trentaquattro

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Vorrei poter dire che va tutto alla grande. Vorre poter dire che ho risolto con Daffodil ed è tutto come prima. Vorrei poter dire che non ho più avuto un attacco di panico dal primo giorno di scuola. Vorrei poter dire di non aver cominciato ad avere, per la prima volta in diciassette anni, problemi con il mio corpo. Però non posso dirlo. Perché non va per niente bene. Ho paura di aver toccato l'apice della felicità tra feste, alcool, amici, finalmente il primo bacio, ed ora star lentamente discendendo verso non so cosa. Il vuoto, probabilmente. Non ho mai saltato scuola. Oggi è la prima volta. Sono salita sull'auto di Daffodil che già piangevo e ho dato di matto dopo nemmeno 500 metri. Le cicatrici nel palmo della mano peggiorano a vista d'occhio. Cerco di tenere le unghie più corte possibili ma ho paura che se non mi sfogo così, finirò a colpire un'altra parte di me. Sono un casino.
Sospiro pesantemente mentre tiro il lenzuolo sul naso e cerco di riprendere a respirare regolarmente. Le mani tremano ma sono strette intorno al lenzuolo grigio. Ho cacciato letteralmente Daffodil, voglio stare sola in questi momenti. Mamma per fortuna è andata in ufficio presto. Papà non dovrebbe tornare. Ethan è tornato al college per completare le ultime cose, anzi, tra qualche settimana dovremmo raggiungerlo per assistere alla consegna dei diplomi. La sola idea di salire su un aereo mi scortica il petto. Quando comincia ad andare meglio? Quando si comincia a stare meglio di così?
Mi accoccolo meglio sotto le coperte mentre mi concentro su Hozier che ha appena cominciato a canticchiare in sottofondo. Con Daffodil sì, abbiamo chiarito ma è ferita e si vede. A volte si perde a guardarmi, mi si spezza il cuore, vorrei poterci fare qualcosa ma non posso. Non posso nominare Edward, anche solo un commento su un ragazzo carino le fa male. E lo capisco. Però lui mi manca. Diamine, se mi manca. Ci rivolgiamo malapena il saluto. Jack sgattaiola qualche volta da Marissa durante il pranzo ma il piano di formare un fantastico gruppo di sette elementi è sfumato pian piano. Daffodil é visibilmente infastidita dalla presenza del riccio. L'ha capito da solo. Ha inventato una scusa dopo l'altra, finché hanno ricominciato ad essere lui e Marissa in un tavolo, io e gli altri un altro. Ho iniziato a riprendere i tranquillanti e le gocce per dormire ma non sembrano fare effetto. Penso troppo ed esageratamente. Mi sento morire quando mi prendono. Mi sembra di non riuscire più a respirare, di dimenticarmi come si fa. Voglio solo stare bene. Ho cominciato anche a saltare i pasti. Ho iniziato a pensare anche a quelli, a quante calorie assumo, a cosa assumo. Mai fatto. In diciassette anni. Di solito salto la cena. È più facile. Non c'è nessuno che possa farmelo notare.
Il mio telefono vibra sopra il comodino. Lo raggiungo con una mano svogliata, dovrò pur far sapere a qualcuno che sto bene.

da Edward Styles:
12:03pm
Hey, tutto bene? Non ho lezione oggi pomeriggio perché la classe di musica è stata rimandata. Se ci sei, passo da te. Ho bisogno di parlarti.

Sento il cuore fare un tuffo in gola. Non può davvero vedermi in queste condizioni. Assolutamente.

a Edward Styles:
12:05pm
Ho la febbre. Non passare. Ci vediamo domani se mi riprendo e parliamo a scuola.

Mi alzo in piedi quando mi vibra l'apparecchio elettronico tra le mani. Stava aspettando la mia risposta?

da Edward Styles:
12:05pm
Troppo tardi, sto già arrivando.

Boccheggio per un secondo prima di mugugnare un lamento e filare in bagno per sistemare lo stato in cui sono finita. Come posso ridurmi sempre così?  Strucco il mascara ormai colato e mi lavo il viso con un detergente più o meno profumato prima di sgattaiolare nell'armadio in cerca di una t-shirt che non sia umida a causa delle lacrime e del muco. Che schifo. Davvero. Infilo un paio di pantaloni lunghi di tuta e pettino ancora i capelli raccogliendoli in una treccia morbida. Mi guardo allo specchio e le mie occhiaie fanno paura. Mi dispiace. Mi dispiace veramente tanto per me stessa.
Pochi secondi e sento la macchina fare manovra dalla finestra di camera mia. Scendo di sotto velocemente e apro la porta di ingresso.
"Hey tu." sorride, la chitarra su una spalla, la tracolla sull'altra.
"Ti trasferisci?" chiedo.
"Non mi va di lasciare tutto in macchina, è un problema?" domanda. Pensa che sia veramente seria.
"Stavo scherzando." sorrido appena "Vieni."
"Allora, febbriciattola." sospira "Com'è?"
"Male, suppongo."
"In effetti, che cera." commenta, le sopracciglia aggrottate "Quanto hai?"
"Cosa?" chiedo.
"Di febbre." sbuffa una risata. Mi ha già sgamata.
"Oh, uhm, 38.." annuisco mentre saliamo le scale, meglio tornare in camera ed evitare collisioni ravvicinate con Dorothy o mia madre.
"Daf mi ha detto che avevi la dissenteria." si intrufola in camera e mi blocca il passaggio piazzandosi di fronte a me. È serissimo.
"Ho anche quella." mi porto una mano sulla pancia "Infatti, se mi vuoi scusare, vado in bagno."
Le dita affusolate agganciano il mio polso magro. Abbasso lo sguardo sul tappeto mentre sento il suo profumo nelle narici. Quanto mi era mancato.
"Gwen, per favore." mormora "Dimmi che c'è."
Vorrei abbracciarlo e dirgli che da quando ha messo piede in quella porta, non sto pensando più a niente. Non sento il cuore scoppiare. Respiro bene. Sto bene.
"Sto bene." mugugno. Non trovo la forza per guardarlo. Posa le sue cose vicino al letto e si siede facendomi segno di raggiungerlo.
"Ti osservo da due settimane e tu chiaramente non stai bene." le sue mani stringono le mie "È colpa mia?"
"No!" esclamo "No, dio, Edward, no. Sono solo incasinata anch'io. Ma non c'entri. Davvero. Anzi.."
"Anzi?"
Lo guardo. Indossa un maglioncino leggero grigio. Jeans neri. Vorrei baciarlo ma non posso.
"Vabbe." sospira e scioglie il contatto fisico "Cosa sta succedendo, Gwendoline, uhm? Con Daf hai chiarito no? L'hai detto tu stessa. Di vivere. Perché ti stai tirando Indietro?"
Sento gli occhi riempirsi di lacrime "Hai fatto bellissimo discorso, a tal punto che avrei un voluto registrarlo per poter sentire la tua voce dirmi che bisogna vivere minuto per minuto. Perché ti sei spenta?Che cosa-" si zittisce nel momento in cui un mio singhiozzo copre la sua voce, poi un altro ed un altro ancora. Premo la testa sul suo petto mentre scoppio a piangere. Mi fa male il petto. Ancora una volta.

