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La notte passò molto lentamente, non chiuso occhio ovviamente. Andavo avanti e indietro per la stanza e per il corridoio, aspettando senza alcun risultato qualsiasi segno da parte di Andres. Era forte sapevo che ce l'avrebbe fatta, non mi avrebbe lasciata sola, sarebbe stato solo un brutto ricordo.
Alle 4 di notte circa decisi di mettermi accanto a lui distesa sul letto facendo attenzione a non fargli male dove aveva le ferite. Volevo fargli sentire la mia presenza in qualche modo, volevo proteggerlo come lui ha sempre fatto con me. Mi mancavano i suoi occhi, i suoi abbracci e parlare con lui prima di andare a dormire.
Il giorno dopo venne Marco per controllare la situazione anche se era tutto come prima. Mi disse che al processo mi avrebbe accompagnata lui e visto che non c'era più uno dei testimoni avremmo dimostrato che l'incidente era stato causato da Antonio. Con le telecamere dell'autostrada si poteva vedere chiaramente che la macchina è andata volontariamente contro quella di Andres. Potevo dimostrare anche che Antonio era stato a casa mia 10 minuti prima dell'incidente, con le telecamere di casa, e mi aveva indirettamente avvisata.
"Tu come stai invece?" Mi chiese Marco dispiaciuto mentre eravamo seduti in lato opposti del letto.
"Bella domanda... non so nemmeno io so come sto." Risposi guardando Andres, una lacrima mi rigava il viso.
"Come hai passato la notte?" Domandò l'uomo davanti a me.
"Chiedendomi cosa ho sbagliato, e cosa ha fatto di male lui per ricevere questo..." mormorai io. Ci mise un po' a rispondermi.
"Non credo che amarsi a vicenda sia sbagliato, è quello che c'è intorno a voi che è tossico..." replicò lui. Nelle sue parole c'era molta verità ma facevo fatica ad accettare che fosse giusto quello che diceva. Tendevo ad assumermi tutta la colpa quando le persone che mi volevano bene soffrivano.
Alba mi chiamò più volte in quei giorni che rimasi in ospedale, per farmi compagnia, vedeva chiaramente anche solo con una videochiamata che non stavo bene. Come potevo affrontare il processo in quello stato, la persona più importante della mia vita non ci sarebbe stata e mi sentivo persa.
I dottori andavano e venivano per monitorare la situazione, per cambiare le flebo e per medicare le ferite, ma non si smuoveva nulla nell'uomo che avevo davanti.
Non potevo vederlo ridotto in quello stato, non riuscivo a sopportarlo.
Per distrarmi mentre ero accanto a lui, guardavo le nostre foto e video insieme, mettevo il telefono davanti al suo volto come se lo stesse guardando con me. Parlavo con lui, senza ricevere risposta però. Sapevo che mi poteva ascoltare e immaginavo a cosa potesse passare nella sua testa in quel momento, mentre io parlavo.
"Lo so che in questo momento non mi sopporterai più, visto che sto parlando da più di tre ore ma in qualche modo dovrò pure passare il tempo no?" Mi rivolsi a lui sorridendo, ero un po' più spensierata ed ero più ottimista, anche se ogni tanto i brutti pensieri ritornavano.
"Ti ricordi quando mi hai chiesto l'accendino?" Domandai io immaginandomi la risposta che mi avrebbe dato se fosse stato cosciente.
"Oppure quando lo abbiamo fatto nel backstage dell'evento? Avevo quel lungo vestito rosso ricordi? Andavi matto per quell'abito..." mi fermai un attimo a pensare a quei momenti, li rimpiangevo, sarei ritornata volentieri indietro ma non avrei cambiato nulla, a parte l'incidente. Presi la sua mano senza stringerla troppo per non fargli male e il mio monologo continuò.
"Ho fatto cose con te che non avrei mai fatto in vita mia, rimanere incinta per esempio. Mi pento di aver pensato di abortire, adesso è la cosa che più desidero, oltre a vedere di nuovo i tuoi occhi..." guardavo il suo viso, pieno di graffi, ero incantata da lui nonostante si trovasse in quello stato. Ero completamente persa, lo amavo con tutte le forze che avevo, amavo ogni singolo dettaglio del suo corpo e del suo carattere.
"Mi manchi... non sai quanto..." smisi di parlare, il nodo alla gola saliva sempre di più ma al posto di piangere sorrisi, lui non avrebbe voluto che stessi male. Sorrisi perché anche solo il fatto che fosse vivo per me era un miracolo e poi sorrisi perché averlo nella mia vita mi aveva fatto capire che da soli non si può andare da nessuna parte, si è più forti se c'è qualcuno al nostro fianco.
Mi alzai dalla sedia e tenendo ancora la mia mano nella sua gli lasciai un leggero bacio sulla labbra. Ad un tratto sentì la sua mano stringere leggermente la mia, rimasi senza parole. Scoppiai a ridere e a piangere nello stesso momento, non era sveglio ma quel segno mi fece capire che mi aveva ascoltata, era lì con me, non parlavo sola.
Mi diede un sollievo che non provavo da molto tempo e mi sentii più leggera, ce l'avrebbe fatta, ma quando?
"Quando ti svegli ce ne andremo in un posto lontano io e te per un tempo indefinito, anche per tutta la vita. Promettimi che ti sveglierai..." sussurrai al suo orecchio sorridendo, lui mosse di nuovo la mano ed io ero la donna più felice al mondo. Non smettevo più di ridere, ed ero convinta che lui mi stesse ancora ascoltando e fosse fiero di me.
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Tre giorni dopo ero ancora in ospedale, stavo iniziando ad abituarmi a quella vita ma speravo quanto prima di tornare a dormire nel mio letto insieme a lui. Tornai a casa poche volte, per lavarmi e per portare i vestiti sporchi, non lo lasciavo solo un minuto.
Erano le 7 di sera, mancavano solo due giorni al processo e non ero mai stata così determinata ad affrontare una situazione come questa. Volevo "rivendicare" quello che avevano fatto ad Andres.
I dottori dicevano che era stabile, il cuore batteva regolarmente, ma lui non si svegliava, completamente immerso in un sonno profondo e infinito.
Andai a prendere un caffè alla macchinetta accanto alla stanza, in qualche modo dovevo trovare le energie per resistere.
Mentre aspettavo che uscisse il mio caffè mi squillò il telefono.
"Lurido bastardo, mi spieghi dove trovi il coraggio di chiamarmi?" Ringhiai ad Antonio al telefono. Lui si mise a ridere per sfottermi.
"Tesoro non capisco a cosa tu ti riferisca, ti ho chiamata per ricordarti del processo..." mi prese in giro lui sempre con la sua aria di superiorità, ma chi si credeva di essere?
"Tesoro? Tesoro lo dici a qualcun'altra. Finirai male e lo sai anche tu, purtroppo non riesci ad accettarlo e quindi stai cercando qualsiasi modo per rovinarmi la vita in questi due giorni che ti rimangono..." sbottai nervosa io. Tornai in camera e mi avvicinai alla finestra da cui si vedeva un panorama di Madrid bellissimo.
"E dimmi un po'... ci sono riuscito almeno?" Mi chiese lui curioso, mi aveva chiamata per sapere di Andres, se fosse riuscito nel suo intento. Ci era riuscito ma non gli diedi la soddisfazione.
"Fottiti." Chiusi la chiamata e scaraventai il telefono nella borsa. Come mi faceva innervosire lui nessuno ci riusciva. Finì di bere il mio caffè e mi avvicinai ad Andres che riusciva a calmarmi anche dormendo. Mi accoccolai accanto a lui nel letto facendo sempre molta attenzione e ancora una volta mosse la mano facendomi commuovere.
"Vinceremo..." mormorai guardandolo.

IL SILENZIO DI UNA ROSSA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora