Capitolo 8 - Giorni di partenze

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Il grande vantaggio del giocare
col fuoco è che non ci si scotta mai.
Sono solo coloro che non sanno
giocarci che si bruciano del tutto.
-Oscar Wilde

«Ehi, piccolo genio!» l'esclamazione di Ember destò l'attenzione di tutte le persone presenti in quel laboratorio

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«Ehi, piccolo genio!» l'esclamazione di Ember destò l'attenzione di tutte le persone presenti in quel laboratorio.

Chiunque si girò verso di lei, compreso Carter, che abbandonò il suo lavoro, lasciando ricadere alcuni attrezzi sul tavolo in metallo davanti a lui. Sul suo viso si formò un sorriso genuino, mentre camminava verso la ragazza.

«Cosa ci fai qui?» le chiese. E stava quasi per lasciarle, istintivamente, un bacio sulle labbra, quando poi si ricordò di come lei non fosse avvezza alle effusioni in pubblico e soprattuto a come loro due non fossero effettivamente una coppia.

Aveva già provato a farlo una volta e il modo in cui lei si era scansata, prima che le loro labbra potessero incontrarsi, guardandolo poi accigliata, lo aveva mortificato parecchio. Era difficile starle dietro, con tutti quei repentini cambi d'umore e il suo carattere decisamente forte.

Gli aveva detto più volte, quando lui aveva cercato qualche contatto maggiore: "È solo sesso, Carter. Siamo due amici e andiamo a letto assieme, per divertirci, niente di più."

E lui si era convinto di potercela fare, di poter affrontare quel tipo di relazione che lei gli proponeva, perché all'inizio era stato più che entusiasta di quel patto. Ma il problema era che Ember lo confondeva ogni giorno. Se lui provava a fare il carino con lei, lei lo riprendeva, ricordandogli su cosa si basava il loro rapporto. Ciò però non le impediva di cercarlo ogni qual volta avesse bisogno di un qualsiasi contatto fisico o conforto emotivo.

Tante volte era la prima a fare gesti romantici e comportarsi come se lui fosse il suo ragazzo. E Carter non capiva perché Ember potesse avere certi atteggiamenti con lui, ma lui non doveva azzardarsi a fare lo stesso. Non capiva se lei lo facesse apposta o se davvero non si rendesse conto dei suoi comportamenti. Ma, soprattuto, non capiva perché continuasse a starle dietro, a farsi stare bene quella situazione.

O forse lo capiva.
Forse quel barlume di speranza, che lo convinceva del fatto che, prima o poi, lei si sarebbe resa conto di provare qualcosa di più per lui, lo teneva incollato a quella ragazza. Nonostante il loro rapporto, decisamente poco sano, lo facesse soffrire.

«Passavo di qui e sono in anticipo per la lezione, quindi ho pensato di entrare a salutarti» spiegò Ember, buttando un'occhiata oltre le spalle del ragazzo e osservando alcuni robot in costruzione. «State preparando il progetto che porterete alla fiera della Silicon Valley di lunedì?» chiese poi curiosa.

«Sì, vieni a vedere» le disse, invitandola a seguirlo. Ember si avventurò dentro quel laboratorio, osservando ogni minimo dettaglio di ciò che la circondava. Delle luci al neon, appese al soffitto, illuminavano l'intera stanza, mentre alcuni tavoli in metallo si trovavano sparsi in modo ordinato per quello spazio rettangolare. «Questo è quello che presenteremo» rivelò, mostrandole uno dei tanti robot ancora incompleto, poggiato su una superficie piatta, accanto ad un macchinario di cui lei non conosceva il nome.

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