Edward accarezza i miei capelli mentre siamo stesi sul letto, io la testa sul suo stomaco, lui la schiena appoggiata ai cuscini vicino alla testata del letto. Abbiamo solo cambiato posizione per cambiare la musica. Ho persino chiuso la porta a chiave per non dover avere il pensiero di qualcuno che entra d'improvviso.
"Vuoi mangiare qualcosa?" bisbiglia. Scuoto la testa e mi stringo un po' di più a lui "Okay." ridacchia "Però ti devo avvisare, ho una cena."
"Che ore sono?" mormoro. Ho ancora gli occhi chiusi.
"No, beh, le tre e trequarti." mi bacia i capelli "Ti avvertivo, girasole."
Spalanco le palpebre prima di voltarmi velocemente verso di lui. Mi ha di nuovo chiamata girasole?!
"Che c'è?" mi osserva. Ghigna, lo sa benissimo.
"Perché fai così?" mi esce più come un lamento.
"Così come?" indugia sul mio viso prima di tornare a guardarmi negli occhi.
"Dici di voler tempo e poi mi chiami girasole."
Sospira pesantemente prima di allungare le dita a riportare una ciocca sfuggita alla treccia, ormai quasi sciolta, dietro il mio orecchio destro.
"Di cosa volevi parlarmi?" domando.
Sbuffa leggermente mentre si mette a sedere più comodo, seguo i suoi movimenti e mi metto al suo fianco.
"Che mi piaci, Gwen, anche se sono incasinato." annuisce "Volevo dirti che tempo ne abbiamo entrambi poco e quindi meglio farlo, prima che sia troppo tardi."
Sento il vuoto nel petto in cui il cuore sta facendo un triplo salto carpiato. Perché è tutto così difficile?
"Ed.." bisbiglio mentre mi lascio andare ad un rumoroso sospiro.
"No, Gi, sul serio." allunga le mani sul mio viso "Voglio te."
Sta per appiccicare le labbra alle mie
"Edward." lo richiamo mentre porto le mie mani sulle sue ferme sulle mie guance, è dolcissimo in questo momento "Non posso." mugugno "Non posso davvero."
"Perché no?" gli esce un sussurro spezzato. Lo sto ferendo anch'io? Ci stiamo facendo del male ancora prima di innamorarci l'uno dell'altra?
"Perché è difficile." mormoro "E non posso davvero ferire altre persone in questo momento."
"Lo stai già facendo." abbozza un sorriso amaro "Dio, Gwendoline." sospira "Sei stata tu a venire da me."
"Lo so, lo so." stringo ancora le sue mani "È che sono successe mille altre cose nel frattempo ed io, Edward, davvero.. Sono... instabile. Non posso. Non.."
"Non ho paura di chi sta male, Gi." mi guarda dritto negli occhi "Ti ho messa io in questo casino."
"No, Edward, niente di tutto ciò è colpa tua." scuota testa "È complicato."
"Non mi importa se sarà complicato. Voglio solo che tu stia meglio di così."
"E tu credi di poterlo fare?" sciolgo il contatto fisico tra di noi per gesticolare all'aria "Aiutarmi a stare meglio? Una pretesa un po' esagerata, direi, non credi?!"
"Dimmelo tu, allora." continua a indugiare sui miei occhi "Dimmi che con me stai solo male."
"Edward, ti prego." mormoro "Ti scongiuro."
"Dimmelo, Gwendoline."
Sospiro frustrata e spingo la fronte contro il suo petto. Sto di nuovo per piangere. Cosa sarà? La quinta o sesta volta di oggi?
"Vorrei stare bene con te, Ed." mugugno. Alzo gli occhi sui suoi, incrocia le nostre dita. Darei l'anima al diavolo per baciarlo in questo momento.
"Ma ho bisogno di un altro momento con me stessa." bisbiglio "Mi dispiace."
Spezza il contatto tra le nostre mani mentre si alza e comincia a radunare le sue cose. Com'era quella canzone?

I'd love you
But I need another second to myself

Mi mordo le labbra mentre lo guardo allontanarsi "Mi dispiace, Ed. Veramente."
Mi guarda. I suoi capelli sono di una lunghezza incantevole, ricadono boccolosi ai lati delle guance magre "Dispiace anche a me." annuisce prima di sparire per corridoio. Butto la testa all'indietro e porto il lenzuolo fin sopra il naso.
Voglio solo sparire per un paio di giorni dalla faccia della terra.

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