ventiquattro

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Guardo Jonathan misurarmi la pressione e penso che probabilmente non potrei mai fare il medico. Senza ammazzarmi.
"Ottimo, Cameron." mormora "Nella norma." annuisce e passa un dito sul mio naso "Perché sei sempre così triste?"
"Non lo sono." spiego passando la mano sul gesso ormai ricoperto da scritte e disegnino lasciati dai miei amici e da Ethan "Sono solo pensierosa. e frastornata."
"Beh, chiaramente." sorride appena "È decisamente comprensibile. Per questo, in quanto tuo medico, mi sono permesso di inserirti in qualche incontro con uno psicologo."
Lo osservo e mi mordo l'interno della guancia.
"È un problema per te?" domanda "Io credo che al di là di tutto sia comunque positivo parlare di certe cose con qualcuno di estraneo."
"Va benissimo." ammetto "Davvero. Ci andrò."
"Sogni ancora l'incidente di notte?" domanda.
"No."
Mi osserva, da dietro gli occhiali. Sbuffo stizzita e alzo gli occhi al cielo "Sì, lo sogno."
"Gwen, però così non andiamo bene." mormora "Devi dirmi la verità. Lo sai questo? Non hai subito danni cerebrali ma ciò non significa che sei fuori pericolo. Il tuo trauma cranico va seguito e tenuto sotto controllo."
"Ha ragione, scusi." mugugno "Sì, lo sogno."
Annuisce e appunta qualcosa velocemente su un foglio nella mia cartella.
"Bene, tra poco c'è il pranzo." annuisce "Cerca di mangiare la verdura." mi rimprovera "Così vedi che la pancia gonfia scompare."
"Non è cacca." commento "È che qua è tutto molle. Mi irrita."
"Cameron." mi richiama, una mezza risata "Ci vediamo domani?"
Annuisco e sorrido anch'io mentre lo saluto con la mano.
Non so quanto dovrò ancora stare qua. Sono passati dieci giorni da quando mi sono svegliata. Ma i controlli ci sono ogni giorno. Poi la fisioterapia. La logopedista. Ora lo psicologo. Mi sento frastornata. E goffa. La gamba mi impedisce qualsiasi movimento, la fisioterapia sta aiutando ma andare in bagno da sola è ancora un'ardua impresa. Macarena infatti penso odi la mia vescica poco resistente.
Lancio uno sguardo alla finestra, il sole penetra e colpisce appena la mia gamba coperta dal lenzuolo. L'aria condizionata qua dentro è allucinante. Ho chiesto più volte di alzare la temperatura perché sentivo freddo. Loro dicono che il caldo aumenta il prurito al gesso. Ma io mi sento congelare persino le dita dei piedi. Abbasso gli occhi sul mazzo di girasoli, alcuni più freschi, altri ormai da buttare, che ho collezionato. Oggi non è ancora arrivato. Ma sono dieci giorni che arriva, anzi, sedici. Ma di lui non ce n'è traccia. Non si è presentato. Aaron ha risposto che è meglio così per lui. Peter dice che probabilmente ha paura di creare casini con Aaron e vuole tenersi a distanza. Per Jackson si vergogna e ha paura di vedermi così. Daffodil non si esprime, l'ha solo definito coglione bastardo. Vorrei chiamarlo. Dirgli che se non avessi una palla al piede come la gamba ingessata scapperei dall'ospedale per vederlo. Non ho rabbia. Non ho rancore. Sono convinta che sia stata sfortuna. Tanta sfortuna. Chiudo gli occhi e riesco ancora a vedere il suo sguardo incantato con il mio. Non avrebbe mai voluto farmi del male. Sono solo felice che siamo vivi entrambi. Lo sono. Davvero.
Apro un mezzo occhio e noto Macarena sulla porta.
"Hey!" la saluto "Tutto bene?"
"Certo, tu?" si guarda intorno, deve dirmi qualcosa.
"Bene." rispondo "Uhm, che succede?"
"No, nulla." sospira avvicinandosi al letto "Mmhh, è venuto il ragazzo dei girasoli sta mattina?" mi chiede. Sento il cuore palpitare nel petto.
"Non ancora." la guarda "Perché?"
Mi osserva e sospira, un mezzo sorriso sul volto.
"C'è un bel ragazzo in sala d'aspetto, da mezz'ora, con un girasole in mano." spiega. È lui.
"Digli di entrare. Ti prego. Diglielo." la scongiuro affannata "Altrimenti vengo io eh."
"Che scema." scuote la testa "Dove vuoi andare?"
"Maca, per favore." mugugno.
"Lo sai che è ora di pranzo." mi guarda.
"Un'eccezione." bisbiglio "Poi se qualcuno ci scopre, lo cacciamo via e tante belle cose." la guardo con gli occhi dolci.
"Dieci minuti." alza l'indice nella mia direzione "Vi do dieci minuti."
"Vanno benissimo." sussurro "Benissimo. Ti adoro Macarena, grazie."
"Vado a chiamarlo." mormora "Dieci minuti però. Ricordati."
Mi metto a sedere e mordicchio il labbro inferiore mentre giocherello con la benda del gesso leggermente consumata e sfilacciata. Guardo l'ingresso ancora vuoto e sospiro. Spero con tutto il cuore che trovi il coraggio di entrare. Voglio vederlo. Desidero vederlo con tutta me stessa.
Sento i passi avvicinarsi. Un paio di secondi ed è di fronte a me. I miei occhi si impigliano nei suoi verdi, sorrido appena mentre sento gli occhi riempirsi di lacrime. Pensavo di non vederlo mai più.
"Hey." sussurro. Resta fermo dov'è, in una t-shirt bianca e pantaloni neri. I suoi capelli sono cresciuti ulteriormente, lo fanno sembrare quasi un principe con i boccoli che scendono vicino alle orecchie. È bellissimo.
"Hey." risponde, abbassa lo sguardo sul girasole tra le sua mani "Ehm.." si schiarisce la voce ma non dice niente.
"Mettilo pure lì." indico il vaso in ceramica colorata.
"Come va?" mi chiede avvicinandosi al letto.
"Bene." annuisco "Abbastanza bene."
Guarda la gamba ingessata e successivamente il braccio. Fortunamente in viso non si vede quasi più nulla, se non giusto i due punti sulla fronte. Nemmeno sul suo viso ci sono i segni del pugno di Aaron, se non giusto un alone giallino a livello della palpebra destra.
"Fa male?" chiede indicando il gesso.
"Ora non più." annuisco "Tra due settimane mi tolgono il tutore al braccio." spiego "Per la gamba devo aspettare ancora un mese."
Sospira rumorosamente passandosi una mano sul volto.
"Edward." lo chiamo "Puoi sederti qua per favore?" indico la sedia vicino al mio letto e lo guardo.
Prende posto in silenzio, non sa cosa dire e nemmeno io.
"Mi dispiace Gwendoline." mormora "Veramente."
"Non è stata colpa tua."
"Sì." mi interrompe "Lo è stata. Non stavo guardando la strada, avrei potuto frenare prima e non sterzare, così avrei evitato sia il ragazzo che il camioncino." la sua voce trema, il respiro è irregolare "Mi dispiace da morire perché guidavo io ed è stata colpa mia. Non avrei mai e poi mai dovuto distogliere lo sguardo dalla strada."
"Edward.." bisbiglio afferrandogli una mano "Hey."
