℘ąཞɬɛ 3 - Sangue

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Scivolando lungo il braccio, il sangue che fuoriusciva dalle ferite appena incise sulla pelle chiara si convogliava sul gomito, per poi cadere a grandi gocce dentro al lavandino; e nel farlo creava chiazze colorate di un rosso intenso, contrapposte in modo netto e deciso al bianco candido della ceramica.
Il polso destro di Jeff tremava visibilmente, e con lui la piccola lama affilata che stringeva tra le dita; il suo volto, invece, non lasciava trasalire alcun tipo di emozione. Scariche di piacere invadevano il suo corpo ma lui, immobile come un guscio vuoto privo d'anima, fissava la sua stessa faccia riflessa nello specchio e pareva intento a non muovere più un solo muscolo.
L'altro Jeff, separato da lui attraverso una lastra di vetro ed argento, sembrava ricambiare il suo sguardo e volergli dire qualcosa, qualcosa che non sarebbe mai riuscito ad uscire da quel paio di labbra strette.
Piacere nel dolore.
Dolore nel piacere.
Difficilmente il ragazzo riusciva a separare queste due sensazioni, seppur fossero per antonomasia molto molto diverse tra loro.
Con un movimento appena accennato Jeff gettò la lametta nel lavello, osservando il modo in cui veniva trascinata dal sangue denso fino al centro dello stesso; nel farlo dipingeva strisce rosse, che si conguagliavano al resto di quel triste quanto grottesco quadro che aveva dipinto.
Fece una smorfia e scosse la testa, come volesse riportare la sua mente al presente; girò la manopola e lasciò che l'acqua pulita lavasse via le tracce di quella sua ennesima dimostrazione di debolezza, per poi infilare il braccio ferito sotto al getto.
E nel momento in cui iniziò a bagnare la sua pelle per ripulirla, notificò un movimento nell'angolazione più remota della sua visuale. Sussultando voltò il capo in direzione della porta socchiusa e li, con il volto incorniciato in un'espressione di stupore e preoccupazione, trovò Jane.
Tentò di dire qualcosa, ma le parole che avrebbe voluto pronunciare restarono soffocate nella sua gola; non risuciva a capire come avesse potuto non sentirla arrivare, non aver udito il rumore delle chiavi nella serratura del portone od i suoi passi mentre saliva le scale. Forse, pensò brevemente, i farmaci lo stavano stordendo più del dovuto.
-..Jeff- mormorò la ragazza, spingendo la porta con il palmo di una mano fino ad aprirla del tutto.
Osservò con disperazione il braccio sinistro del ragazzo, sotto al getto d'acqua del lavandino. Conosceva Jeff abbastanza da sapere che stava mantenedo quella posizione solo per impedirle di verificare la gravità delle ferite che si era appena inflitto; e fu assalita da tanta rabbia, ma non nei suoi confronti.
Bensì verso se stessa.
Ogni qual volta che una cosa simile si verificava, e non era certo la prima volta che capitava da quando Jeff viveva assieme a lei, si sentiva come se ciò fosse stato causato da una sua mancanza. Non era mai abbastanza premurosa, abbastanza attenta, abbastanza confortante da impedirgli di farsi del male in quel modo.
Sentì un nodo generarsi nella sua gola, che le mozzava il fiato. -L'hai fatto ancora.... Ma perché...- balbettò.
Il killer le rivolse uno sguardo carico di vergogna e rammarico, per poi chiudere l'acqua con un movimento esternamente rapido ed afferrare un asciugamano, che prontamente avvolse attorno al braccio. Ma non disse niente, non rispose alla sua domanda: in situazioni come quelle, non lo faceva mai.
Abbassando lo sguardo a terra per non incrociare quello di lei, Jeff tentò di uscire dal bagno ma la ragazza lo bloccò prontamente, poggiando le mani sul suo petto nudo. -No, fermo qui- gli disse, con la voce che già tremava.
