Capitolo 11.1 - Bel Culetto

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Nessuno di noi vuole stare in
acque calme per tutta la vita.
-Jane Austen

Erano le sette del mattino, il sole era sorto da poco, regalando al cielo azzurro una pallida luce

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Erano le sette del mattino, il sole era sorto da poco, regalando al cielo azzurro una pallida luce. La città si stava lentamente svegliando e in quel piccolo sobborgo, alcune famiglie erano già pronte per uscire di casa e dirigersi al lavoro o a scuola.

Ember camminava per quelle vie tranquille, sentendosi come una specie di alieno. Lei non apparteneva a tutto ciò su cui i suoi occhi si stavano posando. Inevitabilmente, ricordò parti della sua infanzia. Come quando la mattina si svegliava e non c'era nessuno a darle il buongiorno, quando la sera andava a dormire e nessuno era lì per darle la buonanotte.
Era diventata autosufficiente nel momento in cui gli altri bambini della sua età si facevano ancora scegliere i vestiti dai genitori.

Passò davanti a una graziosa villetta e il suo sguardo cadde oltre una grossa finestra in stile inglese. Una famiglia se ne stava seduta attorno ad un tavolo rotondo, facendo colazione, parlando e ridendo felici.

La ragazza provò ad immaginarsi una loro possibile conversazione, in cui esponevano quello che li avrebbe attesi durante la giornata e si incoraggiavano a vicenda. E allora si ricordò di tutte le volte in cui aveva consumato un pasto in totale solitudine, fissando il muro bianco della cucina e osservando le lancette dell'orologio girare, scandendo un tempo che a lei pareva non scorrere mai.

Dal momento in cui aveva raggiunto l'età per essere in grado di autogestirsi completamente, le tate che la curavano se n'erano andate e allora sì che era rimasta davvero da sola.

Si svegliava al mattino con un silenzio assordante che regnava in quella casa decisamente troppo grande per una sola persona, si preparava la colazione e poi usciva. Camminava per una decina di isolati e passava la sua giornata a scuola. Cercava di starci il più tempo possibile, perché voleva evitare di ritornare a casa e scoprire di essere ancora circondata solo dai suoi pensieri. Ma alla fine, quel momento arrivava e quando varcava la soglia della porta e scopriva che i suoi genitori erano ancora al lavoro o in qualche altro stato per concludere delle trattative, sentiva come un vuoto nello stomaco.

Si chiudeva in camera sua, nonostante sapesse di poter stare in qualsiasi altra stanza della casa, perché nessuno l'avrebbe disturbata e lei non avrebbe rischiato di fare lo stesso. Leggeva e studiava, faceva di tutto pur di distrarsi. Faceva di tutto per tenere la mente impegnata, per evitare di porsi domande alle quali non voleva rispondere affatto.
E poi arrivava il momento della cena, in cui la speranza che i suoi genitori si facessero vivi cresceva sempre di più e poi moriva lentamente, mano a mano che passavano le ore e il sole calava.

Perciò mangiava da sola, sempre seduta a quel tavolo, sempre davanti a quel muro e poi andava a letto. E il giorno dopo, ogni cosa ricominciava da capo, fino alla nausea.

Tutta quella solitudine che aveva provato, le si era insidiata fin dentro le ossa, attaccandosi alla sua anima, oscurandole la mente. Tutte quelle speranze che si infrangevano, minuti dopo minuto, avevano formato il suo carattere e ormai nulla sembrava in grado di poterla scuotere più di tanto.

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