Il mercoledì era il miglior giorno della settimana — a parte il venerdì, s'intende — e il motivo si poteva riassumere in due parole.
Educazione fisica.
Dopo aver passato quattro ore (a malapena spezzate da quindici minuti di ricreazione che passavano in un batter d'occhio) ingessata su una scomoda sediaccia di legno, costretta ad ascoltare a bocca chiusa il ronzio soporifero della voce dei professori, poter scendere in palestra a correre era meglio che ascoltare un pezzo dei Guns n' Roses dopo dieci canzoni di Ramazzotti.
Meglio ancora: il mercoledì l'orario benediceva la terza C con due ore consecutive di educazione fisica, piazzate proprio alla fine della giornata scolastica.
Dal momento che le ore precedenti erano state particolarmente noiose, alle undici e mezza Alina si era messa i calzoncini della tuta alla velocità della luce e aveva iniziato a fare il giro della palestra prima che il professor Guerreschi, con i suoi baffoni grigi e il fischietto, avesse finito di dire "cinquanta giri di corsa".
Se ne avesse avuto la possibilità, Alina avrebbe passato a scuola il minor tempo possibile (o nessun tempo, magari), ma la palestra della Achille Mauri era uno dei suoi posti preferiti al mondo. Amava quello spazio bigio, quel casermone con le finestre alte e coperte di grate e il soffitto macchiato dai segni rotondi di innumerevoli pallonate, spedite fin lassù da chi aveva giocato a calcio o pallavolo con troppa foga; soprattutto, amava il rumore della palestra, il suono di quaranta piedi e venti voci, libere dalla prigione dell'aula, che riecheggiavano da una parete all'altra, i botti sonori dei palloni, calciati contro i muri o presi a manate durante le partite di pallavolo.
All'inizio delle ore di educazione fisica, Alina si attardava spesso a ridere e parlare con Noemi e un paio di altre ragazze, trottando senza particolare impegno e facendosi volentieri sorpassare da tutti; ma quel giorno era in testa, concentrata sulla corsa e desiderosa di perdersi nel suono rimbombante delle scarpe da ginnastica che toccavano terra, nel ritmo sostenuto del cuore e del respiro, nella tensione e nel rilascio dei muscoli.
Sapeva che alla fine di quelle due ore si sarebbe sentita stanca, indolenzita e soddisfatta.
Alina accelerò l'andatura. Storaro e Bianchi, i due ragazzi più bravi nello sport, erano appena avanti a lei. La coda del gruppo si avvicinava sempre di più, pronta per essere doppiata, e in coda alla coda, ecco apparire l'enorme sedere di Ludovica De Angelis, che come sempre arrancava penosamente, sudata zuppa, oscillando a destra e a sinistra con l'aria di chi sta per stramazzare da un momento all'altro.
Alina pensò ai pachidermi di Dumbo che si affannavano a salire uno sull'altro per formare una piramide e quell'associazione la fece sorridere brevemente tra sé.
Storaro fu il primo a doppiare Ludovica, ma la ragazza sbandò di lato proprio in quel momento, tagliandogli la strada e costringendolo a scartare.
"Ahò, e sta' attenta, che me spiaccichi!" abbaiò Storaro. Era un ragazzo alto, ripetente, con gli occhi neri, duri e aguzzi come sassi, le sopracciglia folte e la testa rasata. Aveva la voce da uomo, non come quelle trombette sfiatate degli altri maschi, e quando la alzava, era difficile non fare un passo indietro. Ludovica si ritrasse.
Se l'avesse detto a me, gli avrei dato un calcio nelle palle, e al diavolo la nota sul diario, rimuginò Alina. In poche falcate, si lasciò dietro Ludovica, ma poté sentire distintamente Bianchi, che con un sogghigno nella voce diceva: "A De Angelis, respira prima che ce rimani!"
Ai giri di corsa seguirono flessioni, piegamenti, addominali e saltelli: Guerreschi voleva spremerli per bene quel giorno, ma ad Alina faceva soltanto piacere. Le sembrava di avere dentro un'energia rimasta imbottigliata per giorni. Dopo la prima ora e una breve pausa, il professore ordinò la formazione di due squadre per la partita di pallavolo, con Storaro a chiedere, prevedibilmente, che i maschi potessero invece giocare a calcio e Guerreschi che, altrettanto prevedibilmente, rifiutava come aveva sempre fatto dal primo giorno di prima media.
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Ho attraversato le terre selvagge
Teen FictionAlina e Noemi frequentano la terza media in una scuola del quartiere Flaminio, a Roma: impulsiva e irruenta l'una, spensierata e socievole l'altra, le due amiche sono diversissime fra loro, eppure inseparabili. Elisa è studiosa, pacata e solitaria...