Alina non tornò a scuola il lunedì: la sua avventura sotto la pioggia non l'aveva lasciata solo con un'amicizia ritrovata e un mucchio di vestiti zuppi, ma anche con un raffreddore fulminante e la febbre a trentotto e due. Per tre giorni, Alina stette al caldo sotto le coperte, imbottita di aspirina, leggendo i racconti di Conan che Elisa le aveva regalato per Natale e ascoltando un po' di musica quando la testa non le faceva troppo male.
Il mercoledì mattina, Alina si svegliò fresca come una rosa da un sonno di dieci ore filate, balzò in piedi e annunciò ai genitori, seduti a fare colazione, che quel giorno sarebbe andata a scuola.
Mamma e papà si scambiarono uno sguardo incredulo.
"Scrocchia, avevi la febbre fino a ieri," disse suo padre, "sei sicura che non vuoi stare riguardata un altro giorno?"
"No, pa', sto benissimo, davvero," replicò Alina, andando a recuperare i biscotti dalla credenza. "Voglio andare."
"Ali bella, stai dicendo che vuoi andare a scuola anche se ti abbiamo appena dato il permesso di restare a casa?" chiese la mamma, con la tazzina di caffè rimasta a mezz'aria. "Non è che c'era il baccello di un ultracorpo sotto il tuo letto e ti ha sostituita durante la notte?"
"Speriamo che l'ultracorpo non sia un metallaro," commentò Maurilio, trascinandosi in soggiorno già vestito e con i capelli davanti agli occhi.
"E tu che ci fai qui?" chiese Alina, sedendosi al tavolo. Maurilio di solito usciva presto per prendere il treno e non doversi fare accompagnare a scuola dalla mamma. "Comunque tutti molto spiritosi oggi, complimenti."
"Entro in seconda ora," rispose l'altro, senza aggiungere ulteriori spiegazioni. Si versò il caffè e ne bevve mezzo senza aspettare che si freddasse.
La mamma si chinò su Alina e le scostò con gentilezza i capelli per guardarla in viso e giudicare il suo stato di salute. Alina la lasciò fare: quella mattina, il tocco gentile delle mani materne le risultava particolarmente gradito. "Vuoi l'esonero per educazione fisica, almeno?" domandò.
Alina fece di no con la testa. "Tanto, se non me la sento, basta che lo dico a Guerreschi e mi fa stare seduta a bordo campo."
In realtà, era certa che se la sarebbe sentita eccome. Passare tre giorni a letto era stato piacevole, ma dopo quella pausa forzata aveva una gran voglia di correre, saltare e giocare a pallavolo. Sperava di finire in squadra contro Milena e Storaro; e anche contro Noemi, non poteva negarlo. Avrebbe giocato con il coltello fra i denti e preso gli avversari a pallonate. Sogghignò tra sé mentre inzuppava i biscotti e se li cacciava in bocca.
"Che te ridi, ora?" chiese Maurilio, finendo il caffè.
"Niente, m'è venuta in mente una cosa."
Suo fratello fece spallucce, poi rimestò nello zaino ai suoi piedi, tirò fuori il suo walkman e lo piazzò sul tavolo. "Tiè," disse soltanto, e fece per alzarsi e andare via.
"E questo?" chiese Alina.
"Visto che il tuo walkman è andato distrutto in circostanze misteriose," replicò Maurilio, "ti presto il mio. Tanto è una ciofeca, pesa un quintale e poi ce n'è uno nuovo in arrivo per il mio compleanno ormai imminente, vero, cari genitori?"
"Stavamo ancora negoziando," gli rammentò papà, "però sì, è abbastanza probabile che sia in arrivo."
Alina prese in mano il vecchio walkman, ingombrante come un mattone e rappezzato con il nastro adesivo nero.
"Mi sa che c'è un altro ultracorpo in casa, oggi," mormorò, ancora incredula.
"Bastava un semplice grazie," brontolò Maurilio, infilandosi la sua giacca sdrucita.
Alina fece saltar fuori un nastro dal walkman. I Pearl Jam. Arricciando il naso, allungò la cassetta al fratello. "Questi te li senti te."
"Non ti farebbe male un po' di musica decente, ogni tanto," ribatté Maurilio, riprendendosi il nastro. "Prima o poi ti dovrai rassegnare al fatto che il metal è morto."
"Cos'è questa, la cavolata del mattino per iniziare bene la giornata?" lo rimbeccò Alina. "Comunque grazie."
"Comunque prego," la scimmiottò Maurilio. Poi le sorrise, si girò e andò via.
Fuori dalla finestra, il tempo sembrava incerto fra schiarirsi e restare nuvoloso a chiazze; per fortuna, sembrava che non dovesse piovere. Alina finì di fare colazione, volò in bagno per una doccia velocissima, si asciugò i capelli con l'occhio sull'orologio e indossò le Converse, i jeans e la sua felpa dei Maiden preferita.
Mamma la stava aspettando davanti alla porta. "Vai, che oggi arriviamo in orario tutte e due!" esclamò; poi buttò un'occhio sulla sua chioma quasi pettinata. "Ti sei asciugata bene i capelli, che altrimenti ti viene la cervicale?"
Alina aveva qualche ciocca umida, ma non rispose. Da un momento all'altro, aveva sentito il suo entusiasmo prosciugarsi, sostituito da un fastello di pensieri angoscianti sulla festa di domenica e su ciò che la aspettava a scuola. Cosa avrebbe fatto Noemi nel vederla? Cosa avrebbe detto Milena? La sua arcinemica sarebbe riuscita a metterle contro qualcun'altra? Elisa era ancora arrabbiata con lei?
Alina si fermò, tirò nervosamente la cinghia dello zaino e sospirò.
La mamma la scrutò. "Sei proprio sicura di stare bene?" chiese.
"Sono nervosa," confessò Alina. "Per la scuola. Sai, Noemi..."
Alina si interruppe. Poter parlare con la mamma — alla quale aveva già raccontato a grandi linee ciò che era successo al compleanno di Noemi — le dava un grande sollievo, ma l'imbarazzo le annodava la lingua. Fece vagare lo sguardo sulle pareti di casa: la piccola casa confortevole che stava per lasciare, per andare a tuffarsi nella tana dei lupi.
Quando rialzò gli occhi, incontrò quelli di sua madre, che le stava sorridendo.
"Ali, stai tranquilla," la rassicurò. "Quattro oche sceme non sono niente per qualcuno che ha dalla sua parte il potere del metallo," Alina alzò gli occhi al cielo e ridacchiò all'enfasi esagerata della madre, ma si sentì scaldare dentro, "e soprattutto ha delle amiche vere. Se ti dicono qualcosa, pensa a quanto fanno pena delle persone che per sentirsi meglio devono far stare male gli altri."
Alina annuì. "Spero che funzioni."
"Certo che funzionerà. Non devi preoccuparti di queste cose." La mamma fece una pausa a effetto, poi sogghignò e cambiò tono. "Specialmente perché adesso hai ben altre cose di cui preoccuparti."
"Sarebbero?" domandò Alina. Aggrottò la fronte, cercando di ricordare qualcosa che avesse tralasciato, oppure di capire se stava venendo semplicemente presa in giro.
Sua madre aprì la porta e le fece cenno di uscire. "Ero sicura che con tutte queste emozioni te lo saresti dimenticato, ma non si scappa, bella di casa," disse allegramente. "Oggi esce la pagella del primo quadrimestre!"
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Ho attraversato le terre selvagge
Ficção AdolescenteAlina e Noemi frequentano la terza media in una scuola del quartiere Flaminio, a Roma: impulsiva e irruenta l'una, spensierata e socievole l'altra, le due amiche sono diversissime fra loro, eppure inseparabili. Elisa è studiosa, pacata e solitaria...