Uno

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"Ali bella, stiamo facendo tardi di nuovo," chiamò la mamma dall'altra stanza, tutta garrula. "Datti una mossa, altrimenti domattina ti metto la sveglia alle sei e prendi il treno con tuo fratello!"

Alina tuffò l'ultimo taralluccio nel Nesquik, esclamò: "Ho finito!" a bocca piena, e ingurgitò di fretta ciò che era rimasto nella tazza, rischiando di sbrodolare latte al cioccolato sulla t-shirt degli AC/DC. Era quasi convinta che sua madre non avrebbe dato seguito a quella minaccia, ma nel dubbio, era meglio non rischiare.

Leggera sulle Converse mezze slacciate, Alina si precipitò all'ingresso raccogliendo al volo lo zaino e il walkman, prese la giacca di jeans dall'appendiabiti e si presentò sorridente davanti alla mamma, che era già sulla porta.

"Signore, sono pronta, signore!" declamò Alina, con l'Invicta pendente su una sola spalla, le spille a bottone appuntate sul giacchetto e qualche briciola di biscotto fra i capelli scompigliati. Si produsse in un saluto militare e la mamma alzò gli occhi al cielo, ma con il sorriso.

Scesero le scale due gradini alla volta.

"Hai preso tutto? La merenda?"

"Sì, ma'."

"Oggi è mercoledì, ce l'hai il ricambio per educazione fisica?"

"Ce l'ho!"

Attraversarono l'androne del condominio e rivolsero un saluto alla signora Nanetti, la portiera, intenta a spazzare le foglie secche dal viale. La signora Nanetti mugugnò qualcosa in risposta — non si trattava di un malumore occasionale: parlava sempre in quel modo — e le guardò passare con aria di disapprovazione. Alina, ritenendo che il problema dovesse avere qualcosa a che fare con i suoi capelli scarmigliati, i jeans pieni di buchi e il diavolone rosso che campeggiava sulla sua maglietta, girò la testa mentre attraversavano il cancello e salutò la vecchia brontolona, rivolgendole un sorriso tirato fino alle orecchie e agitando la mano in una parodia di entusiasmo. La signora Nanetti scosse la testa e rivolse lo sguardo alla sua scopa.

"Che ti ridi, ora?" chiese la mamma.

"Niente, ho pensato a una cosa," replicò Alina, ancora sogghignante, affondando le mani nelle tasche del giacchetto al soffiare di un refolo di vento mattutino.

"Hai freddo?" chiese la mamma, drizzando subito le antenne e registrando all'istante la giacca sbottonata, la mancanza di sciarpa, cappello, guanti e di uno strato di vestiario supplementare. "Certo, ti sei vestita di nuovo come Finfirillino ai bagni..."

Alina fece una faccia sdegnosa e finse di aggiustarsi sul naso degli occhiali inesistenti. "Signora Moretti," scandì, nell'imitazione della voce stridula della preside, "non dubiti che sua figlia raggiungerà l'edificio scolastico senza morire assiderata. Peccato, perché è un elemento di disturbo del quale preferiremmo liberarci!"

"Ossignore," gemette la mamma, spalancando la portiera dell'auto, "posso sapere quando finisce questa adolescenza?"

Alina non aveva lo stesso talento per le imitazioni della sua migliore amica, Noemi, che sapeva copiare voci e manierismi alla perfezione — ma se la cavava abbastanza bene da irritare a puntino i suoi genitori.

"Ma se è appena cominciata!" protestò Alina, stravaccandosi sul sedile del passeggero. "Fammi almeno arrivare all'esame di terza media, prima di lamentarti."

La mamma portò una mano alla fronte, nell'atteggiamento di chi è preda di una grande sofferenza.

"Cinture!" arrivò l'ordine perentorio, mentre la Punto si metteva in moto. Alina sbuffò, tanto per mantenere una dignità, e fece scattare la cintura di sicurezza.

Era una mattina d'autunno pallida e serena. Un sole un po' stropicciato faceva del suo meglio per cacciare via le poche nubi. Non erano ancora le otto e faceva freschetto, ma Alina giudicò che, arrivata l'ora di pranzo, si sarebbe fatto abbastanza tiepido da poter stare fuori senza giacca.

Ho attraversato le terre selvaggeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora