Capitolo 6 - Molteplici scenari

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Si può essere padroni di ciò che si fa.
Ma non di ciò che si prova.
-Gustave Flaubert

L'acqua scrosciava dal cielo plumbeo

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L'acqua scrosciava dal cielo plumbeo. Grosse gocce si schiantavano al suolo, mentre dei lampi illuminavano, di tanto in tanto, quel buio temporalesco, donando una flebile e fuggente luce al panorama che si estendeva davanti ai suoi occhi.

Sotto quei massicci portici, con il cellulare completamente scarico tra le mani e la valigetta poggiata a terra accanto ai suoi piedi, Damian se ne stava fermo. Contemplava quella pioggia incessante, nel silenzio di un campus che sembrava essersi addormentato fin troppo presto.

Tutto taceva, non una voce, non un bagliore. Sembrava come se in quell'università fosse rimasto solo lui. Ed era uno scenario che si era immaginato così tante volte. La sua opprimente solitudine sembrava sempre avere la meglio, perché quando provava a supporre il suo futuro, finiva sempre per vedersi solo.

Solo in qualche aula abbandonata, attorniato dai fantasmi di quegli scrittori, che da tutta la vita lo avevano accompagnato, donandogli il poco sollievo che bastava per distrarlo dalla dura realtà.

Una realtà che preferiva non guardare negli occhi. Che rifuggiva, nascondendosi nelle pagine di quei libri dal sapore antico.
Antico come il suo animo.
Come il suo cuore.

Ma quella volta, quella sera, il finale del suo scenario sembrò prendere una piega diversa.

Mentre si scervellava, per riuscire a scegliere l'opzione migliore su dove passare la notte, notò, in lontananza, la sagoma di una figura camminare nella sua direzione.

Non riusciva a capire chi fosse, era troppo buio e la pioggia troppo fitta per permettergli di fare anche solo una supposizione. Si strinse nel suo lungo impermeabile marrone, ritirando il cellulare nella tasca dei pantaloni.

Mano a mano che quella persona si avvicinava a lui, i lineamenti del suo volto si facevano sempre più chiari. E quando gli fu quasi davanti, le sue sopracciglia si alzarono in un'espressione quasi sorpresa.

«Professore, cosa ci fa qui?» Ember lo stava fissando, con un'espressione enigmatica. Completamente fradicia dalla testa ai piedi, teneva tra le mani un sacchetto in plastica bianca, sopra riportante il logo di un ristorante.

Alcune ciocche di capelli le si erano appiccicate al volto, così come i vestiti che indossava. Ma tutto ciò non sembrava infastidirla, anzi, pareva che quasi nemmeno se ne fosse accorta di quel diluvio.

Damian ci mise qualche secondo prima di rispondere a quella domanda, facendo passare nella sua mente tutte le immagini di ciò che aveva fatto quel giorno e che lo avevano portato a trovarsi lì in quel momento.

***

«Adelaide, mi fai parlare, per favore?!» aveva detto, alzando leggermente la voce e sperando che sua moglie, dall'altro capo del telefono, si zittisse per qualche secondo.

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