Un sogno diventa realtà

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Capitolo 1

Firenze, la mia città.

Un tira e molla costante di amore e odio. Per quanto l'adorassi, c'erano dei momenti in cui volevo solo scappare da lì. E' stata la culla dei più grandi poeti, artisti, scienziati e chi più ne ha più ne metta. Ogni volta rimanevo incantata dalla bellezza dei suoi palazzi, della sua arte come se non l'avessi mai vista in ventidue anni. Ma quando dovevi affrontare la calca di turisti, il caldo infernale d'estate e il traffico automobilistico h24, ti passava la voglia di abitarci. Soprattutto se facevi un lavoro che ti impegnava praticamente dodici mesi l'anno, festivi compresi, sei giorni su sette: la pasticcera.

Una professione quasi obbligata visto che i miei genitori gestivano una pasticceria nel cuore della mia città natale. Non mi dispiaceva alzarmi all'alba per riempire i vassoi di cornetti e pasticcini vari, in fondo ero una zucchero-dipendente. In più, potevo dare sfogo alla mia creatività senza freni, cercando di migliorare alcune ricette o inventarne di nuove. Era tanto stancante quanto soddisfacente.

La mia vita non aveva niente di speciale, pensandoci bene rispecchiava me stessa: statura media, fisico snello, capelli castani. L'unico tratto vagamente inusuale erano gli occhi a mandorla ereditati da mia madre giapponese. Forse, però, ciò che colpiva più di tutto era il mio nome.

Levante.

Mio padre aveva insistito talmente tanto che alla fine la mamma aveva ceduto. Il motivo della sua scelta era molto banale, anche se aveva sempre cercato di renderla più poetica.

"Quando sei nata il sole era talmente alto e luminoso che abbiamo voluto rendergli omaggio." diceva sempre.

In realtà, tutti sapevamo della sua mania per il Ciclone di Pieraccioni. Infatti quando gli avevo detto che frequentavo un ragazzo di nome Leonardo, giurai di aver visto i suoi occhi brillare. Leo era un mio compagno di classe alle superiori, l'istituto alberghiero. Nessuno dei due aveva mai provato un certo interesse nei confronti dell'altro, se non una semplice amicizia. Dopo il diploma e una relazione da dimenticare, ci eravamo incontrati per caso una sera in piazza Santa Croce. Non lo avevo nemmeno riconosciuto perché si era trasformato. Se alle superiori era magrolino, biondiccio e con un vistoso apparecchio, adesso aveva un fisico ben piazzato e i suoi occhi azzurri spiccavano come due fari nella notte. Insieme sembravano una coppia quasi stramba: una mezza asiatica e un mezzo nordico. Lui era italiano al centro per cento, ma ricordava vagamente un Thor norvegese - No, ok. Ho sbagliato paragone, ma almeno rende l'idea. -

Comunque, quel pomeriggio decidemmo di visitare la cupola del Brunelleschi di Piazza Duomo. Era una giornata strana, una di quelle in cui ti alzi con la sensazione che succederà qualcosa. Il cielo aveva un colore violaceo, quasi malsano. Nonostante la cappa di nubi scure verso Piazzale Michelangelo, seguimmo la fila ordinata di persone che si snodava lungo il perimetro del Duomo. Ad un certo punto, si udirono dei tuoni in lontananza, ma noi eravamo già su una delle diverse rampe di scalette che disegnano l'interno della cupola. Una folata di vento ci prese a pugni non appena mettemmo il naso fuori.

Però, ne valse la pena.

L'intera Firenze si stendeva sotto di noi in un mare di tetti color mattone. L'Arno tagliava a metà la città come Mosè fece con le acque. Lungo i suoi argini, la natura si stava preparando all'autunno tingendo gli alberi di sfumature arancioni e marroni. Mi persi nei dettagli che vedevo a malapena per colpa dell'altezza e tutto sarebbe stato migliore con la luce del sole. Un altro rombo lontano riecheggiò nell'aria.

The Eternal☯︎︎j.jk☯︎︎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora