Nell'udire quella richiesta, la donna sembrò innervosirsi molto, ed il suo atteggiamento nei confronti dello sconosciuto che aveva bussato alla sua porta divenne molto più freddo. -Le ripeto la domanda, lei chi è?-.
Jason sospirò ed intrecciò le braccia dietro alla nuca. Il suo primo istinto sarebbe stato quello di assestarle una bella spinta ed entrare in casa con la forza, ma dovette ricordare a se stesso che se voleva ottenere la sua collaborazione avrebbe dovuto usare strategie differenti.
-Chiedo scusa, che sbadato...- borbottò, voltandosi indietro per un secondo come volesse assicurarsi che gli altri fossero ancora ben nascosti. -Sono un collega dell'agente Davis, mi spiace disturbarvi a quest'ora ma è una cosa molto urgente-.
La donnina aggrottò la fronte, e scrutò con attenzione il volto del suo interlocutore. Esitò molto, perché c'era qualcosa nella faccia di quell'uomo che la metteva profondamente a disagio, seppur non avrebbe saputo spiegarsi da quale dettaglio in particolare fosse scaturita quella brutta sensazione. Forse era quel suo strambo ghigno, o le spesse linee di matita nera che contornavano grossolanamente i suoi occhi.
-E va bene- mormorò, ma senza liberare l'ingresso. -Allora mi mostri il tesserino... Sa, di questi tempi non ci si può fidare-.
Jason strinse le labbra, ed ancora una volta ebbe l'impulso di aggredire la donna; ma si trattenne, anche se a stento.
-Io non ho nessun tesserino, signora- esordì, improvvisando in modo estremamente goffo. -Ho detto che sono un collega dell'agente Davis, si... ma non sono un vero poliziotto-.
La donna gli lanciò uno sguardo atterrito. -Come?- domandò, pronta a sbattergli la porta in faccia.
- Sì, beh, per il momento sono solo un apprendista e...-.
A quel punto, l'uomo dai capelli rossi capì di essersi messo nei guai da solo: la sua spiegazione faceva acqua da tutte le parti, e sapeva per certo che senza il tesserino quella donna non gli avrebbe mai concesso di entrare. Così, assecondando finalmente i sui istinti aggressivi, sfoderò dalla tasca il suo coltellino a serramanico e lo puntò con un movimento estremamente rapido alla gola della povera donna, ma senza penetrarne la carne.
-Urla e ti ammazzo, cerca di scappare e ti ammazzo- le disse, a bassa voce. Con quel semplice gesto aveva riconfermato la sua innata capacità di uccidere, seppur non si sarebbe mai sognato di farle davvero del male: in effetti, nella sua carriera da serial killer, Jason non aveva mai fatto del male a nessuno che non fosse un membro della sua famiglia.
La donna si immobilizzò all'istante, restando con il fiato sospeso e con l'angosciante sensazione di trovarsi in bilico tra la vita e la morte; poteva sentire chiaramente il leggerissimo contatto della lama affilata sulla sua carne, e le vene pulsare sotto di essa. -Ok...Ok- sussurrò, con un filo di voce.
E fu proprio allora che, spostando lo sguardo, vide risalire dalla rampa delle scale altre tre persone a lei totalmente sconosciute: un ragazzino dai capelli biondi, al cui fianco avanzava un individuo incappucciato di cui non riuscì ad incrociare lo sguardo, ed infine una ragazza dai lunghi capelli neri che però apparivano, per qualche ragione, innaturali.
La donna era terrorizzata, incapace di ragionare o reagire in alcun modo, e terribilmente preoccupata per la sorte del padrone di casa. Non aveva idea di cosa quella gente potesse volere dal signor Davis, ma la questione non sembrava promettere nulla di buono.
-Portaci da lui, e non azzardarti a parlare- le ordinò ancora Jason, invitandola a voltarsi ed incamminarsi lungo il corridoio dell'appartamento.
Ben, Jeff e Jane seguirono i loro passi in silenzio, ma lanciandosi tra loro sguardi preoccupati: non era previsto che Jason avrebbe usato le maniere forti, e si chiedevano come sarebbe andata a finire adesso la faccenda.
La povera donna camminava a passo lento, intrappolata dal braccio sinistro di Jason e dalla lama del suo coltello che con la mano opposta manteneva sempre adagiata sul suo collo, e lentamente attraversò il corridoio in direzione dello studio del signor Davis.
E Jeff, che nella fila era l'ultimo, si perse qualche istante ad osservare i quadri appesi sui muri: sperava che avrebbe trovato qualche conferma nelle foto incorniciate, ma realizzò presto che quella casa fosse estremamente impersonale. Non c'era nessun dettaglio che lasciasse interdere chi fossero le persone che vi abitavano, tutto era estremamente preciso e sterile. Laddove di solito si appendono le foto di famiglia, vi erano invece quadri astratti di qualche artista. L'ambiente era pulito in modo impeccabile tanto da somigliare al corridoio di un ospedale, e non vi era alcun oggetto fuori posto, o segno di disordine.
Tutto era perfetto.
Ogni cosa era esattamente dove doveva stare.
Nel notare questo, Jeff sentì il buco nel suo stomaco diventare una voragine nera: suo fratello era sempre stato un ragazzo esternamente ordinato, fino a raggiungere un livello quasi ossessivo, dunque anche quei dettagli stavano continuando a rafforzare le ipotesi di Ben e Jason.
-Da che parte andiamo?- esordì l'uomo, sussurrando nell'orecchio del suo ostaggio. E l'anziana, con un filo di voce, riuscì a malapena a rispondere a quella domanda. -Quella porta- mormorò. -Quello è il suo ufficio-.
Ancor prima che i due avessero raggiunto la maniglia, tuttavia, Jeff si fece avanti in modo del tutto improvviso; con un rapido scatto si allontanò dagli altri ed aprì la porta, facendola sbattere rumorosamente contro alla parete interna. Trattenendo il fiato sollevò lo sguardo, e ciò che trovò davanti a se fu una stanza di piccole dimensioni, tappezzata di scaffali e mobili di ogni genere sui quali, in modo estremamente preciso, erano riposti libri e pile di fascicoli; al centro, proprio davanti ad una finestra chiusa, vi era una piccola scrivania sulla quale un ragazzo puntava i gomiti.
Un ragazzo dai capelli castani, che sollevò la testa dal libro che stava impugnando non appena percepì quel baccano; e nel momento in cui lo fece, gli occhi di Jeff ebbero occasione di posarsi su quel volto che non avrebbe mai potuto confondere con nessun altro. Una chioma castana estremamente ordinata ricadeva sulla fronte del ragazzo, il cui volto era segnato da un considerevole numero di spesse cicatrici; indossava un pigiama elegante di un colore molto scuro, tra il blu e il nero, e sedeva su una poltroncina di finta pelle.
Il moro non aveva alcun dubbio, quello era suo fratello.
Quello era Liu.
E tutto ciò che avrebbe voluto dire in quel momento restò intrappolato nella sua gola, perché in un attimo si ritrovò paralizzato dall'incredulità.
Il volto di Liu si dipinse di paura, stupore ed estrema confusione nel momento in cui, a sua volta, riconobbe la persona che aveva davanti.
Erano passati moltissimi anni, dall'ultima volta che aveva visto Jeff dal vivo; e mai per un solo secondo aveva desiderato incontrarlo ancora.
Il moro socchiuse le labbra, con il cuore che scalpitava nel petto e le braccia scosse da continui spasmi involontari; fece un timido passo avanti, senza mai staccare gli occhi dal volto del fratello come volesse assicurarsi di non vederlo sparire nel nulla proprio davanti a lui.
Nonostante tutto, continuava a chiedersi se tutto ciò che stava vivendo fosse reale; la sua mente era sommersa da un'onda di emozioni in netto contrasto tra loro, e più cercava di restare lucido più si sentiva trascinare via dal caos dei suoi pensieri.
Prese un pizzico d'aria, mentre allungava istintivamente una mano in direzione del fratello maggiore tentando invano di raggiungerlo nonostante il suo corpo si fosse paralizzato.
-L...Liu...- mormorò, con la voce spezzata dall'imminente arrivo di una crisi di pianto.
Ma il castano, dall'altro lato della scrivania, con una notevole rapidità recuperò qualcosa dal cassetto e balzò in piedi; la preoccupazione sul suo volto si era trasformata in rabbia, una rabbia inumana. I suoi occhi brillavano di odio e rancore, e non trasmettevano nessu'altra emozione oltre a queste.
Un silenzio sordo inghiottì quei pochi secondi di panico.
Liu non parlò.
Non una sola misera sillaba uscì dalla sua bocca, ma fu il suo corpo a parlare al posto suo: e Jeff, nella condizione in cui versava, realizzò con molto ritardo che adesso l'altro stava impugnando la sua pistola di servizio.
Un'arma di dimensioni ridotte, lucida come un diamante
Ed anche dopo aver preso la mira sul petto del fratello, Liu non disse niente.
Ma non esitò un solo secondo a premere il dito indice sul grilletto.
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Into The Madness - 3
FanfictionTerzo libro della saga "Into The Madness". Nonostante le complicazioni dovute alla sua salute mentale, Jeff ritrova nella convivenza con Jane una sicurezza ed una tranquillità che per lunghi anni non aveva più sperimentato. Impara, per la seconda v...