Il moro alzò la testa e la guardò per poco più di un attimo, per poi tentare ancora di andarsene.
-Fermo- ripeté Jane, bloccandolo un'altra volta. -Non puoi continuare così-.
-Lasciami, Jane-.
La mora strinse le mandibole, e non accennò per un solo a secondo a voler mollare la presa sulle sue spalle, perfettamente conscia che se lui avesse davvero voluto spingerla via e passare, lo avrebbe già fatto. -No. Non questa volta Jeff-.
Il silenzio inghiottì la piccola stanza decorata da mattonelle azzurre, mentre il killer restava immobile con lo sguardo abbassato; e pian piano, il tessuto bianco dell'asciugamano che teneva premuto sul braccio si stava colorando di rosso.
-Tu non vuoi parlarne, non vuoi mai parlare di niente- disse ancora la ragazza, che finalmente aveva ritratto le mani. -E ogni volta mi dici che sarà l'ultima, ma poi non la smetti mai-.
Jeff restò in silenzio.
Lei aveva ragione, non voleva assolutamente sfiorare quell'argomento, ne ora ne mai. Non sapeva spiegare neanche a se stesso per quale motivo sentisse il bisogno di farsi del male così spesso, quindi di certo non avrebbe saputo spiegarlo neanche a lei.
Gli occhi di Jane si bagnarono di lacrime, che da li a poco sarebbero scivolate lungo il suo viso; non poteva sopportare di veder soffrire in quel modo l'unica persona che per lei aveva davvero importanza al mondo. E non le importava come, ma desiderava aiutarlo in ogni modo possibile.
-Tu devi...- iniziò a balbettare, cercando di impedirsi di scoppiare in lacrime. -Devi parlarmene, ti prego. Quando senti di doverlo fare, devi...-.
-Jane- la interruppe lui, con un tono si voce caratterizzato da una freddezza raggelante. -Per favore spostati, lasciami passare- le intimò.
Aveva il fiato corto, ed ogni secondo cresceva in lui il desiderio di colpirla; ma la parte peggiore era che sapeva per certo che sarebbe accaduto, se lei non avesse ceduto alla svelta.
Ma la mora non mosse un singolo passo, e continuò a puntargli addosso un paio d'occhi gonfi di lacrime. -Perché mi fai questo? Perché continui a...-. Si interruppe in modo brusco, quando le sue orecchie capitarono un rumore proveniente dal piano di sotto.
Qualcuno stava suonando al citofono.
Con evidente preoccupazione lanciò a Jeff l'ennesimo sguardo per poi, finalmente, fare un passo indietro e lasciarlo passare. Cosa che lui fece nell'immediato, dirigendosi a passo svelto in camera da letto.
-Resta qui, vado a vedere chi è- gli disse lei, guardandolo mentre si allontanava dandole le spalle.
Dovette riempire i polmoni d'aria più volte prima di riuscire a recuperare la calma, e solo dopo che vi fu riuscita si decise a scendere le scale. Chiunque vi fosse fuori dal cancello stava continuano a suonare il citofono con insistenza, cosa che la stava facendo davvero innervosire; se si trattava di nuovo di un procacciatore d'affari o di un venditore ambulante, giurò tra se e se, l'avrebbe mandato via a calci.
Ma quando ebbe raggiunto la porta d'ingresso, e dopo averla aperta con un gesto deciso assicurandosi che Dado non sarebbe scappato fuori, l'espressione sul suo volto si fece tanto sorpresa quanto sgomenta: oltre il vialetto bagnato che percorreva il giardino, ed al di là delle sbarre nere del cancello, vi era un uomo.
La sua spina dorsale fu scossa da un violento brivido non appena posò gli occhi su quel volto familiare, che riconobbe all'istante: una folta chioma di capelli rossi ricadeva ordinatamente sulle sue spalle, vestiva in modo semplice e teneva entrambe le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, lasciando ben in vista le braccia interamente tatuate di nero.
Era Jason.

Into The Madness - 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora