quattordici

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È quasi passato un mese dal ballo di fine scuola che ha dato finalmente inizio all'estate e mi sembra che mi stia scivolando il tempo tra le mani. Non me ne sono resa neanche conto che sia arrivato già un altro mese, persa tra lo skate, la tavola da surf e il sole della California. L'estate è la mia stagione e non ci sono orari, non ci sono date. C'è solo dormire quando le palpebre non ne possono più di stare aperte, alzarsi quando il sole è già alto e batte insistentemente sul tuo viso addormentato, mangiare quando lo stomaco brontola ed esclusivamente cosa si vuole in quel momento. Amo l'estate e il sentimento di libertà che mi dà. Nessuno può togliermelo.
Scendo al piano di sotto guardando lo schermo del telefono con gli occhi ancora assonnati. Scarto le notifiche dei vari social e compongo il numero di Ethan restando in attesa.
È partito con un paio di amici per trascorrere qualche settimana da un compagno di college in Spagna, Europa.
"Hola chicoooooo!" esclamo ridendo mentre incastro il telefono tra orecchio e spalla in modo da avere le mani libere per fare colazione.
Guardo i pancakes fumanti, segno che Dorothy ha pulito le stanze al piano inferiore questa settimana e ha pensato di lasciarmi la colazione. Trattengo un grido di emozione e mi lancio sul piatto che contiene i dolci guarniti da sciroppo d'acero, zucchero filato e frutta fresca tagliata a cubetti.
"Gwenny!" ridacchia il biondo dall'altra parte dell'apparecchio "Hai preso lezioni private di spagnolo?"
"Sono le uniche due parole che so." ammetto con la bocca piena.
"Stai pranzando?" chiede.
"No... in realtà sto facendo colazione."
Lo sento ridere di gusto, sicuramente sta scrollando la testa e alzando al cielo gli occhi blu.
"Colazione a quest'ora?" mormora divertito.
"Saranno le undici, che problema c'è?"
"Assolutamente nessuno. Noi stiamo uscendo, andiamo a prendere un cocktail in centro prima di uscire a cena." dice "C'è un po' di casino scusa."
"In effetti." commento distinguendo qualche voce maschile di sottofondo.
"Eccomi, scusa. Sul balcone si sta decisamente meglio."
"Come va?" domando affondando la forchetta nella pasta soffice del pancake.
"Da dio, Gwenny, qua è veramente bellissimo."
Lo immagino allungare i piedi sul balcone, il sole che sta per tramontare che riflette sulla pelle appena abbronzata.
"Dovresti venirci un giorno."
"Mi avessi invitata." fingo un tono offeso e butto giù un altro boccone di colazione "Sarei venuta volentieri."
"Dai, non fare così. Mi sta pagando tutto lui, non potevo subaffittare casa sua."
"Sisi." mugugno, la bocca piena "Certo." faccio la scarpetta con un dito e bevo un sorso del succo che Dorothy mi ha lasciato affianco al piatto. È all'ananas, è il preferito di Ethan.
"Dorothy mi ha lasciato il succo all'ananas." ridacchio "Mi sa che si è confusa."
"Dorothy." sospira "Sta invecchiando anche lei."
"Vorrà dire che mi berrò il tuo succo con piacere." annuisco anche se non può vedermi.
"Brava, fallo con piacere anche per me."
"Mi manchi." mugugno "A casa non c'è mai nessuno. Poi mamma parte per la crociera con le amiche, lo sai?"
"Assurdo, ma quali amiche poi?" borbotta il ragazzo dall'altra parte del telefono.
"Quelle del centro educativo." sbuffo una risata "Dovrà andare con l'amante."
"Dai Gwendoline." mi riprende.
"Era per dire!" mi difendo "Comunque pensavo poi di organizzare qualcosa a casa. Avendola libera."
"Cameron." mormora.
"Guarda che non devi chiamarmi per cognome anche tu, siamo fratelli."
"Lo so ma è più minaccioso." ammette "Dicevo, Cameron, mi raccomando."
"Dio Ethan, lo sai che stai invecchiando? Ora devo andare comunque, ci sentiamo domani?"
Non devo andare da nessuno parte ma so che è in vacanza e non posso rubargli due ore solo per raccontargli dell'onda magnifica che Peter ha cavalcato ieri o del nuovo tatuaggio che Aaron ha in programma di fare.
"Certo trappola." bisbiglia "Ci sentiamo. Stammi bene."
"Anche tu. Ciao." sorrido all'apparecchio consapevole che non mi veda nessuno e infilo le stoviglie sporche nella lavastoviglie prima di salire al piano di sopra a togliermi il pigiama. Il mio telefono squilla insistentemente, sbuffo prima di mettere a fuoco il nome che illumina lo schermo. Aaron. Cazzo, oggi era il giorno della gita in barca.

