Capitolo 35 - Gelosia

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La pazzia, a volte,
non è altro che la ragione
presentata sotto forma diversa.
-Johann Wolfgang von Goethe

Il sole era da poco sorto, colorando il cielo notturno di calde sfumature arancioni

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Il sole era da poco sorto, colorando il cielo notturno di calde sfumature arancioni.
Damian, seduto in quel bar, osservava il paesaggio che lo circondava. Stava facendo colazione assieme al suo collega e si stava godendo quella mattinata tranquilla prima dell'inizio delle lezioni.

L'odore del caffè di Kaplan gli inebriò le narici, mentre mescolava il suo tè, facendolo amalgamare perfettamente assieme al latte che ci aveva messo dentro. Si sentiva così stranamente calmo, gli sembrava che nulla potesse rovinargli le giornate. Nemmeno il pensiero che, il giorno dopo, sarebbe dovuto salire su un aereo per tornare in Inghilterra.

Non lo turbava, perché Damian era semplicemente felice.
Spensierato e beato in quella sensazione che lo cullava.

Da quando aveva chiarito le cose con Ember, tutto era stato in discesa. La ragazza, durante quelle settimane, aveva passato molto tempo a casa sua. Avevano cucinato, guardato film alla televisione, scopato, letto ai lati opposti del divano. Erano stati bene assieme.

Anche se era difficile mantenere il segreto e potersi comportare senza freni solo quando erano certi che nessuno li vedesse, per entrambi ne valeva la pena di fare qualche sacrificio, se questo significava poter continuare a viversi come stavano facendo.

Con sua moglie si era sentito poco, solo lo stretto necessario. Nessuno dei due aveva più riparlato della loro discussione avvenuta dopo che lei aveva scoperto quelle mutandine. Damian sapeva che, però, sarebbe stato l'argomento principale delle sue giornate sin dal momento in cui l'avrebbe rivista. Evitava di pensarci, aveva ancora ventiquattro ore da vivere lì a Boston, prima della sua partenza, e voleva godersele senza farsi intaccare da pensieri negativi.

«A che ora parti domani mattina?» gli chiese Kaplan, terminando di bere il suo caffè amaro.

«Alle dieci» rispose, facendo poi mente locale e cercando di ricordare se avesse preso tutto il necessario. Quella sera, Ember sarebbe andata da lui e di certo il professore non voleva passare il tempo preparando la valigia. Perciò si era già portato avanti.

Dall'altra parte del campus, il sole iniziò a filtrare sempre più prepotentemente dalle tende bianche che coprivano parte della finestra di quella camera. Ember aveva già gli occhi aperti, sbatteva le palpebre, assonata, mentre teneva lo sguardo sulla sua compagna di stanza, che stava ancora dormendo.

Jodi si trovava a pancia in su, con un braccio sopra la testa e la bocca leggermente aperta. I lunghi capelli biondi erano per la maggior parte sparsi sul cuscino, anche se alcune ciocche le ricoprivano il viso, poggiandosi persino tra le labbra dischiuse.

Ember lanciò un'occhiata alla sveglia, mancavano pochi secondi prima che suonasse. Tenne lo sguardo fisso sul display, aspettando. Il fastidioso rumore acuto si diffuse poi nell'aria, facendo aprire anche gli occhi di Jodi.

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