Il respiro di Jeff, lento e costante, era appena percettibile alle orecchie di Jane.
Con la testa adagiata sulla coperta che ricopriva il materasso, il ragazzo fissava la parete davanti a se senza muovere un singolo muscolo; era paralizzato da un dolore emotivo del quale neanche conosceva l'effettiva origine, ma che sembrava minacciare di schiacciarlo fino a privarlo della vita. Tuttavia le braccia di Jane erano avvolte attorno al suo petto e lo tenevano stretto, trasmettendogli quella forza e quell'affetto di cui adesso aveva un bisogno estremo.
Nonostante la sua mente fosse trascinata nell'oblio di un groviglio di paura e disperazione poteva sentire chiaramente il fruscio del suo fiato sul collo, e si lasciava cullare dal calore della sua presenza.
Non aveva idea del perché fosse successo ancora.
Odiava farsi vedere così debole e patetico ai suoi occhi.
Ma la sua testa continuava a rappresentare per lui un territorio inesplorato, e nonostante la nuova vita di cui godeva ed il trattamento farmacologico a cui era sottoposto ormai da settimane, continuava a provare cose che non riusciva a spiegarsi.
Per la maggior parte del tempo riusciva a tenere a bada il suo dolore psicologico, ma delle volte gli era impossibile: e questa, era una di quelle volte.
La sua personalità era spaccata in due, così come le sue emozioni: e se da una parte si stava sforzando di lavorare sui suoi istinti promettendo a se stesso che non avrebbe più ucciso o fatto del male a nessuno, dall'altra il massacrante desiderio di farlo ancora una volta continuava ad opprimerlo.
Ma già troppe erano le vite che pesavano sulla sua coscienza, e sapeva bene che aggiungerne delle altre sarebbe stato per lui solo l'ennesimo atto di autodistruzione: uccidere placava i suoi dolori solo per un tempo limitato, allo scadere del quale la sua furia omicida sarebbe tornata più forte di prima.
Come un tossicodipendente che necessita ogni volta di una dose maggiore, non sarebbe mai riuscito a smettere se avesse continuato ad uccidere persone innocenti anche solo ogni tanto.
E da quando viveva con Jane, se lo era promesso: avebbe più fornito nessuna soddisfazione a quella parte malata di se stesso.
-Ti prometto che tutto questo finirà, prima o poi- gli sussurrava la ragazza nelle orecchie, senza mai lasciare la presa sul suo corpo.
Jane sapeva sempre come rassicurarlo, cosa fare e soprattutto come farlo. La più efficace tra le medicine era di certo la semplice presenza di quella ragazza che, in un modo che per lui era tuttora incomprensibile, era entrata nella sua anima e l'aveva sconvolta cambiandola in modo radicale.
Il killer trattenne il fiato per qualche attimo, con le palpebre serrate.
Una depressione profonda lo aveva preso in ostaggio, e ancora non aveva trovato il modo di liberarsene; lo corrodeva ogni giorno di più, tracinandolo in modo lento ed inesorabile verso l'abisso.
-Starai meglio, vedrai-.
Jane rimase al suo fianco per ore intere, e non cessò di stringerlo tra le sue braccia, se non quando lui finalmente cadde nel sonno. Solo allora, muovendosi con lentezza ed attenzione per assicurarsi di non risvegliarlo, lo lasciò e si alzò in piedi, per poi rimboccargli le coperte.
Per diversi secondi restò ferma a guardarlo disteso su quel letto. Così fragile e innocuo come un bambino.
Sorrise senza rendersene conto, ma la piega che presero le sue labbra tornò a distendersi nel momento in cui la sua mente tornò a galoppare tra i pensieri.
Lasciò la camera da letto chiudendo delicatamente la porta, e con una camminata stanca si recò al piano di sotto dove Dado se ne stava disteso sul pavimento ma con la testa alzata, intento ad osservare ogni suo movimento. Avvicinandosi al cane, Jane afferrò il suo muso con le mani e gli diede un piccolo bacio sulla testa.
-Sei bravo, Dado- mormorò, accarezzandolo. -Sei proprio bravo-.
La ragazza si sentiva sconvolta sotto ogni punto di vista, perché aveva sperato di essersi lasciata alle spalle molti problemi che invece adesso stavano tornando a metterle bastoni tra le ruote. La salute mentale di Jeff la preoccupava moltissimo, e come se questo non bastasse a quanto pareva Jason e Ben intendevano ficcare il naso nella loro vita con chissà quale scopo.
Non riusciva proprio a capire.
Ed ogni domanda che restava senza risposta generava in lei un'angoscia sempre crescente.
Non aveva idea di cosa quei due pazzoidi potessero volere dal Jeff, del motivo per cui si erano sbattuti tanto per riuscire a trovarlo, ma sapeva per certo di dover impedire loro di vederlo; specialmente non in quel momento in cui lui era così fragile.
Non sapeva come avrebbe reagito, ma di certo rivedere quei due non avrebbe in alcun modo giovato alla sua salute.
Ciondolandosi raggiunse la cucina e scaldò un po' d'acqua sul fornello, con l'intento di prepararsi una tisana calda che forse l'avrebbe aiutata a placare quell'ansia che le stava attanagliando lo stomaco. E mentre attendeva che la bevanda fosse pronta rivolse uno sguardo al vetro della finestra, attraverso il quale fece scorrere gli occhi sul vialetto bagnato antistante la villetta, fino a posarli sul cancello chiuso. Non pareva esserci nessuno e la pioggia non aveva ancora smesso di scendere dal cielo, eppure era tormentata dalla paura di rivedere la sagoma imponente di Jason.
Non aveva di certo dimenticato le sue parole: "Se stai nascondendo Jeff li dentro, io lo verrò a sapere".
Sapeva per certo che sarebbe tornato, e si disse che avrebbe dovuto darsela a gambe prima che questo potesse accadere. Ma come avrebbe potuto portare via Jeff, in quelle pietose condizioni?
Fino a che non si sarebbe ripreso ed avesse avuto la forza di volontà necessaria a rialzarsi dal letto, sarebbe stato impensabile valutare un trasloco anche solo momentaneo.
Magari, si disse, avrebbe potuto affittare una stanza d'albergo per qualche giorno, giusto per darsi il tempo di pensare a cosa avrebbe dovuto fare per svincolarsi da quell'assurda situazione.
Mettendosi a sedere al piccolo tavolo della cucina rivolse uno sguardo alla rampa di scale, che Dado stava risalendo; sorrise lievemente, già sapeva cosa il cane volesse fare.
Si concesse una decina di minuti di pausa dai pensieri martellanti che la stavano assillando, giusto il tempo di bere la sua tisana; poi, poggiando la tazza vuota sul fondo del lavello, tornò al piano superiore.
Trovò la porta della camera aperta, segno che Dado l'avesse spinta con la zampe; e sporgendosi olte la soglia, il suo sguardo incrociò quello di Jeff.
Era seduto sul letto con il cane accovacciato sulle gambe.
-Tutto bene?- mormorò, avvicinandosi.
Il moro annuì con un debole cenno del capo ed abbassò lo sguardo sul cane, che accarezzava quasi ossessivamente con entrambe le mani.
Jane sorrise, e si sentì sollevata nel vederlo nuovamente così tranquillo e rilassato.
"Certe volte sembra davvero un bambino".
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Into The Madness - 3
FanfictionTerzo libro della saga "Into The Madness". Nonostante le complicazioni dovute alla sua salute mentale, Jeff ritrova nella convivenza con Jane una sicurezza ed una tranquillità che per lunghi anni non aveva più sperimentato. Impara, per la seconda v...