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Tornai a casa più in fretta possibile. Accesi subito una sigaretta appena entrai, fumavo troppo quando ero nervosa e questo non mi faceva bene ma era l'unica cosa che mi calmava un po'. Quella sera non mi calmai neanche con una sigaretta. Ero delusa più che arrabbiata, non è la rabbia che mi fa rompere i rapporti con le persone ma è la delusione. Quando m'arrabbio con qualcuno è perché voglio restare, quando resto delusa poi sparisco. Quella sera volevo sparire, avevo aperto gli occhi su di lui e avevo chiuso il mio cuore. Sembrava che non lo conoscessi, chi era veramente? Quello che avevo conosciuto io o quello che invitava a ballare Berta e non me? Quando le persone giocano con i miei sentimenti e si mostrano per quel che non sono non riesco più a guardarle come prima.
Mi levai i tacchi e il vestito non stavo sopportando più niente, misi i pantaloni della tuta e stavo per mettermi una maglietta quando suonò il campanello. Suonarono insistentemente quindi non feci in tempo a vestirmi. Doveva essere Alba ma mi sembrava strano che fosse già andata via dall'evento.
"Cazzo Alba ma che hai messo il turbo?" Le dissi io con un tono di voce alto mentre andavo ad aprire la porta con la maglietta in mano. Aprii la porta ma non mi ritrovai Alba davanti. Era Andres che mi squadrò dalla testa ai piedi, osservò attentamente il mio corpo e poi si morse il labbro. Io sbuffai quando lo vidi, tra tutte le persone che volevo avere in casa mia lui era l'ultimo. Mi allontanai dalla porta lasciandola aperta cosicché lui potesse entrare. Andai in cucina a lavare i piatti con le spalle rivolte verso di lui che non mi staccava gli occhi di dosso. Finiti i piatti da lavare li appoggiai sul tavolo dove era appoggiato anche lui. Non lo degnavo di uno sguardo e il silenzio diventava sempre più intenso.
"Perché sei andata via?" Mi chiese vedendomi sbattere le posate per il nervoso.
"Avevo mal di testa" risposi io sollevando le spalle, nonostante tutto aveva anche il coraggio di chiedermelo.
"Si e poi quale altro motivo c'è?" Domandò di nuovo lui.
"Senti... perché non ritorni alla sfilata? Cosa ti importa del motivo per cui me ne sono andata?" Continuai io già stufa di quella situazione.
"Ero stanco di stare lì" si giustificò. Ma perché faceva così?
"Strano eppure avevi una bella compagnia." Lo stuzzicai, mi guardò ridendo perché aveva capito a cosa mi riferissi.
"Dai volevo solo farti ingelosire un po', ci sono riuscito?" Mi disse divertito. Pensava veramente che mi fossi divertita ma non era esattamente così. Per me non era un gioco, io ero totalmente persa per lui e quel completamente che non era suo solito mi fece molto male.
"Pensi veramente che sia un gioco per me? Che mi diverta guardandoti ballare con qualcun'altra?" Sbottai io con tutta la delusione che avevo nel corpo.
Non avevo ancora finito.
"Chi sei veramente? Non sono un oggetto, non mi usi per soddisfare le tue voglie e poi te ne vai." Impazzì. Mi guardava dispiaciuto forse anche un po' spaventato. Non si aspettava questa mia reazione, forse pensava che l'avessi presa più leggermente invece per me era molto seria.
"Non pensavo che..." cercò di parlare ma lo stoppai subito, non volevo sentire le sue scuse.
"No non inventarti nessuna scusa. Io non mi fido delle persone e se mi lascio andare con qualcuno è perché sto dando importanza a quella relazione. Se poi mi ritrovo gente che come te fa questi giochetti perché crede di stare ancora alle superiori l'unica cosa che deve fare è uscire da quella cazzo di porta e non tornare più." Gli urlai contro scaricando tutta la mia rabbia. Rimase senza parole, si rese conto di aver sbagliato. I miei occhi si gonfiarono di lacrime, Andres cercò di prendermi la mano ma mi allontanai subito.
"Vuoi che me ne vada?" Mi chiese lui a testa bassa.
"Non voglio che tu vada via, non l'ho mai voluto" le lacrime scesero lungo il mio viso. "Ma non ha senso che tu rimanga se poi devi prenderti gioco di me. Io sono ormai completamente persa e questo lo sai bene, ma non voglio stare male in questo modo, quindi se vuoi divertirti con questi giochi io non sono la persona giusta" Conclusi asciugandomi le lacrime. Sollevai le spalle e allargai le braccia, ancora più delusa di prima andai a letto mentre lui era in silenzio. Quel suo silenzio mi stupiva, non aveva davvero niente da dire? Il silenzio era preoccupante, a volte serve per dire quello che il cuore non ha il coraggio di dire e se lui non aveva niente da dire significava che da parte sua non c'era davvero nessun interesse.
Con chi ero stata tutto questo tempo? Non era possibile che lui non avesse niente da dire, neanche delle scuse.
Mi accoccolai tra le coperte ma non riuscivo a dormire, pensavo a lui che era nell'altra stanza e che era troppo orgoglioso per venire a parlare con me. Non avevo sentito aprire e chiudere la porta quindi era ancora in casa. Entrambi non avevamo il coraggio di dirci addio ma avevamo paura di continuare perché ci saremmo distrutti a vicenda giorno dopo giorno.
Io trovai quel coraggio per dirgli cosa provavo lui però ebbe il sangue freddo di prendere la decisione più dura. Venne in camera mia e si assicurò che io non dormissi.
"So che non dormi..." mi disse lui avvicinandosi al mio letto e sedendosi.
"Sono sveglia, non riesco a chiudere occhio." Risposi io sedendomi con la schiena appoggiata al cuscino, accesi la luce per vederlo meglio.
"Non sono perfetto, non lo sono mai stato, sbaglio continuamente ma forse hai ragione. Non sono la persona giusta per te e tu non lo sei per me" si fermò, era pentito ma nei suoi occhi vedevo la consapevolezza di quello che mi stava dicendo, sicuramente ci aveva già pensato. Poi continuò "io e te finiremo per distruggerci e credo che sia meglio prevenire che curare" restò in silenzio dopo quelle parole e guardava a terra, tratteneva le lacrime.
"È finita vero?" Chiesi con voce strozzata, piangevo e non riuscivo a fermarmi.
"Non è mai iniziata Najwa" mi rispose, anche lui piangeva. Faceva male, molto male. Non eravamo pronti a dirci addio e forse era troppo presto, ma in quel momento sembrava la cosa più giusta da fare. Non stavamo insieme nel vero senso della parola ma sarebbero finite tutte le sue attenzioni nei miei confronti e non avremmo più passato tempo insieme. Lui si alzò dal letto, mi guardò per l'ultima volta e poi si allontanò senza salutarmi.
Rimasi sola nel mio letto a fissare il vuoto per un tempo indeterminato. Mi sentivo persa, il mondo crollò in quel momento in cui lui voltò le spalle e se ne andò.
I veri addii scattano nella mente, sono silenziosi. Sono i più veri e i più pericolosi, sono quelli che tieni dentro. Puoi anche continuare a stare con una persona ma se l'hai salutata dentro non ti avrà più.
Noi non ci eravamo detti addio per sempre, il nostro non era un addio definitivo, non eravamo pronti a salutarci per sempre. Eravamo uniti da qualcosa che non riuscivamo a capire, così sottile da essere quasi invisibile ma anche fragile perché poteva rompersi da un momento all'altro e già era successo.
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Andres tornò a casa distrutto, anche lui era molto deluso e scoraggiato da quella situazione. Aveva avuto il coraggio di prendere quella decisione così dura ma da una parte aveva anche ragione. Io e lui ci saremmo distrutti un giorno, il nostro orgoglio, le nostre insicurezze e la nostra paura non erano d'aiuto.
Eravamo come due calamite dello stesso polo che cercano di unirsi ma non ci riuscivano, provavamo ma la paura di farci male a vicenda ci separava. Così eravamo uguali ma con due cuori divisi.
"Ehi Marco cosa vuoi?" Rispose Andres al telefono mentre era nel letto perso tra i suoi pensieri.
"Niente volevo avvisarti che domani mattina c'è la presentazione del libro di Daniel, ti passo a prendere alle 10" disse l'amico.
"Hai già dato conferma?" Domandò Andres con un filo di voce.
"Si non mi dire che hai cambiato idea" sbuffò Marco.
"Non serve più a niente... però non fa niente ci andiamo lo stesso" scoraggiato rispose Andres.
"Sei sicuro di star bene? Non ti sento in forma" chiese Marco preoccupato.
"No non sto bene ma mi riprenderò... ti lascio che è tardi" chiuse la chiamata, tentò di dormire ma non ci riuscì.
Così decise di iniziare a leggere il libro che aveva comprato quella mattina. Voleva arrivare fino in fondo anche se oramai le possibilità di stare insieme erano pari a zero. Ma lui era così, determinato e tenace, non si arrendeva.
I primi capitoli raccontavano la mia infanzia, parlavano della mia famiglia, i primi anni di scuola. In poche parole era una mia biografia ma non l'avevo scritta io. Andres sorrideva ogni volta che leggeva il mio nome. Arrivò a leggere della mia adolescenza e degli anni in cui iniziai a fare le mie esperienze, ma stanco decise di chiudere.
"Tu mi farai impazzire alla fine di tutto ciò" sussurrò nel silenzio e nella solitudine di casa sua.

IL SILENZIO DI UNA ROSSA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora