Capitolo 12 - Giocare a Nascondino

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I mostri più spaventosi sono quelli che
si nascondono nelle nostre anime.
-Edgar Allan Poe

Erano passati quattro giorni da quella notte

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Erano passati quattro giorni da quella notte.
Quattro giorni in cui lui aveva fatto di tutto pur di evitare quella ragazza.
E -lezioni a parte- ci era riuscito piuttosto bene.

Damian aveva avuto la fortuna di essere stato molto preso dal lavoro, dovendo sistemare il programma in funzione della prima parte dell'esame che gli alunni avrebbero dovuto sostenere per il suo corso. L'aveva fatto con un largo anticipo, ma il suo carattere estremamente preciso e il suo costringersi a tenersi impegnato, non gli avevano permesso di fare altrimenti. In più, Kaplan e altri suoi colleghi avevano iniziato ad invitarlo a pranzo nella mensa dell'università e lui era felice di questa loro volontà di volere la sua compagnia.

Aveva fatto di tutto per non pensare a ciò che era accaduto quella sera, a casa sua.
Perché, fingere che nulla fosse successo, impediva ai suoi sensi di colpa, in parte anche ingiustificati, di divorarlo.

Non riusciva ad evitarli sempre però. C'erano dei momenti in cui quei pensieri prendevano il sopravvento e lui si sentiva come un peso sul petto, che gli impediva di respirare. Il panico bussava alle porte della sua mente, attanagliandogli il cervello.

Mentire non era mai stato nelle sue corde, non in quel modo almeno. Perché quando parlava al telefono con sua moglie, le uniche immagini che passavano davanti ai suoi occhi riguardavano quella ragazza sopra di lui, con i capelli spettinati e l'espressione compiaciuta. Il modo in cui le sue labbra lo avevano baciato e gli avevano donato una sensazione di leggerezza e piacere che mai prima di allora era certo di aver provato.

Non si dava pena per aver tradito Adelaide, ma per essere stato incoerente con se stesso. Per aver distrutto la fiducia che Paul e Gemma riponevano in lui. Per aver infranto le regole di quell'università che tanto lo aveva voluto lì.

Sapeva che ciò che aveva fatto era sbagliato, continuava a ripeterselo. Eppure, in un meandro buio della sua mente confusa, c'era una vocina flebile che gli suggeriva di rifarlo. Ancora e ancora.

Era determinato a non darle ascolto.
Per quanto ci sarebbe riuscito? Sarebbe stato in grado di metterla a tacere per sempre ed evitare che avesse la meglio su di lui?

In ogni caso, Damian non era stato il solo ad evitare lei e la sua mente. Anche Ember aveva fatto lo stesso.

Dopo aver ottenuto ciò che voleva, aveva smesso di rivolgergli sguardi insistenti e di cercarlo. Aveva dimostrato di aver ragione, anche lui infrangeva le regole. O forse era semplicemente che chiunque si parasse sul suo cammino, prima o poi, finiva per fare qualcosa di sbagliato. La sua presenza nella vita delle persone portava sempre caos, ormai lo aveva capito bene.

Non era mai stata interessata a conquistarlo, era sempre e solo stata una sfida per lei. Tutto nella sua vita finiva per diventare una sfida. Il modo in cui era cresciuta, sola, senza affetto, sentendosi dire sempre che nulla sarebbe mai stato abbastanza finché sarebbe esistito qualcuno in grado di fare meglio, le aveva fatto sviluppare quel carattere difficile. Perciò prendeva ogni cosa come un ostacolo da superare. Perciò aveva sempre bisogno di avere ragione, di vincere.

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