Uno

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Il sole era sparito dietro l'orizzonte ed era rimasta solo la luce arancione dei lampioni a illuminare il parcheggio condominiale. Il vento di tramontana soffiava freddo come l'aria che esce dal surgelatore lasciato aperto, ma il sabato prima di cena era l'ora della pratica sullo skate e Alina non aveva intenzione di rinunciarvi.

Accaldata nonostante il fresco, con i capelli annodati sulla nuca, senza giacca e con una sbucciatura fresca sul palmo della mano, aveva fatto più volte il tragitto dalla strada al parcheggio, provato qualche semplice trick e adesso stava cercando di mantenersi in equilibrio sulle ruote posteriori. Aveva il walkman alla cintura e le cuffie intorno al collo (una volta che era andata in skate con la musica nelle orecchie era stata quasi investita da una macchina — dopo quell'episodio, aveva imparato la lezione); dai soffici dischetti di spugna, gli Anthrax producevano un adeguato sottofondo.

Canticchiando sottovoce "an-ti-so-cial, an-ti-so-cial", Alina fece drizzare di nuovo la tavola e allargò le braccia, accogliendo con piacere la tensione nei muscoli e la stanchezza dopo un'ora di esercizio. Soffiò via dalle labbra una ciocca ribelle e spostò il baricentro, ma proprio in quella si sentì sollevare in aria da una forza sconosciuta, mentre lo skate ricadeva a terra.

"T'ho beccata, Scrocchia!" rise suo padre, tirandola su insieme alle buste della spesa che si era appeso ai polsi. "Devi stare attenta ai nemici che arrivano alle spalle!"

Ad Alina scappò un verso a metà tra un gridolino e un'esclamazione, del genere che Noemi avrebbe emesso davanti a qualche prodezza di Storaro e per il quale si infastidì subito.

"Papà, eravamo d'accordo!" protestò Alina, scalciando con i piedi che non toccavano terra e sforzandosi di non ridere. "Niente nomignoli zuccherosi in pubblico!"

"Ma che pubblico, Scrocchie', non c'è nessuno qui!" ribatté papà, baciandola tra i capelli con uno schiocco esagerato e poi mettendola giù.

"Potrebbero arrivare," disse Alina, aggiustandosi la felpa e raccogliendo lo skate.

Scrocchia e Scrocchie' erano varianti dello stesso nomignolo di base, Scrocchiazeppi, con il quale suo padre l'aveva ribattezzata fin da quando, all'età di quattro anni, aveva acquisito la fisionomia sottile che ancora conservava (e che temeva l'avrebbe accompagnata nella tomba, se quella stupida pubertà non si decideva a sbrigarsi). La piccola e ingenua Alina all'epoca non aveva avuto nulla da obiettare, ma con il trascorrere degli anni le variazioni sul tema si erano accumulate: Scrocchia, Scrocchietta, Scrocchie', Crocchia, Crocchetta, Zeppina, Zeppetta, Zeppe', fino a sconfinare nell'assurdo con invenzioni tipo Piruletta, Sottiletta e Led Zèppola.

"Figlia mia, sei proprio antisocial," sbuffò il papà, avviandosi verso il portone e frugando in tasca alla ricerca delle chiavi. "A proposito, ho preso Metal Shock. Niente sugli Anthrax questo mese, però."

Alina arricciò il naso. "Tanto l'ultimo disco era pure brutto," disse. "Qualche altro ammazzamento in Norvegia? Altre chiese bruciate?"

"Antisociale e macabra. Sembra di no, comunque," rispose papà, mollandole la busta più leggera e chiamando l'ascensore. "C'era un trafiletto su tizio, comesechiama, Burzum insomma. Sta ancora in galera, ovviamente, aspettando il processo. Sembra che rischi ventuno anni, che poi sarebbe il massimo della pena. Lo sapevi che non esiste l'ergastolo in Norvegia?"

Alina fece di no con la testa. Esitò un momento davanti alle porte aperte dell'ascensore — non lo usava quasi mai e non le piaceva farlo — ma poi decise che non voleva interrompere la conversazione per prendere le scale. Abitavano al primo piano, ma papà era un pigrone. Alina sciolse i capelli e guardò di sottecchi, nello specchio montato su un lato della cabina, la sua figura chiara, minuta e spettinata, schiacciata lì dentro insieme a quell'orso bruno di suo padre, con la sua stempiatura ampia (da cinque anni, con grande dolore, aveva rinunciato ai capelli lunghi), la barba di due giorni e la pancia da appassionato di birra alla spina. Accanto a lui sembrava ancora una bambina, e a volte si sentiva più piccola dei suoi anni; ma non era sempre una sensazione sgradevole.

Ho attraversato le terre selvaggeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora