti a me una distesa fittissima di un verde quasi surreale. Sollevo le sopracciglia mentre riprendo a respirare, sembra di essere stata in apnea per anni. Guardo le mie mani tastare il prato verde, tra le dita stringo una violetta, una margherita, un altro fiore giallo. Chissà cos'hanno pensato prima di essere travolti dalla mia mano. Mi alzo e comincio a camminare, non faccio fatica, sembra quasi che i piedini vadano da soli.
Davanti a me c'è un arco in pietra. Scolpito. È bellissimo. Guardo i dettagli nella pietra, sembrano petali, foglie, angeli. Abbasso lo sguardo su di me e sul tessuto che ricopre il mio corpo. Una danza di pizzo e merletti, tulle e perline. È un abito da sposa. Mi porto una mano tra i capelli, sono chiusi in uno chignon ordinato. Riesco a tastare con i polpastrelli le forcine. Continuo a camminare a piedi nudi, nonostante lo strascico del vestito attraversi il prato con me. Passiamo sotto l'arco venendo invasi da una luce fortissima. Dove sono? Cerco di chiudere gli occhi ma è più forte di me. La luce è accecante, stringo più che posso le palpebre che non me vogliono sapere di muoversi. Mi volto, non c'è più niente, c'è il vuoto. Davanti a me la luce. Resto in ascolto, sento una musica arrivare da lontano. Arriva dalla luce, mi chiedo? Riprendo a camminare. Sotto di me non c'è più il prato. Sto volando. Sto volando mentre sento la musica. Sbuffo una risata. Sto ridendo, in volo, con la musica. La luce si fa sempre più vicina, sento gli occhi lacrimarmi per l'impatto. Perché non posso chiuderli? È come se stessi sognando e non volessi svegliarsi. Non so più cosa sia la realtà e il sogno. La soglia è flebile. Prendo coraggio e fisso lo sguardo sul punto da cui arriva la luce. Lo raggiungo, con l'abito da sposa, in volo. Lo raggiungo e lo guardo. Mi fa segno di avvicinarmi. Mi avvicino. Siamo ad un centimetro di distante. Non ci va niente per avvinghiarla e spegnerla. Perché non riesco a farlo? Alzo un braccio con fatica. Poi l'altro. Stringo tra le mani il punto di luce. Ce l'ho impugno. Posso farcela. Cerco di sdradicarlo dalla sua posizione ed è difficilissimo. Stringo i denti. I muscoli non reggono. Devono reggere. Ce la posso fare. Lo sento cedere, lo spingo via, di nuovo buio, ce l'ho fatta?

A fatica muovo le pupille sotto le palpebre socchiuse. Vorrei aprirle ma mi sento come dopo aver fatto serata. Con un mal di testa lancinante, corpo dolorante, occhi pesanti. Prendo un respiro e schiudo a fatica l'occhio destro mentre vengo invasa da una luce fredda puntata proprio sulla mia faccia.
"Gwenny!"
"Dottore! Chiamate un'infermiera o un dottore, si sta svegliando."
"Oddio Gwemny!"
Non riconosco le figure davanti a me, le vedo annebbiate e le loro voci mi arrivano piuttosto da lontano. Dove sono? Guardo il camice bianco avvicinarsi a me e la vista farsi più chiara. Due camici più scuri lo affiancano.
"Gwendoline, riesci a sentirmi?"
Ha una voce profonda. Bellissima. Incrocio i suoi occhi scuri dietro le lenti trasparenti degli occhiali. Annuisco mentre mi sforzo di parlare. Non esce niente. Perché non riesco a parlare? Respiro più forte mentre il battito accelera.
"Gwendoline, hey, va tutto bene." annuisce prendendomi la mano "Ripeti con me. Gwendoline."
"Gwend." gemo. La mia voce trema e gracchia.
"È normale, Gwendoline."
Avrà cinquant'anni. Lo guardo sorridermi mentre accarezza la mia mano. La guardo, per poco non svengo alla vista dell'ago piantato su di essa. Più il là, la mia gamba è tenuta su da un'attrezzatura. Ho un gesso per tutta la coscia fino ad arrivare alla caviglia, coperta anch'essa fino a metà piede. Trattengo il fiato per un attimo mentre percorro il mio corpo con lo sguardo fino ad arrivare al braccio. Il sinistro. Coperto anch'esso dal gesso. Cosa cazzo mi è successo.
"Guarda me, cara."
Lo guardo.
"Riesci a dirmi il tuo nome e cognome?"
Prendo un respiro profondo prima di aprire di nuovo la bocca.
"Gwendoline Cameron."
"Benissimo, Gwendoline Cameron. Quanti anni hai?" parla mentre abbassa lo sguardo su una cartellina di cartone, appunta qualcosa ma non lascia la mia mano. La stringo un po' di più.
"Diciassette." sussurro.
"Bravissima. E dove abiti?" continua.
"Newport Beach, Rose Street, 24."
"Benissimo, Gwendoline." si scambia uni sguardo con le infermiere "Ricordi cos'è successo?"
Lo guardo. Quanto tempo è passato? Da quanto tempo sono in questa stanza? E se fossero passati sei mesi? Ho ancora 17 anni. Però se mancassero pochi giorni al mio compleanno?
"Gwendoline, riesci a dirmi cos'è successo?"
Sbatto più volte le palpebre prima di tornare sotto lo sguardo del medico davanti a me.
"Un incidente." mugugno "In auto."
Ripercorro velocemente i pochi attimi prima dell'impatto. Non ricordo granché. Solo il mio grido, forse troppo tardi, e poi la macchina sbandare. La mia mente si ferma su un pensiero. Edward?
"Okay, bene. Ora Gwendoline ti chiedo di seguire con lo sguardo questa piccola pila rossa. La riesci a vedere?" chiede. Annuisco.
"Ora la accenderò e la muoverò davanti al tuo viso. Ti chiedo di seguirla."
Obbedisco ai suoi ordini. Devo chiedergli di Edward. Devo sapere.
"Lui." mugugno "Lui come sta?"
"Ti devo chiedere ancora di guardare verso l'alto, e poi verso il basso, Gwendoline. Abbi ancora un attimo di pazienza."
Seguo di nuovo ciò che mi dice. Perché non risponde?
"Bene, Gwendoline. Molto bene. Riesci a muovere le braccia? Beh, ovviamente non ti chiedo di riuscire a muovere il gomito sinistro. È stato fratturato durante l'impatto. Ora hai un tutore di gesso, tra quattro settimane potrai toglierlo."
Rivolge lo sguardo alle infermiere bisbigliando qualcosa. Torna con gli occhi scuri su di me.
Muovo come riesco le braccia, poi le dita, le gambe. Mi guarda con un'espressione tra lo sconvolto e lo stupito. Non riesco a decifrarlo. Mi sento in una bolla di sapone profumato. Che sa di ospedale però
"Ora, Gwendoline, ti chiedo di riposare." avvicina una mano alla mia guancia "Va bene? Torneremo tra un paio d'ore per sottoporti ad altri test. Hai avuto un coma causato da un forte trauma cranico, dovuto all'impatto. Lesione di tipo chiusa."
Sento gli occhi riempirsi di lacrime. Mi sento così sola in questa stanza, in questo momento. Sarei potuta morire?
"Dopodiché potrai ricevere qualche visita. Ora devi stare tranquilla. Non piangere." annuisce "Stai bene. Hai un angelo custode, lo sai?"
Piagnucolo in silenzio prima di chiudere le palpebre. Cosa vuol dire che ho un angelo custode? Gli angeli custodi non sono morti? Non è gente morta che ti guarda dall'alto? Perché me l'ha detto? Chi è morto? Resto immobile nel mio letto e guardo le due ragazze vestite di azzurro. È morto lui?

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