Odio il sudore. E in questo momento sono un bagno. Sento gli occhiali da sole scivolare sul naso per la corsa che ho fatto dal parcheggio fino al pontile. Un tragitto breve ma decisamente intenso.
"Gwendoline Cameron."
Sento la voce leggermente graffiata del mio migliore amico e lo guardo con occhi da cane bastonato.
"Mi dispiace." mugugno.
"No, un cazzo, lo sapevi benissimo e dovevi essere puntuale. Partiamo senza di te." borbotta, gli occhi azzurri sono coperti dai Rayban ma so che stanno ridendo.
"Intanto mi avete aspettata." boccheggio e sporgo la borsa frigo "Ho portato le birre. Fresche."
"Sì, certo." le braccia incrociate sul petto nudo abbronzate "Solo questo?"
"Dai, Peter. Lo sai che ti adoro. Scusami. Mi sono dimenticata di mettere la sveglia e lo sai che appena mi alzo sono in coma, non mi è proprio venuto in mente."
faccio il labbruccio mentre coinvolgo anche gli altri "Dai ragazzi datemi una mano."
"Io la perdono." mormora Daffodil "É una tossichella, si è dimenticata."
"Dai." ribatto "Fammi salire Adams e partiamo, che siamo già in ritardo. Troverò il modo di farmi personare."
Afferro la mano tesa di Aaron e salgo a bordo lasciando un bacino sulla guancia a Peter che mi guarda fingendosi offeso.
"Scusa." mugugno ancora prima di riparare le birre dal caldo mettendole in frigo.
Abbandono lo zaino all'interno della barca a vela e raggiungo gli altri, Peter è alla guida.
"Fatto serata ieri?" mi riprende Aaron dandomo in pizzicotto sulla parte del pelle lasciata scoperta tra gonna e top.
"Aia." mi lamento "E no, scemo, se non faccio serata con voi con chi la faccio?"
"Ah non so cosa fai lì, con i tuoi amici del corso di scrittura." mormora prendendomi in giro.
"Stronzo." lo riprendo "Lo sai come sono."
"Come sono?" ci interrompe Edward intrufolandosi nella conversazione. Sollevo le sopracciglia e abbozzo un sorriso di circostanza. Ci sono anche lui e Marissa?
"Hey, non sapevo ci foste anche voi." esclamo.
"In realtà solo io."
Lo guardo, a petto scoperto, un costume scuro fascia le cosce, i piedi nudi. Fortuna che ho gli occhiali da sole o mi avrebbe beccata sicuramente a fargli una lastra a raggi X.
"Jacky e Marissa?" mormoro.
"Marissa ha la febbre e Jackson si è improvvisato medico." spiega Daffodil allungandomi una bottiglia di vetro, birra suppongo "Una scusa per scopare e non dirci niente."
"Povera Marissa." mormoro "Magari ha davvero la febbre." guardo Edward ridacchiare.
"Owh, Cameron, sei così ingenua." la mia migliore amica mi stringe le guance prima di affiancare Edward e smezzarci la birra.
Le faccio una linguaccia prima di raggiungere Aaron appollaiato a poppa con lo sguardo verso l'orizzonte.
"Com'è?" chiedo affiancandolo.
"Normale." commenta il moro.
"Normale?" ripeto alzando gli occhiali da sole per guardarlo meglio.
"Sono entrato nell'ufficio di mio padre oggi." bisbiglia. Mi faccio più vicina. Toglie anche lui gli occhiali da sole.
"C'erano un sacco di fogli sulla scrivania. Mi annoiavo, volevo solo fare un giro. Ci ho dato un'occhiata. Era i documenti per il divorzio."
Spalanco leggermente la bocca mentre esce un flebile oooh dalle mie labbra secche.
"Non dirmi che ti dispiace." borbotta.
"Non capisco." bisbiglio "Non.."
"Non li ho mai sentiti litigare in vita mia." annuisce "Sarà per questo."
"Hey." allungo una mano sul suo ginocchio "Lo sai che puoi contare su di me."
"Sì, certo." mi guarda "È che.. Pensavo che sarebbero rimasti insieme per sempre."
"Già. Di solito si pensa così. Ma penso sia per il meglio." annuisco. La frase più banale e senza senso di sempre. Scuoto la testa e mi porto una mano sulla fronte.
"Scusa, sono un'idiota. Non so davvero cosa dire se non che mi dispiace vederti così." mugugno "Vorrei rendermi utile ma la mia famiglia fa schifo, non so nemmeno cosa significa vederne una sgretolarsi perché la mia era distrutta ancora prima di formarsi."
"Va tutto bene, Cameron." abbozza un sorriso "Lo so." lascia una carezza accennata sul mio viso accaldato e infila di nuovo gli occhiali.
"Starai bene." mormoro "Staranno tutti bene."
"Lo spero." sospira e poggia la testa sulle mie gambe distese "Lo spero davvero."
Accarezzo i suoi capelli scuri e guardo le onde muoversi davanti a noi. Stiamo invecchiando e l'idea che i nostri genitori non ci saranno per sempre nella nostra vita sta iniziando a farsi sempre più chiara. Vogliamo diventare grandi a tutti i costi. Ma in quel momento sarà tutto nelle nostre mani.

never too farDove le storie prendono vita. Scoprilo ora