"No, Gwen, davvero." sta per piangere "Io non credo di riuscire a guardarti di nuovo in faccia e parlarti come se niente fosse successo. Mi sento talmente in colpa che non sono riuscito neanche a venire qua. Non riuscivo nemmeno a guardarti." tira su con il naso e si passa una mano sugli occhi bellissimi ora pieni di lacrime "E sono un coglione perché sembrava che non me ne fregasse niente perché mentre gli altri erano qua a fare di tutto per farti svegliare, io non ci sono mai venuto. Perché mi sentivo tremendamente in colpa e avevo paura che vedendoti mi sarei fatto del male."
"Ed." lo richiamo, sto piangendo anch'io "Per favore, smettila."
"Mi dispiace, Gwendoline, per tutto." mormora guardandomi finalmente "Per la macchina ho già pagato tutto io."
"No, Ed.."
"Ti pagherò anche la fisioterapia che dovrai fare dopo." annuisce "Qualsiasi cosa."
"Edward, lo sappiamo entrambi." lo guardo "Non è un problema per me." scuoto la testa "Per i miei, intendo, lo sai. Sappiamo anche per cosa stai risparmiando. Non voglio che spendi i tuoi risparmi per qualcosa di cui non hai colpe." stringo la sua mano un po' di più "Eravamo nel posto sbagliato al momento sbagliato."
"Non riesco più a dormire." confessa "Non riesco a non pensarci. Lo faccio continuamente. Mi sveglio nel mezzo della notte sudato, dopo aver chiuso occhio per boh mezz'ora? Con l'immagine di te a terra. Inerte. Vorrei semplicemente togliermela dalla testa perché ho veramente pensato di averti uccisa e.."
Scoppia a piangere come un bambino e affonda la testa nel lenzuolo bianco che copre la mia gamba sana. Accarezzo i suoi capelli mentre cercando invano di calmarlo.
Pensavo di averti uccisa.
"Ed." lo richiamo "Va tutto bene." alza leggermente la testa per guardarmi ed io allargo le braccia. Pochi secondi e lo stringo con il braccio funzionante e con la mano accarezzo i capelli. Respiro a pieni polmoni il suo profumo.
"È tutto a posto." bisbiglio "Non piangere." annuisco "Sto bene. Stiamo bene."
"Riuscirai mai a perdonarmi?" mugugna sulla mia spalla.
"Non ti ho mai condannato." spiego "Sei tu che devi perdonare te stesso." bacio la sua guancia umida "Mi dispiace per l'occhio comunque."
"Me lo sono meritato." annuisce.
"No, è Aaron che è troppo impulsivo." scuoto la testa mentre sciogliamo il contatto fisico. Si passa una mano sugli occhi arrossati e sorride appena "Erano due settimane che aspettavo di piangere."
"Potevi venire prima." lo guardo.
"Non sapevo come avresti reagito." ammette "E i tuoi genitori non credo mi volessero qua."
"Io ti volevo." bisbiglio "E ti voglio."
Sorride, spontaneamente, anzi, un velo imbarazzato "Ti mandavo i girasoli a guardarti per me."
"È stato un bel gesto." annuisco e sorrido anch'io "Quando torni a trovarmi?"
"Uhm, domani?" mormora.
"Domani." ripeto "Ci conto."
Lo guardo "Sai cosa dicono i medici?"
Scuote la testa.
"Che ho avuto un angelo custode." guardo i girasoli "E lo penso anch'io."
Li guarda anche lui, si tortura l'anello sul pollice per poi riportare lo sguardo su di me "Dici che hanno funzionato? Hanno vegliato su di te?"
"Io dico di sì."
"Sono felice." sussurra "Sono veramente felice che tu sia qua."
Mi perdo nei suoi occhi verdi per un altro po' prima di sentire i passi di quella che credo sia Macarena avvicinarsi alla mia camera.
"Vai!" bisbiglio "Mi raccomando ci vediamo domani."
Ridacchia mentre sgattaiola fuori dalla camera dai muri aranciati. Sospiro e infilo le cuffiette facendo partire una canzone in particolare. Una canzone che mi sembra fatta apposta per lui.
Green Eyes dei Coldplay

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