La settimana successiva fu una delle peggiori che Alina ricordasse di aver vissuto fino a quel momento. Noemi sembrava voler mantenere una facciata di normalità, salutandola all'entrata e all'uscita e scambiando due parole durante le lezioni, ma era chiaro che preferiva spendere con le sue nuove amiche tutto il tempo possibile: a ricreazione, nei cambi di ora, a pranzo, subito mollava Alina per raggiungere Milena e le galoppine e scambiare con loro i pettegolezzi più recenti.
Noemi andava ancora ad aspettare l'autobus insieme a lei, come aveva sempre fatto, e la sera continuavano a telefonarsi; anche allora, però, Noemi conversava distrattamente, cercava di portare il discorso su ciò che aveva detto e fatto con il terzetto (una cosa che mandava Alina in bestia) e sembrava ogni giorno più impaziente di riattaccare la cornetta. La loro ultima telefonata era durata cinque minuti.
Noemi non aveva più menzionato ciò che era successo giovedì pomeriggio a mensa. In compenso, Milena, Valentina e Debora non perdevano occasione per scoccare ad Alina occhiate sprezzanti e mormorare fra loro quando la vedevano passare, anche se fino a quel momento erano state troppo vigliacche per passare all'offensiva.
Alina aveva trascorso la settimana con un malumore che sobbolliva come acqua in una pentola: a malapena aveva fatto i compiti, la Messina l'aveva massacrata davanti a tutta la classe durante una tragica interrogazione di matematica e sia lei che la mamma si erano fatte venire il mal di gola a forza di litigare.
Adesso era di nuovo lunedì e il suo umore era più tetro che mai.
Si stava avvicinando mezzogiorno e la professoressa Tacconi stava cercando di mantenere l'ordine per il tempo sufficiente a spiegare il past continuous; come al solito, i suoi sforzi non erano accompagnati da un successo completo e solo la prima fila di banchi risultava coinvolta. Il fondo della classe era irrequieto, animato da un continuo chiacchiericcio a mezza voce, che si acquietava per un minuto o due quando la Tacconi batteva la mano sulla cattedra ed esclamava: "Silenzio!", per poi ricominciare immutato, fino al successivo richiamo.
Alina pugnalò la gomma da cancellare con la matita, cambiò posizione sulla sedia per la decima volta in dieci minuti e girò la testa verso il banco al quale Debora e Noemi sedevano insieme, intente a ridacchiare e scrivere qualcosa su un diario. Nell'ultima settimana, Noemi si era quasi sempre scambiata di posto con Elisa durante le ore della Tacconi, che per lo più ignorava gli eventi che non coinvolgevano la prima fila.
Alina vide Debora sussurrare all'orecchio della sua amica e sentì il risentimento che tornava a galla, sempre più difficile da ignorare. Trafisse la gomma un'altra volta, ben decisa a non prestare attenzione alla voce piatta della Tacconi e a non scrivere nemmeno una riga sul quaderno.
Elisa smise di prendere appunti per il tempo sufficiente a rivolgerle uno sguardo in tralice, ma l'espressione della sua compagna di banco era indecifrabile e Alina la ignorò.
Risate eccitate, trattenute a fatica, si alzarono dalla fila di sinistra: Alessio Benetti, seduto al primo banco, si era attorcigliato su sé stesso per sporgersi indietro, verso Saverio Umberti.
La Tacconi alzò la testa dal libro, percosse la cattedra per l'ennesima volta, puntò gli occhi verso Alessio — che si era rigirato di scatto, schiacciandosi una mano sulla bocca — e si rabbuiò. Notò un movimento sospetto di Saverio e si rese conto che era stato lui a turbare la quiete della sua amata prima fila.
"Umberti, cos'hai sotto il banco?" esclamò la professoressa.
Cosa non ha sotto il banco, pensò Alina, schifata. L'intercapedine sotto il piano era ingombra di libri e quaderni spiegazzati, fumetti, matite e penne sparse, fazzoletti usati, buste di plastica, pezzi di carta e avanzi di cibo della più varia provenienza. Impossibile non notare, però, che Saverio aveva aggiunto un altro oggetto al mucchio non appena la Tacconi aveva alzato gli occhi.
"Niente, professoressa," rispose il ragazzo, fingendo disinvoltura.
L'aula si fece improvvisamente quieta, mentre tutti rivolgevano la loro attenzione a quello scambio.
"Non fare il finto tonto, Umberti," lo redarguì la Tacconi. Di solito l'autorità che riusciva a mettere insieme era piuttosto scarsa, ma Saverio non era un teppista come Storaro e la professoressa era livida ed esasperata, dopo quaranta minuti passati ad arginare il rumore che riempiva l'aula.
"Professoressa, davvero, io..." cominciò Saverio.
La Tacconi lo interruppe. "Tira fuori quello che hai sotto al banco adesso!" ordinò, iniziando a scaldarsi.
"Ma non ho niente sotto al banco, professoressa!" protestò Saverio, nella peggior simulazione di innocenza che Alina avesse mai visto.
"Ahò, tira fòri quella robba e falla finita!" giunse la voce divertita di Storaro, appoggiato al muro nella sua postazione extralusso, all'ultimo banco laterale vicino al termosifone.
La Tacconi gli intimò il silenzio, poi lasciò la cattedra e andò a piazzarsi davanti a Saverio, che la fissava come un coniglio davanti ai fari di una macchina in arrivo.
"Umberti, fammi vedere quello che hai appena messo sotto al banco," scandì, "altrimenti mi dai il diario, ti metto una nota e poi me lo fai vedere lo stesso."
Alina abbassò il collo per sbirciare nell'intercapedine strapiena.
Il ragazzo sospirò, mise le mani sotto il banco, armeggiò un po' e tirò fuori una pila sbilenca di libri e quaderni; la appoggiò sul pianale e guardò la Tacconi da sotto la frangia castana unta e spettinata, sollevando le sopracciglia e allargando le mani, nell'atteggiamento di un perseguitato senza colpe. Aveva una gamba che gli tremolava per la tensione.
Ci fu qualche momento di silenzio, poi la professoressa annuì, assunse l'abituale espressione di quando riteneva una battaglia non degna di essere combattuta e fece per tornare alla cattedra.
Saverio, liberando il respiro che stava trattenendo, prese il mucchio di carta per cacciarlo di nuovo sotto il banco, ma nella fretta il libro di epica e un quaderno masticato scivolarono, la pila si disfece e due riviste patinate caddero a terra: la prima recava in copertina il titolo Le Ore e una donna assai poco vestita; della seconda, Alina fece in tempo a scorgere la foto di una donna e un uomo che di vestiti non ne avevano affatto e stavano copulando in una maniera che, se non l'avesse vista, avrebbe ritenuto fisicamente impossibile.
La classe fu attraversata da un fremito di esclamazioni e risate che si trattenevano a fatica dall'esplodere.
Saverio si mosse con goffaggine, spostando rumorosamente sedia e banco, forse per lanciarsi a terra e mettere il suo corpo fra i pornazzi e lo sguardo della Tacconi: ma era troppo tardi.
Due secondi dopo, la professoressa stava urlando come se avesse visto un cadavere disteso sul pavimento della terza C.
"Umberti! Raccogli subito quelle schifezze!" ordinò, gesticolando frenetica, con gli occhi che minacciavano di esplodere dalle orbite. Saverio eseguì, cercando di nascondere con le mani le copertine delle riviste. La sua faccia appuntita era diventata rossa come l'estremità di un termometro.
"Professore', io..." iniziò Saverio, con voce stridula.
La Tacconi non lo stette a sentire. "Fai silenzio e vieni con me dalla preside seduta stante!"
Saverio venne condotto fuori dall'aula, con la Tacconi che brandiva le riviste e strepitava di sospensioni, note e finanche denunce penali.
L'eccitazione della classe, a stento trattenuta durante il confronto fra Saverio e la professoressa, si scatenò in un uragano di risate.
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Ho attraversato le terre selvagge
Teen FictionAlina e Noemi frequentano la terza media in una scuola del quartiere Flaminio, a Roma: impulsiva e irruenta l'una, spensierata e socievole l'altra, le due amiche sono diversissime fra loro, eppure inseparabili. Elisa è studiosa, pacata e solitaria...