A dimostrazione che le cose possono sempre peggiorare, il giorno seguente Alina smontò dalla Punto materna (dopo un viaggio lungo, silenzioso e funestato da orribili canzoni alla radio) per trovare Noemi intenta a civettare con Storaro davanti al cancello di scuola. Il ragazzo se ne stava appoggiato al suo vespone a braccia incrociate, bomber nero, anfibi da picchiatore e sigaretta d'ordinanza dietro l'orecchio; Noemi, dal canto suo, era tutta uno sfarfallare di ciglia e un aggiustarsi i capelli tra un risolino e l'altro. Un po' discoste, Milena e Valentina guardavano soddisfatte il risultato della loro intercessione.
Alina, schifata, andò a sedersi in un angolo e aprì l'antologia di italiano, cercando di dare una letta al brano di Fenoglio che avrebbe dovuto studiare il pomeriggio precedente, se non fosse stata troppo impegnata ad alternare il completamento della Settimana Enigmistica di nonna Brunilde con la visione di straforo de I Magnifici Sette dello Spazio, colto per caso su TVR Voxson. Nonostante gli sforzi di concentrarsi sulla pagina, però, le parole sembravano scomparire dalla sua mente subito dopo esservi entrate, per venire sostituite dal sogghigno sghembo di Storaro e dalle mossette idiote di Noemi.
Per fortuna, quel giorno furono Bianchi, Piovani e Mary Grace a essere selezionati per il sacrificio innanzi alla cattedra della Pepieri (insufficiente, impreparato e sufficienza stiracchiata ma non disonorevole) e Alina scampò all'interrogazione. In compenso, Elisa sembrava essere ancora offesa per la discussione avuta con lei alla fermata e la trattò per tutta la giornata con glaciale cortesia, rivolgendole la parola il meno possibile.
Il lunedì successivo, subito prima dell'inizio delle lezioni, Storaro annunciò ai suoi tirapiedi che Alina abitava nel cassonetto dei vestiti usati situato all'angolo dietro la scuola: per questo, da quel giorno in poi sarebbe stata ribattezzata "Caritas". Seguirono grasse risate da parte di tutti, com'era ovvio. Alina, fregandosene delle conseguenze, strappò l'Invicta dalla spalla di quel verme di Diego Mossa — che andava a rimorchio dei bulli solo perché altrimenti quelli lo avrebbero messo sotto un giorno sì e l'altro pure — e lo usò per percuotere Storaro, che incassò un paio di colpi ridendo e poi prese lo zaino e lo lanciò lontano (il proprietario corse trafelato a riprenderselo, con gli altri che gli strillavano dietro la consueta battuta: "Mossa, datte 'na mossa!"), non lasciandole altro da fare che insultarlo con tutte le parolacce che le venivano in mente.
Fiato sprecato: arrivata la ricreazione Milena e le galoppine già la chiamavano Caritas, e suonata l'ultima campanella anche Maura e Veronica si sentivano abbastanza sicure di sé da farlo.
Il giorno dopo, Alina tornò dalla ricreazione per trovare il breve componimento poetico Caritas Moretti vive nei cassonetti vergato sul banco con l'uso del bianchetto, e la scritta Moretti metallara di merda sulla copertina del suo libro di epica. Più tardi, Milena le arrivò alle spalle di soppiatto mentre si lavava le mani nel bagno delle femmine e girò di colpo il rubinetto, infradiciandole la felpa fino ai gomiti, per poi scappare ridendo insieme alle altre, Noemi inclusa.
Durante la lezione di educazione fisica di mercoledì, Bianchi la chiamò Caritas e Alina, alla quale oramai bolliva il sangue nel sentire quel nomignolo, gli tirò una pallonata nello stomaco. Equanime, Guerreschi spedì entrambi a fare cinquanta giri di palestra.
"A matta scocciata," la apostrofò Bianchi, mentre correvano, "se oggi c'hai le tue cose e sei girata, non è che te la devi prende con me." Alina non si voltò a guardarlo.
Il giovedì fu chiamata alla lavagna dalla Tacconi, e mentre lottava per tradurre un verbo irregolare si asciugò le palme sudate delle mani sui pantaloni; dal fondo dell'aula arrivò l'esclamazione strascicata, quasi indolente, di Milena: "Caritas, sudi che fai schifo!" accompagnata da un coretto di risate mezze trattenute e mezze no.
Alina poteva vedere il sorriso da tigre della sua nemica anche con lo sguardo fisso sulla superficie d'ardesia nera, e mentre sentiva gli occhi di tutti pizzicarle la nuca, pensò che la misura era colma: buttò a terra il gesso e iniziò a marciare verso gli ultimi banchi, con l'intenzione di fare di Milena spezzatino da dare in pasto ai Napalm Death. La Tacconi la afferrò per un braccio intimandole di stare ferma: cos'era, impazzita? Voleva un'altra sospensione, rischiare di perdere l'anno? Milena ci guadagnò una nota sul registro, che accettò di buon grado, ripassandosi un'unghia con lo smalto viola e dicendo alla prof, in tono confidenziale: "Moretti è matta, professore'. Glielo dico io, è pericolosa," con tutte le galoppine che facevano sì sì con la testa.
Il venerdì Milena e Storaro, creature in fondo abitudinarie, la lasciarono in pace per ritornare a tormentare Ludovica con rinnovato entusiasmo. Quel giorno, però, successe una delle cose peggiori, e senza che nessuno dovesse alzare un dito o fare un fiato: a ricreazione, Alina si alzò per cercare la compagnia di Laura e Mary Grace (dal momento che Elisa seguitava a ignorarla con irriducibile testardaggine), e quando fu davanti a loro le trovò imbarazzate, nervose, come se non vedessero l'ora di lasciarla lì e andarsene. Uno sguardo dietro la spalla da parte di Mary Grace, in direzione di Milena, le fece capire quello che avrebbe già dovuto esserle evidente: nessuno voleva farsi scoprire a parlare con lei, Moretti, Caritas, la metallara di merda, la pazza pericolosa, quella che viveva nel cassonetto dei vestiti usati.
Milena si era vendicata come il suo potere da piccola dittatrice le consentiva di fare e mentre Alina era rimasta ad aspettare l'attacco frontale, l'ape regina l'aveva circondata da tutti i lati senza sforzo. Non poteva assalire le sue nemiche con la forza bruta, pena le sanzioni dei professori, ma non sapeva come contrastare l'apparizione di quel muro di ostracismo che Milena, Storaro e tutti i loro servitori, dal primo all'ultimo e inclusa Noemi, le stavano costruendo intorno come avevano fatto con Ludovica dall'inizio della prima media. Si sentiva come l'insetto preso nel viluppo della ragnatela, che dibattendosi può solo avvicinare la sua fine.
Alina salutò di fretta le due ragazze e se ne andò via con un gorgo di pensieri che turbinavano e litigavano nella sua testa. Forse il peggiore tra questi — ma peggiore da andare in bestia, spaccarsi le nocche sui muri e urlare fino a diventare rauchi — era la considerazione che Milena avrebbe potuto infliggerle quella condanna in qualsiasi momento, se non avesse preferito dedicarsi a bersagli più facili; in più, Alina aveva potuto beneficiare dell'amicizia con Noemi, la sua amica carina, ben vestita, estroversa e popolare, che l'aveva fatta brillare di luce riflessa agli occhi dei compagni di classe.
Era davvero sempre stata una sfigata? La sua amicizia con Noemi era soltanto una stampella perduta?
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Ho attraversato le terre selvagge
Teen FictionAlina e Noemi frequentano la terza media in una scuola del quartiere Flaminio, a Roma: impulsiva e irruenta l'una, spensierata e socievole l'altra, le due amiche sono diversissime fra loro, eppure inseparabili. Elisa è studiosa, pacata e solitaria...