Quindici

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Se Alina fosse stata tipo da rimuginare sulle sue disgrazie e piangersi addosso alla prima avversità, non avrebbe ascoltato heavy metal, ma qualche lagna melensa stile Biagio Antonacci o Laura Pausini. Ecco perché la mattina di lunedì si alzò tre minuti prima del suono della sveglia, guardò dalla finestra quella che sarebbe stata certamente una delle ultime giornate tiepide e luminose dell'anno, ripensò al weekend sereno passato con i suoi (che erano di buon umore, come accadeva sempre quando suo padre riusciva a pubblicare un articolo - anche se quel romanzo che aveva nel cassetto non accennava a uscirne) e decise che era il momento di mostrare a tutti che non si sarebbe fatta abbattere dalla prospettiva di un'altra settimana da passare a contatto forzato con la miserabile fauna che popolava la terza C.

Infilato Holy Diver nel walkman - con i suoi proclami di Stand up and shout! Life's a neverending wheel! Ride the tiger! Ronnie James Dio sapeva sempre infonderle la giusta carica - Alina si presentò sorridente alla mamma e le due salirono sulla Punto con largo anticipo, chiacchierarono come non facevano da un bel po' e cantarono insieme sulle note di Nothing Else Matters - che non era Master of Puppets, certo, ma non è che dalla radio ci si potesse aspettare troppo.

Rimasta da sola nel cortile scolastico, Alina fu raggiunta dal sottile scoramento che era riuscita fino a quel momento a eludere. Era ancora abituata a cercare fra quelle teste pubescenti la chioma rossa di Noemi, e come le accadeva da quando quella dolorosa faccenda era cominciata, i suoi occhi finirono per trovarla vicino alla biondezza insulsa di Debora (il cui naso era ancora decorato da un ematoma violetto, per il quale Alina si sentiva sempre meno in colpa), al pallido splendore di Valentina e all'espressione altezzosa di Milena, che dominava il gruppetto dall'alto della sua statura, senza un singolo capello fuori posto e coperta da capo a piedi dai suoi vestiti di marca, ognuno dei quali costava di certo più dell'intero armadio di Alina. Storaro ancora non si vedeva: era difficile che si presentasse davanti a scuola più di un minuto o due prima del suono della campanella, e non di rado arrivava dopo, sempre nella maniera più rumorosa possibile, come se volesse calamitare l'attenzione sul suo arrivo e su quanto poco gli importasse di essere in ritardo.

Sentendo calare su di lei, come una mano di piombo, quel magone che era da poco diventato lo sgradito compagno delle sue giornate di scuola, Alina distolse lo sguardo dal quartetto e si incamminò per il cortile, cercando con lo sguardo una faccia amica. Scorse Mario Amedei e gli rivolse un breve cenno di saluto: erano stati buoni amici alle elementari (lasciando da parte il fatto che nel diario di quinta di Alina c'erano stati un sacco di cuoricini intorno al suo nome), ma ormai si parlavano di rado; dopo gli ultimi eventi, poi, non si sarebbe arrischiata a rivolgergli la parola nemmeno in un cortile vuoto. Laura e Mary Grace stavano chiacchierando con Maura: Alina lo prese come un cattivo segno. Passò oltre.

Benetti e Mossa la incrociarono mentre andavano incontro a Stefano Trivisonno (il quale sedeva accanto a Benetti, era bassino e olivastro ed era un essere umano decente, finanche simpatico, finché non si metteva a fare il cretino insieme agli altri maschi): entrambi si fermarono a scrutarla e Mossa sembrò sul punto di fare qualche commento spiritoso, ma Alina gli lanciò uno sguardo alla Phil Anselmo e Mossa stette zitto.

Alla fine, Alina avvistò Elisa vicino al portone (certo appostata lì fin dalla mattina presto), con il naso in un libro e lo zaino tra i piedi. Per un attimo non l'aveva riconosciuta: si era tagliata la coda di cavallo durante il weekend e portava i capelli corti, con una graziosa frangia obliqua. Lieta di avere il pretesto per iniziare una conversazione, Alina si piazzò davanti alla compagna di banco.

"Ciao Elisa!" esclamò. "Mi piace un sacco la tua nuova pettinatura!"

Elisa, che stava ridacchiando con una mano sulla bocca (il libro era Pancreas di Giobbe Covatta), alzò gli occhi e la sua espressione si raggelò. Era ancora arrabbiata, e non glielo avrebbe fatto dimenticare tanto facilmente. Mamma mia, quant'è cocciuta questa ragazza, pensò Alina.

"Grazie," rispose Elisa, educata e freddina come di consueto.

"Senti, ti sono venute le espressioni?" la incalzò Alina, tenace come il granchio che ha ghermito il dito del bagnante. "Oggi con la Messina non si scappa!"

L'altra annuì. "Sì, tutte. L'ultima, quella lunghissima, l'ho dovuta rifare un paio di volte, ma alla fine è venuta anche quella."

Non c'era da esserne sorpresi: mai, da quando Elisa Zhang aveva messo piede nella sezione C della scuola media Achille Mauri, c'era stata un'espressione o un problema di matematica che la ragazza cinese non fosse stata capace di piegare ai suoi voleri.

"Eh, certo che quella era difficile," commentò Alina, che dopo averla letta aveva deciso di non toccarla nemmeno. "Non so se mi è venuta. Mi fai dare un'occhiata al tuo quaderno, per fare il confronto?"

Elisa restò silenziosa e seria per un momento.

"Vuoi dire per farti copiare," disse, in un tono impermeabile a ogni cazzata.

"Solo l'ultima!" esclamò Alina, che non se la sentiva di negare l'evidenza - e comunque era una mediocre bugiarda. "Le altre voglio davvero solo vedere i risultati... ce ne sono un paio che ho sbagliato di sicuro. Per favore?" Alina giunse le mani e cercò di rassomigliare al gattino bagnato della pubblicità delle penne Barilla. (1)

La sua interlocutrice alzò gli occhi al cielo, scosse la testa e fece una faccia che diceva a chiare lettere togliti dai piedi miserabile questuante, ma poi non poté trattenere un sorriso e Alina capì di aver fatto breccia.

"Per favore, Elisa? Per favore?" proseguì, andandole vicino e adottando una vocina melliflua. Si stava divertendo troppo a fare la scema: era bellissimo sentirsi di nuovo a proprio agio con qualcuno. "Ti sarò debitrice. Puoi chiedermi quello che vuoi. Sono la tua compagna di banco! Non avevi detto che ti stavo simpatica?"

"Forse ci ho ripensato," replicò Elisa, cercando un tono burbero, ma riuscendo solo a metà. Le stava venendo da ridere. "Poi, pensavo di non starti simpatica io, a dire il vero."

"Mai detta una cosa del genere. Per quanto riguarda quella volta alla fermata, era una giornata un po' così e mi hai beccato in un momento che ero un po'... come dire..."

Elisa inarcò le sopracciglia e sembrò pronta a completare quella frase con una varietà di aggettivi differenti, ma alla fine si limitò a scrollare le spalle con l'aria di chi si arrende, e tutto sommato ha piacere di arrendersi; sorridendo, tirò fuori il quaderno di matematica. Alina tese i pugni al cielo, poi saltò al collo di Elisa strillandole: "Grazie!" nell'orecchio.

"Sì, ma solo l'ultima," negoziò Elisa, divincolandosi, "che tra due minuti suona," aggiunse, gettando un rapido sguardo all'orologio.

"Attenta Involtini, che t'attacca i pidocchi!" esclamò Milena, con una voce che risuonò limpida come un rintocco di campana nel brusio mattutino. Il solito terzetto era arrivato alle loro spalle; Noemi era rimasta indietro, stava parlando con Storaro e di quel passo sarebbero entrambi entrati in ritardo.

Alina ed Elisa guardarono le nemiche passare ridendo, la prima trafiggendole con degli sguardi acuminati come un assolo degli Slayer, la seconda riservando loro un gelo che avrebbe fatto calare stalattiti da un termosifone bollente.

"Hai capito il livello delle persone con cui abbiamo a che fare, sì?" disse Elisa, corrucciata.

"L'ho capito da un bel pezzo," replicò Alina, masticando amaro mentre apriva il suo quaderno accanto a quello della compagna.

Ho attraversato le terre selvaggeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora