℘ąཞɬɛ 49 - Sbarre

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Tre giorni dopo.

Con i gomiti poggiati sul tavolo e la testa china, Liu fissava sospirando un sottile plico di documenti senza riuscire a coglierne il significato. Si trattava di personali appunti che aveva scritto di suo pugno, riguardanti alcuni casi che aveva lasciato in sospeso quando era stato costretto a prendersi le ferie, ma nonostante questo al momento anche la sua stessa calligrafia risultava illeggibile.
La sua mente era altrove, e si rifiutava in modo categorico di dare un senso a quelle macchie di inchiostro impresse da una mano frettolosa. Eppure tutto sembrava in ordine: indossava la sua divisa ben stirata, capelli pettinati con cura, il distintivo sul petto; ogni cosa era tornata alla normalità.
La porta del suo ufficio alla centrale di polizia era socchiusa, ed attraverso lo spiraglio che si affacciava sul corridoio penentrava nell'ambiente un fascio di luce bianca proveniente dal lampadario a led, oltre ad un piacevole e confortante profumo di caffè. La macchina a cialde si era danneggiata la sera precedente, e così uno dei suoi colleghi si era proposto di portare in ufficio una vecchia mocha ed un piccolo fornello da campeggio; una misura provvisoria, che aveva reso molto felici coloro che ritenevano migliore il caffè artigianale rispetto a quello della comune macchina automatica.
-Hei bello- esclamò la voce del capo dall'altro lato della porta, sulla quale allo stesso tempo sbattè un paio di volte le nocche. -Vieni di qua, bevi un sorso con noi-.
Liu emise un lento sospiro mentre afferrava il plico di documenti e lo faceva scorrere lungo il pianale della scrivania, allontanandole. Poi, piuttosto svogliatamente, si alzò ed uscì dalla stanza seguendo gli altri fino alla zona relax dove, i colleghi più svogliati, passavano molto più tempo di quanto avrebbero dovuto.
Solo per non sembrare troppo schivo afferrò il bicchierino di plastica che gli venne allungato stando attento a non scottarsi, ma nella sua mente pensò per tutto il tempo a ciò che avrebbe voluto fare dopo.
Era tornato a lavoro già da due giorni, ovvero quasi subito dopo l'arresto di Judge Angel la quale, tra l'altro, si trovava ancora in centrale ed era in attesa di venir trasferita nel carcere più vicino. In qualche modo per lui era stato un vero sollievo tornare subito a svolgere la sua mansione di poliziotto e riprendere a lavorare sui casi che aveva lasciato in sospeso, sopratutto perché in questo modo poteva tenere impegnata la sua mente in modo quasi continuo e non si trovava a pensare troppo spesso a tutto ciò che era accaduto.
L'aver deposto già oltre cinque dichiarazioni in merito a tutta quella storia lo aveva psicologicamente distrutto, e non solo perché era stato costretto a mentire su diversi aspetti della vicenda guardando in faccia i volti di stimati colleghi, pur consapevole della loro totale fiducia nei suoi confronti. Forse fu per questo che riuscì a convincere tutti quanti di non aver mai incontrato realmente Jeff e ovviamente neanche Jane, spiegando la sua segnalazione come un semplice momento di confusione dovuta allo stress ed alla stanchezza; a facilitare il convincimento era il fatto che chiunque credesse suo fratello morto già da tempo.
-Ho una buona notizia da darti... Riguardo a quella cosa che mi avevi chiesto-.
Il castano sollevò lo sguardo distrattamente, e trovò davanti a se il capo che lo osservava con uno strano sorriso. Soltanto allora si rese conto di avere ancora la tazzina da caffè in mano, ancora piena di quel liquido scuro che era ormai diventato quasi freddo. Quanti minuti erano passati?
-Alla fine la richiesta è stata accettata, quel Jason sarà internato nella stessa struttura di prima, e non incarcerato- continuò l'uomo, gettando nel cestino il bicchiere di plastica vuoto. -Anche se ancora mi sfugge il motivo per cui questa cosa ti stia tanto a cuore...- concluse.
Liu non disse niente, ma emise un sospiro di sollievo tra le labbra socchiuse: effettivamente, si trattava proprio di una bella notizia. In quei giorni aveva temuto di non essere in grado di mantenere la promessa fatta a Jason, di non riuscire ad impedire che venisse sbattuto nuovamente in una cella. Poteva dirsi soddisfatto e molto sollevato di questo, seppur un'altra preoccupazione continuasse ancora a tormentarlo: non aveva più avuto nessuna notizia di Jeff, da quando si erano separati tre giorni prima. Non sapeva neanche se fosse riuscito effettivamente a fuggire, anche se sapeva per certo che se fosse stato acciuffato da qualche collega la notizia avrebbe fatto un enorme scalpore e sarebbe certamente giunta alle sue orecchie.
Il capo intrecciò le braccia sul petto e restò ancora a fissarlo come se aspettasse qualcosa; poi, assumendo un'espressione preoccupata, gli disse ancora: -Quindi puoi star tranquillo, quello stramboide sarà messo in buone mani. Ma tu.. Sei sicuro di star bene?.
Ed il ragazzo, non poté far altro che mentire.
-Certo.. si- rispose buttando giù di fretta l'intero caffè amaro rimasto tra le sue mani.
Senza dire null'altro abbandonò la stanza sotto lo sguardo del suo capo; aveva molto lavoro da fare e non era poi tanto sicuro che riprendere la sua attività così presto fosse stata una buona idea, considerato il suo stato mentale; percorse il corridoio fino alla porta del suo ufficio, ma poi cambiò rotta in modo improvviso. Scese le scale fino al piano terra, dove salutò con un cenno un collega di passaggio, e si diresse fino all'ala del dipartimento che ospitava una decina di celle sorvegliate ventiquattro ore di ventiquattro, utili ad ospitare gli individui arrestati dalla polizia locale ed in attesa di essere trasportati altrove.
Qui, circondata da celle pressoché vuote, nella terza a sinistra era tenuta prigioniera Judge Angel.
La raggiunse, e non per un motivo specifico: semplicemente, sentì di volerlo fare.
Nel momento in cui la vide attraverso quelle sbarre, non si trovò di fronte una persona molto diversa da quella che aveva tentato di ucciderlo in quel bosco: lei lo osservava sorridendo in modo sprezzante, mentre se ne stava seduta sulla branda con le gambe accavallate. Indossava un completo azzurro che le era stato consegnato dopo il suo arresto, le sue ferite erano state medicate, e portava ai polsi un paio di manette che le impedivano di aprire le braccia.
Sembrava molto rilassata, nonostante tutto.
-Ciao- le disse il ragazzo, posizionandosi davanti alle sbarre con le mano affondate nelle tasche; si sentiva a disagio.
La giovane donna si alzò dal letto, e con un paio di passi lo raggiunse; solo quaranta centimetri d'aria ed un paio di aste di metallo li separavano.
-Cosa significa? Che altro vuoi- gli chiese lei, seppur utilizzando un tono di voce estremamente pacato.
Liu strinse le labbra. -In realtà non lo so- le rispose molto francamente. E nulla di più vero avrebbe potuto dirle in quel momento: era vero che non lo sapeva, non sapeva che cosa avrebbe voluto o dovuto fare, non sapeva come comportarsi ne come reagire agli stimoli che aveva intorno. Si sentiva profondamente confuso, ed era in quello stato ormai da giorni.
Angel gli rivolse uno sguardo neutrale che non gli lasciò interpretare alcuna emozione, poi sbuffò. -Avrei dovuto eliminarti per primo, cazzo- disse, scuotendo la testa. -Al posto di quel ragazzino di merda, avrei dovuto macellare te-.
Quelle parole risuonarono un paio di volte nei timpani di Liu, e generarono una scossa nelle sue viscere. -E invece guarda dove sei finita- le rispose a denti stretti.
Lei fece una smorfia di disprezzo, tornando a sedersi nella medesima posizione di poco prima. -Hai fatto un grosso errore, sbirro- ghignò.
-È vero, l'ho fatto- ribatté prontamente lui, afferrando le sbarre con entrambe le mani. -Ho impiegato troppo tempo a trovarti, ecco cosa ho sbagliato-. Senza rendersene conto strinse i pugni, e per qualche motivo trovò piacevole la fredda sensazione del ferro sui palmi delle mani. -Non tutto è andato come avrei voluto, ma sei li dentro, quindi non posso lamentarmi più di tanto-.
Il volto della donna si trasformò in un secondo, assumendo un'espressione intrisa di rabbia e profondo odio che scavò solchi della sua fronte. -A questo punto perché non mi uccidi, figlio di puttana?- gridò, sbattendo i pugni sulle cosce. -Fallo, non ho paura di morire. Fa molta più paura pensare di vivere dietro queste cazzo di sbarre, nelle mani di una falsa ed ipocrita giustizia del cazzo-.
Liu scosse il capo, e fece un piccolo passo indietro. Nella sua mente apparse ancora una volta il ricordo del corpo dilaniato di Ben, come una serie di flash che si susseguirono come volessero farlo impazzire; in un certo modo era stato lui a causare la morte di quel povero ragazzo, e per sempre ne avrebbe portato il peso sulle spalle.
-E invece no- ribatté con decisione. -Io non faccio giustizia, ma la servo-.
Voltò le spalle con l'amaro in bocca ed abbandonò la stanza, tornando al piano superiore in direzione del suo ufficio; si rese conti soltanto allora di avere un gran mal di testa, un tremendo dolore che si sfogava sulle sue tempie.
Aveva bisogno di riposo, e di riprendere il normale ritmo un poco per volta.
Ma non avrebbe mai potuto riuscirci fino a che non si fosse assicurato che anche Jeff e Jane fossero sani e salvi.
Entrò nel suo ufficio e si chiuse all'interno sbattendo la porta involontariamente, per poi lasciarsi cadere sulla poltrona dietro alla scrivania. Era sommerso di foto, pratiche e cartacce varie, ma incapace di mettersi seriamente a lavoro come aveva sempre fatto; quella stanza, quegli oggetti, tutto ciò che lo circondava era estremamente familiare eppure aveva la costante sensazione di trovarsi nel luogo e nel tempo sbagliati.
Dalla finestra socchiusa penetrava un lievissimo vento freddo che raggiungeva le sue guance, e gli causava piccoli brividi lungo le braccia.
Sospirò chiudendo gli occhi per un attimo, e nel riaprirli giurò a se stesso che avrebbe messo un punto in quell'esatto momento e sarebbe finalmente andato a capo. E questo significava, per la prima volta da troppi anni, il desiderio di vedere suo fratello e parlare con lui di tutto ciò che si era tenuto dentro.
Incluso il fatto che, adesso ne era certo, tenesse ancora molto a lui.

Into The Madness - 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora