Parte 68: Ellen Julia Soccers.

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Un chiacchiericcio e il rumore di alcune risate mi svegliano, insieme ad uno stupido raggio di sole.

Apro un occhio solo all'inizio, per abituarmi alla luce ma quando provo ad aprire anche l'altro sono obbligata a chiuderli entrambi: "Maledetto sole." Impreco sotto voce coprendomi il viso.

Con la mano come scudo per i miei occhi mi alzo a sedere, sicuramente questa non è la mia stanza e sicuramente questo non è il mio appartamento.

Un velocissimo flash di ieri sera si insinua nella mia mente: "Oh." Spalanco gli occhi, vabbè, ormai.

Ma certo, tanto ormai è come se foste sposati, no?

Oh stai zitta, l'ultima cosa che voglio sentire la mattina è la tua voce. 

Felice risveglio anche a te.

Mi guardo attorno, devono essere almeno le dieci del mattino, se non di più.

La finestra è aperta, sicuramente un altro dei motivi per cui mi sono svegliata, la fresca brezza newyorkese è fin troppo fresca stamattina nonostante ci sia il sole, cosa già di per se rara nella Grande Mela. 

Mi alzo in piedi e vado a chiuderla ed è solo in quel momento che mi rendo conto che sono sola nella stanza anche se la cosa non mi sorprende, al contrario mio Nate Hepbourne è una delle persone più mattiniere che io conosca.

Fosse per me dormire fino alle due del pomeriggio.

Addosso ho solamente l'intimo, non sorprende nemmeno questo però sto congelando quindi, mentre combatto contro l'impulso di rintanarmi nuovamente nelle coperte, cerco qualcosa da mettermi.

Indubbiamente non posso mettermi il mio vestito, per due motivi:

    1. Ѐ ridotto come uno straccio.
    2. Ѐ decisamente impossibile da indossare, lo brucerò. 

"Pff." Sbuffo guardandomi attorno, l'unica cosa che sembra indossabile è la camicia di Nate.

Oh ma chi prendo in giro, è sol la scusa che inventerò quando mi chiederà perché la indosso perché dai, chi non la metterebbe? 

Mi sta decisamente grande e mi fa sentire molto più bassa di quanto io effettivamente sia. 

Apro la porta decisamente troppo rumorosamente, tanto da farmi sentire dal piano di sotto a quanto pare: "Sei già sveglia? Pensavo dormissi fino alle due!" Seguo il suono della sua voce, pregando di non perdermi in mezzo a tutti questi corridoi intersecati l'uno all'altro.

Quando finalmente arrivo alla cucina, decisamente più moderna di quel che credevo, mi blocco come una statua di cera.

"Tesoro! Fatti abbracciare!" La voce gracchiante di una donna sulla settantina, vestita rigorosamente di bianco e azzurro, mi richiama.
"Nonna." Lei mi si fionda contro e mi abbraccia, supplico un po' d'aiuto da parte di Nate che nel frattempo ride della situazione.

Ellen Julia Soccers, una donna decisamente minuta ma con una stretta così potente da rompere le ossa anche ad un elefante, è qui.

Cioè, QUI.

"Oh quanto sei cresciuta! Stavo giusto dicendo a Nathaniel quanto fossi simile a me quando avevo la tua età." Torna a sedersi sullo sgabello contemplandomi come se fossi la sua versione più giovane.

Cosa che non sono, perché sono identica a mia madre. 

"Nonna, che ci fai qui?" Domando incrociando le braccia al petto con fare di rimprovero: mia nonna ha il grande talento di imbucarsi sempre dove non dovrebbe. 

Un po' come te.

Oh si, forse.

La donna dai folti capelli bianchi sospira esasperata: "Tua madre! Quella donna è un disastro! Mi ha chiamata ieri sera alle ventitré urlandomi contro che eri un'ingrata e altre carinerie inascoltabili, come ho fatto a crescere una ragazza come lei, dovrebbero farmi santa." Afferma mentre agita la mano in aria, scocciata dalla situazione. 

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