Un ticchettio fastidioso disturba i miei pensieri che sono ingarbugliati e confusi più che mai in questo momento. Rivolgo la testa verso il rumore e mi rendo conto che è la penna che mia madre sta reggendo e con la quale, volontariamente, sta provocando del suono per distrarmi.
<<Da piccola ti dava fastidio...>> inizia, e mi stringo tra le mie braccia mentre fisso lo guardo fuori dalla finestra, evitando il contatto visivo diretto.
<<...e certe abitudini non si perdono mai completamente, ma è evidente che sei diventata molto più tenace e testarda. Per questo, parlerò, non importa che tu mi guardi o meno>> posa la penna e si passa una mano tra i lunghi capelli neri, sembra riflettere sulle cose che sta per dire. Riesco ad osservarla grazie al riflesso dei vetri della finestra. Mi sembra molto in difficoltà, come se ciò che sta per dirmi sia più grande di lei. Eppure è troppo semplice. Mia madre è una di quelle persone meschine, calcolatrici e manipolatrici, ha fatto cose peggiori che mascherarsi dietro ad un'apparente confusione.
Si mordicchia un'unghia e prende un forte e lungo respiro, infine fa cenno a Luis di uscire. Il ragazzo non se lo fa ripetere due volte ed esce, portando con sè quella speranza che avevo di non sentirla parlare del passato. Non lo avrebbe mai fatto con lui presente. Sbuffo mentalmente e mi preparo al peggio.
<<Se ti ho mai amata, desiderata, sentita mia figlia? Sì. L'ho fatto, Jennifer. Che tu ci creda oppure no. Da ragazza ho avuto un tumore alle ovaie, fu tremendo. Mi avevano detto che un albero rinsecchito per via dell'autunno avrebbe avuto più cellule vive di me. Non ci volevo credere, avevo solo diciotto anni, una vita davanti a me. In quel momento pensavo a sopravvivere e certo essere madre non rientrava ancora tra i miei obiettivi in quegli anni. Però ben presto la consapevolezza che quella necessità sarebbe cresciuta dentro di me come quel tumore, si faceva sempre più grande. Cominciai a credere ad un segno, forse non ero tagliata per quel ruolo, forse è per questo che non potevo avere dei bambini tutti miei. Meglio la mia vita rovinata che quella dei miei figli sostenevo, buffo adesso pensare che ho sotterrato un figlio e l'altra mi odia a morte, non trovi?>> si ferma, bevendo un sorso di acqua.
Non credo di star realizzando ciò che sta dicendo. Un tumore? E se stesse inventando tutto?
<<Incontrai tuo padre, ci innamorammo, ma qualcosa andò storto. Tuo padre venne a sapere della mia infertilità, ero convinta mi avrebbe piantato in asso ma lui? Mi ha sposato lo stesso, mi ha amato lo stesso, mi ha accettata per quello che potevo e soprattutto per quello che non potevo dargli. Restai incinta di tuo fratello due anni dopo il matrimonio, quello fu un miracolo, non c'era spiegazione scientifica che tenesse. Io non potevo avere figli, eppure Andrew era lì. Cresceva, era sano, anche un po' pesante>> sorrise lievemente, asciugandosi una lacrima.
<<Dopo la sua nascita, tu sei stata molto voluta. La mia fertilità non era stata ripristinata del tutto ma il dottore ci diede una percentuale per noi sufficiente per spingerci a provare ad avere un secondo figlio. Così sei arrivata, più bella che mai, splendente come il sole e per questo non mi perdonerò mai di averti spento>> sussurra e adesso quella che piange sono io. Non credevo di avere bisogno di queste parole.
<<Ti sei mai chiesta perché ci tenessi così tanto a lui? Credo proprio di sì. Non è perché non tenessi a te abbastanza, è che tenevo a lui troppo. Nutrivo un bisogno di tipo ossessivo di sapere dove lui era, cosa faceva e perché. Per me, Andrew, era ancora quel miracolo e in quanto tale andava protetto. Costi quel che costi. La prima fase di qualsiasi malattia o disturbo, è quella della negazione e io rifiutavo categoricamente di realizzare di aver sviluppato un disturbo che mi avrebbe portato a compiere qualsiasi gesto per salvaguardare la vita del mio piccolo miracolo. Vederlo giacere a terra, esamine, con il suo sangue sparso ovunque, ha fatto scattare in me una rabbia fuori dal normale. Mio figlio era morto e tu per me eri l'unica colpevole. Come avevi potuto? Qualsiasi cosa ascoltassi non mi avrebbe convinto della tua innocenza. Ho capito troppo tardi di aver bisogno di aiuto e ormai tre anni fa mi è stato diagnosticato un disturbo ossessivo - compulsivo>>.
Con la faccia ormai inondata dalle lacrime mi giro, e punto i miei occhi nei suoi. Riesco ad avvertire la stessa difficoltà di prima, con l'aggiunta di uno sgomento. È strano, sono empatica con lei per la prima volta.
<<Sono stanca di combattere, Jennifer. Sono arrivata nel punto in cui la mia vita deve avere un risvolto positivo. Sono guarita. La mia mente è chiara. Figlia mia, non potrei mai reputarti colpevole della morte di Andrew. Anche io sono stata innamorata, so cosa significa. Non devi giustificarti. Non ti chiederò di perdonarmi, sarebbe troppo sfacciato da parte mia. Non riesco a perdonarmi neanche da sola! Ma avevi bisogno di sapere la verità o almeno in parte>> conclude, sedendosi su una delle poltrone. Mi avvicino e mi siedo di fronte a lei.
<<Almeno in parte? Cos'altro mi stai nascondendo? Se ti aspetti che io ti creda, voglio sapere tutto quanto. Partendo dal matrimonio con il decano, passando per Luis e finendo con quest'ultima affermazione>> dico, trovando il coraggio in una delle parti più recondite del mio cuore sofferente.
<<Non ho vinto. Il tumore, a distanza di anni è tornato ed io sono molto malata. Mi resta poco. Ti ho mandato una lettera tempo fa, è il mio ultimo referto medico. Sto morendo e sto solo correndo ai ripari>> scandisce e una fitta colpisce il mio stomaco come se qualcuno mi stesse prendendo a pugni. Il respiro mi manca e le lacrime diventano protagoniste.
<<Smettila>> dico, scuotendo la testa. Mi alzo, indietreggiando fino alla porta.
<<Smettila! Smettila, smettila, smettila, smettila!>> urlo, con la testa fra le mani, trascinandomi con la schiena fino al pavimento. Scoppio in un pianto tanto definito quanto disperato. Mia madre mi raggiunge e si inginocchia davanti a me. Afferra una ciocca e me la porta dietro l'orecchio.
<<È tutto okay, piccola mia. Meritavi di sapere la verità prima che questa odiosa donna ti lasciasse definitivamente>> sorride, ironicamente e per assurdo, riesco a vedermi in lei.
Mi alzo, evitando quasi del tutto il contatto fisico. La osservo intensamente e non mi sembra vero. Scuoto ancora la testa ed esco dall'aula, raggiungendo direttamente la mia auto nel parcheggio. Scrivo un messaggio ad Adam chiedendogli di avvisare Robin del mio rientro e di recuperare tutte le mie cose e che gli avrei spiegato tutto appena fosse stato possibile.
Devo andare a prendere quella maledetta lettera.
~~
Salgo le scale più veloce della luce e arrivo in camera mia, apro il cassetto e trovo la lettera. Mi siedo sul letto e respiro profondamente. Una parte di me spera con tutto il cuore che sia uno scherzo, che per l'ennesima volta questa situazione sia solo un tremendo gioco del destino ma ho la netta sensazione che non sarà così.
Apro la busta ed estraggo il contenuto che mio padre aveva già letto. Ora capisco perché era così traumatizzato.
"REFERTO MEDICO, ELIZABETH HUDSON 25/05"
_Massa tumorale di stadio quattro individuata principalmente nell'ovaia destra..._Penso di sentirmi male. Non ha mentito nemmeno un po'.
~~
Entro nella stanza completamente sanificata e bianca e faccio attenzione a dove poggio i piedi. Non voglio svegliare mio padre. Mi avvicino, con il referto di mia madre tra le mani e mi siedo sulla poltrona vicino la finestra. Rileggo quel pezzo di carta più e più volte, come se sperassi in qualche modo che le parole cambiassero di significato. Avrei preferito cento volte una lettera di odio, di repulsione nei miei confronti, nella quale mi rinfacciava quanto delusa e disgustata fosse da me. Ma adesso che so tutta la verità, realizzo che non sarebbe lo stesso. Se anche ci fossero scritte mille cattiverie, non sarebbero state volute, mia madre non era lucida. Ora che lo è, la vita decide di portarmela via. Niente è giusto in questo mondo, non per me almeno.
<<Allora lo sai anche tu>> pronuncia mio padre, indicando il foglio che reggo con forza tra le mani.
Annuisco e mi avvicino a lui.
<<Perché fa così male papà? Io l'ho odiata mamma, davvero tanto. È tutto vero papà? Perché non me l'hai detto subito?>>
<<Tesoro mio, ogni cosa ha il suo tempo. Dovevi scoprirlo da sola ed ero certa che lo avresti fatto quando eri più sicura, e così è stato. È sempre tua madre, Jenny. Sarebbe strano il contrario. Confida, confida sempre figlia mia. Non c'è nulla che tu non possa superare>>. Scuoto la testa e appoggio la testa sul suo petto, lasciandomi andare in un pianto liberatorio.
Se davvero fosse così, non mi sentirei come se stessi crollando partendo dalle mie fondamenta. Sbaglio?
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Until your last breath.
Chick-LitJen, ironia fatta persona, all'apparenza forte ma fragile a causa di una perdita che ha drasticamente cambiato la sua vita. Adam, inguaribile romantico e ragazzo di principi, diffidente nei confronti delle persone e del mondo. La vita è quella cosa...