La temperatura stava diventando sempre più rigida, ed essendo così malconcia quella vecchia capanna non poteva garantire alcun tipo di protezione dalle folate gelide che si si insinuavano tra i buchi delle lamiere. Così, raccogliendo una buona quantità di pietre e rami secchi, riuscirono a costruire un piccolo falò proprio al centro della stanza: a causa dell'umidità presente fu faticoso accenderlo, ma non appena la fiamma fu riuscita ad alimentarsi, tutti e quattro i presenti poterono mettersi a sedere attorno e scaldarsi un po'.
-Non riesco ancora a credere che ci siamo fatti scappare quel vecchio...- mormorò Jason, con un'espressione sconsolata. -E che abbiamo creduto alla sua cazzata. Adesso ci tocca pure dormire in questo posto di merda, se solo sapessi dov'è andato lo raggiungerei per tagliargli la gola-. Nel dire questo lanciò un'occhiata a Liu per verificare la sua reazione, ma l'espressione sul volto del castano non cambiò di una virgola.
-Se può consolarti, ero ricuro anch'io che stesse dicendo la verità- gli rispose, evitando il contatto visivo. -Adesso che ci penso forse non ha esattamente voluto ingannarci- continuò. -Probabilmente era spaventato e non sapeva davvero dove Judge Angel fosse fuggita, ma è stato costretto a mostrarci una via perché minacciato- esordí, riferendosi ovviamente al fatto che Jeff gli avesse puntato un coccio ala gola, pretendendo una pista da seguire. -Avrà preferito darci un'informazione sbagliata, piuttosto che rivelarci di non sapere proprio niente-.
Jason sbuffò, strofinando le mani sulla giacca per creare un po' di calore. -Vedo che ci tieni a difenderlo, ma penso che neanche tu sia felice di trovarti qui adesso-.
Il poliziotto non rispose, anche perché avrebbe dovuto dargli ragione. Adesso che aveva avuto la conferma dei suoi sospetti riguardo all'identità di quel bizzarro uomo, ancor più di prima desiderava starne alla larga; instaurare un rapporto di amicizia con uno squilibrato di quel calibro, un uomo che aveva ucciso e trasformato in orride bambole l'intera sua famiglia, era impensabile. Anche perché sapeva che da lì a poco lo avrebbe fatto arrestare: a quell'ora i suoi colleghi erano quasi certamente già arrivati e probabilmente si stavano occupando della rimozione del corpo di Ben, dunque si trovavano a meno di venti minuti a piedi da quella vecchia casa.
Abbastanza vicini da farlo sentire sicuro e vittorioso.
Ma abbastanza lontani da non mettergli i bastoni tra le ruote.
Dall'altro lato del falò, Jeff si era seduto a terra con le gambe incrociate e lo sguardo perso nel nulla, ma si guardava dallo stare ben distante dal fuoco. Nonostante fosse infreddolito a causa del fatto che i suoi vestiti erano ancora bagnati dalla pioggia, non riusciva proprio ad avvicinarsi più di così a quelle lingue di fuoco che danzano tra i rami anneriti: l'invalidante fobia che lo aveva accompagnato per quasi tutta la vita, continuava a dargli problemi anche adesso. E sapeva per certo che non sarebbe riuscito a vincerla neanche se fosse stato in procinto di morire di freddo. Ricordava fin troppo bene quando era ancora un detenuto, e le guardie si divertivano a terrorizzarlo con l'ausilio di un semplice accendino, riuscendoci molto bene.
Jane lo guardava di tanto in tanto, chiedendosi a che cosa lui stesse pensando. -Jeff.. - mormorò, richiamando la sua attenzione. -Dovresti almeno asciugare la felpa-. Nonostante il fatto che il killer vantasse un sistema immunitario molto forte, trascorrere la notte al freddo e con i vestiti bagnati sarebbe stato probabilmente problematico anche per lui.
Così, senza dire una parola, il moro si sfilò via la felpa nera che indossava e la distese frettolosamente su una roccia, proprio davanti al fuoco; scelse però di tenersi la canotta, che era sprovvista di maniche ma gli avrebbe comunque garantito un minimo di protezione dalle rigide temperature finché non avesse potuto tornare ad indossare il capo rimosso. Jane lo guardò mentre si allontanava dal resto del gruppo, e capí il motivo per cui lo stava facendo: non restava mai volentieri in presenza di qualcuno con me braccia scoperte, neanche se si trattava di lei. Sospirando pesantemente la ragazza lo osservò uscire da un foro di forma quadrata che era presente sulla parete e che era stato tempo addietro una finestra, poi lo perse di vista; si trattenne però dall'istinto di seguirlo.
-Penso che proverò a dormire- mugolò Jason, accasciandosi a terra. -Qualcuno dovrebbe restare di guardia però, non si sa mai-.
Liu annuì vagamente. -Tanto non ho sonno-. L'uomo si sistemò vicino al fuoco e con la testa poggiata sulle mani, addormentandosi in modo piuttosto repentino, mentre Jane e Liu restarono seduti rispettivamete a due lati opposti del falò, in silenzio.
Essendo ormai rimasti soli entrambi si stavano chiedendo se fosse stata occasione di parlare ancora, come se si sentissero in qualche modo costretti a farlo; ma dopo il battibecco dell'ultima volta, si era creata tra loro una lieve tensione.
Dopo un interminabile silenzio nel quale si limitò ad osservare il fuoco, Liu fu il primo ad aprir bocca. -Mi dispiace per il vostro amico- disse, senza sollevare lo sguardo.
La ragazza strinse i pugni, per soffocare la tensione. -Non che lo conoscessi poi così bene, ma era tutto sommato un bravo ragazzo- borbottò, impacciata. -Dispiace tanto anche a me-.
Di nuovo il silenzio calò tra i due, i quali adesso si erano scambiati uno sguardo più gentile. - Jane...- disse ancora il giovane poliziotto, parlando a voce bassa per essere sicuro di non svegliare Jason o farsi sentire da Jeff, ovunque si trovasse in quel momento. -Io volevo... Chiederti scusa, per il mio comportamento- le disse, evidentemente imbarazzato. -Odio Jeffrey, non te. Ci tenevo a fare questa precisazione-. Subito dopo aver pronunciato la frase, tornò a perdersi con lo sguardo tra le fiamme che illuminavano il suo volto pieno di cicatrici, e non fu possibile comprendere con certezza quale fosse l'espressione sul suo viso.
La mora annuì, e fece un piccolo sorriso pieno di amarezza. -Anch'io credo di essere stata un po' troppo diretta, quindi siamo pari- disse. E sperò tanto che Liu avrebbe continuato a parlarne, ma lo vide tornare a chiudersi in se stesso e così, approfittando della situazione, questa volta fu lei ad avviare la conversazione.
-Mi sa tanto che questa situazione è un bel po' difficile per entrambi...-.
Il poliziotto aggrottò la fronte. -Per me e te?-.
-Per te e Jeff- lo corresse, sorridendo. -Anche se forse io non posso capire del tutto... -.
Il silenzio scese ancora una volta. Liu sembrò cercare le parole che avrebbe dovuto dirle, e forse trovarle un paio di volte, ma esitare ogni volta che provava ad aprir bocca; non aveva dubbi che quell'argomento specifico fosse la cosa che più lo rendeva vulnerabile, a causa di tutta la sofferenza che gli aveva creato nel corso degli anni.
-È una cosa che mi ha distrutto, e segnato per sempre- mormorò. -Anche adesso che ho una vita, una carriera e tutto il resto, mi rendo conto di non aver superato cose che credevo risolte dentro di me. Quindi scusami, non sono sicuro di volerne parlare, e non vorrei che la cosa degenerasse di nuovo-.
Jane si limitò ad annuire piegando le labbra in un piccolo sorriso, e non osò insistere oltre perché si rendeva conto che lui era realmente scosso, non stava fingendo; ma poi, pochi minuti dopo, fu lo stesso Liu a riprendere a parlare di sua spontanea volontà.
-Sai, quando eravamo piccoli mi sono preso molto cura di Jeff, essendo io il maggiore- bisbigliò, con la voce che tremava in modo evidente. -È sempre stato diverso dagli altri ragazzini della nostra età, era più taciturno e scontroso e si confidava quasi esclusivamente con me. Io ero un po' come un angelo custode per lui, lo difendevo sempre, in ogni situazione-.
Jane ascoltava quelle parole in totale silenzio, e non osava intervenire per paura di rovinare l'atmosfera ed indurlo a cessare il racconto.
-Ma ad un certo punto, le cose sono cambiate. Purtroppo nostra madre era una donna molto malata, direi fuori di testa; e lui essendo solo un ragazzino la temeva moltissimo, così era finito per sottomettersi completamente a lei credendo forse che non avrei potuto difenderlo dalle sue grinfie-.
-Che intendi?- domandò la ragazza, con un filo di voce.
Lui emise un sospiro. -Nostra madre lo plagiava, lo induceva a fare e pensare esattamente ciò che lei voleva; ma non riuscí a farlo con me, che ero già più grande ed ho sempre avuto un carattere molto ribelle. Ricordo che diceva sempre a Jeff che era lui l'unico vero uomo di casa, lasciando intendere che aveva ben poco rispetto per me e mio padre; e questo perché noi altri ci rifiutavamo di sottostare alle sue follie da squilibrata-. Tacque per un po', forse per riordinare quei ricordi così lontani e dolorosi. -Nostra madre voleva sempre il controllo su tutto e tutti, aveva spesso idee e convinzioni deliranti, ed era anche molto violenta: ad un certo punto Jeffrey era diventato un suo burattino, terrorizzato all'idea di contraddirla. E quando gli ordinò di somministrare del veleno a nostro padre, perché se lo voleva levare di torno ma non aveva le palle per farlo lei stessa, credo che mio fratello abbia iniziato a non distinguere più correttamente il bene dal male, la sua mente ha iniziato a trasformarsi. Era solo un ragazzino all'epoca-.
Nell'udire quelle parole, fu automatico per Jane ricollegarle mentalmente a ciò che aveva visto nei ricordi del killer, ed ebbe un sussulto. -E... Jeff lo ha fatto? L'ha avvelenato? - bisbigliò, abbassando la testa.
-Si, più volte. Non so cosa nostra madre mettesse nel the che gli ordinava di consegnare a papà, ma non sembrava essere una sostanza mortale, non in modo immediato almeno.- borbottò. -Lo aveva avvelenato nel corso di diverse settimane, e lui aveva iniziato a stare davvero male, ma non aveva capito quale fosse il problema; io invece lo sapevo perché avevo visto e sentito tutto, ma non dissi mai niente a nessuno e neanche osai avvertire la polizia, per paura di chissà cosa. Sono stato davvero molto stupido, e di questo mi pento ancora oggi-.
-Poi che è successo?-.
-Beh, credo che ad un certo punto Jeff non abbia più avuto il coraggio di consegnare altro veleno a papà, che ormai era infermo a letto e stroncato da una malattia di natura per lui incomprensibile. Puoi immaginarlo? Vedere tuo padre morente in un letto e dover continuare a somministrargli altro veleno nell'attesa di vederlo spirare? Solo per obbedire ad una madre folle e totalmente anaffettiva? - sibilò, stritondandosi le dita nel pugno. -Immagino sia stato questo inizialmente a deviare la mente di Jeff, che in seguito ha compiuto la strage che già conosci. Alla fine ha ucciso papà con le sue mani, stessa sorte è toccata a nostra madre... Ed anche io, sono vivo per miracolo-.
Jane deglutí a vuoto, destabilizzata dal modo in cui l'altro si era esposto e da ciò che aveva raccontato senza alcun filtro. -Tutto questo è davvero terribile, Liu. Ma c'è una cosa che ancora non capisco-.
Il castano la guardò, con il volto di un fantasma.
-Mi hai praticamente appena spiegato che la colpa non fu direttamente di Jeff, che lui era sostanzialmente una vittima quanto te... - balbettò, con il fiato corto. -Perciò, non capisco perché continui a odiarlo così tanto-.
Liu si lasciò trasportare da una nervosa risatina, stringendo le spalle. -Perchè questa non è una giustificazione per tutto ciò che ha fatto dopo, ovviamente. E neanche per ciò che ha fatto a me, a te- le rispose, e velocemente percorse le cicatrici che anche la ragazza portava sul viso, ricordo indelebile che il fuoco aveva inciso sulla sua pelle. Scosse la testa, ispirando fino a riempirsi i polmoni. -Non so se avesse una predisposizione alla cattiveria dalla nascita, o sia stato plasmato solo dal corso degli eventi, ma ha smesso di essere mio fratello nel giorno in cui mi ha portato via la mia famiglia-.
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Into The Madness - 3
FanfictionTerzo libro della saga "Into The Madness". Nonostante le complicazioni dovute alla sua salute mentale, Jeff ritrova nella convivenza con Jane una sicurezza ed una tranquillità che per lunghi anni non aveva più sperimentato. Impara, per la seconda v...