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Non credevo che così tante persone avessero preferito arruolarsi per la guerra anziché restare in carcere. La stanza per le visite, infatti, era piena di avvocati che aspettavano a turno le clienti; ebbi addirittura difficoltà nel trovare il signor Thomas.

Il mio avvocato mi fece firmare diversi documenti che avevo cercato di leggere il più brevemente possibile, saltando qua e là qualche riga. Le informazioni erano articolate e non facili di comprensione, soprattutto per una come me. Ma la cosa che mi insospettì furono le poche e sintetiche notizie su quei bracciali.

Eppure non mi sembrò vero quando Thomas mi disse che in quel momento, almeno tecnicamente, pur essendomi arruolata ero libera. Il mio entusiasmo però non durò molto, perché una guardia, con la solita divisa rossa, si era avvicinata con in mano un bracciale nero. Era sottile ma largo quanto un pollice. In un'estremità aveva un piccolo rettangolo di plastica, dove realizzai ci fosse il vero e proprio dispositivo letale.

Guardai l'uomo posizionare e attivare il bracciale con un tablet. Osservai tutti i procedimenti con attenzione, perché se avessi avuto la possibilità di mettere mano su un dispositivo simile non ci avrei pensato due volte prima di disattivarlo.

Mi spiegò brevemente come funzionava: si azionava automaticamente quando il bracciale era troppo lontano del superiore, e manualmente con un piccolo telecomando che teneva il superiore. Quindi, con quella decorazione al polso, non sarei mai potuta scappare: la mia vita era letteralmente nelle mani di un comandante. Mi faceva strano pensare di essere davvero in pericolo con un semplice bracciale.

Dopo mi riconsegnano gli oggetti che avevo quando ero stata arrestata; tutto tranne la bottiglia di Mellu. Fui comunque felice di riavere le poche cose, soprattutto il set di mini attrezzi che mi portavo ovunque.

Qualche decina di minuti più tardi arrivò il momento di salire sul pullman. Fuori dal carcere c'erano tre veicoli e, da come avevo potuto ascoltare dalle guardie, sarebbero stati tutti al completo.

Il signor Thomas mi salutò un po' dispiaciuto, come me del resto. Mi ero abituata alla sua presenza e da quel momento in poi non l'avrei più rivisto, o così speravo da un lato. Era sempre stato gentile, ogni volta che mi veniva a trovare mi portava dei biscotti cucinati da sua moglie; diffidente, le prime volte avevo rifiutato, ma poi avevo ceduto vedendo che tipo di persona fosse.

L'avvocato non si commosse, non che me lo aspettassi, ma io sentii la necessità di fare un sospiro profondo per farmi forza a quella separazione. Detestavo dire addio alle persone, proprio per quello preferivo non averne nella vita; così da evitare il problema alla radice.

Gli rivolsi il primo sorriso genuino dopo anni e poi mi voltai in fretta per salire la scaletta del pullman. Mi posizionai nel primo posto libero che ero riuscita a trovare e iniziai subito ad osservare il bracciale per non guardare oltre il finestrino.

Aprii il pannello come avevo visto fare dalla guardia e lo ispezionai attentamente. Non era semplice disinnescare la scarica elettrica al suo interno, data le dimissioni piccole dell'impianto, ma io ero sicura di poterci riuscire.

Poco dopo il posto affianco al mio fu occupato da una testa bionda che non aspettò molto prima di rivolgermi la parola.

«So che puoi renderlo solo un brutto braccialetto, non è così?», mi chiese, indicando con un cenno della testa il polso fasciato di nero.

Come faceva a saperlo? Non avevo mai rivelato ad anima vita quella mia abilità, e non era semplice da dedurre.

«Facciamo un patto», continuò Beatrisa con un sorriso che le illuminava tutto il viso. «Ti aiuto a renderlo innocuo a entrambe e io non faccio la spia. Vinciamo tutte e due, va bene?»

Non mi piaceva quando qualcuno riusciva a manipolarmi così banalmente. Nella mia testa continuava a volare libera la domanda a cui riuscivo a rispondere con solo poche ipotesi scadenti. Al tempo stesso, però, sapevo di non avere altre scelte. Dovevo farmi aiutare per potermi togliere quell'arma pericolosa; in quei pochi minuti mi ero già preoccupata troppo nel verificare di essere abbastanza vicina alle guardie che tenevano i telecomandi.

«Va bene», mormorai, sperando di non aver fatto intravvedere il mio fastidio nella voce.

«Ottimo, ora goditi il viaggio di quindici minuti. Potevano farci usare direttamente il treno, non credi?»

Beatrisa iniziava a starmi poco simpatica. Perché finiva quasi tutte le frasi con una domanda? Proprio per quello decisi di risponderle con un cenno della testa, sperando smettesse di parlare. Poi mi misi a guardare fuori dal finestrino rinforzato con delle grate la città passare veloce.

Ero felice di poter indossare il mio orologio e fui leggermente sorpresa nel vedere che, come aveva detto Beatrisa, c'erano voluti precisamente quindici minuti per arrivare alla Base Militare Beta: un grosso parallelepipedo di cemento scuro, tante finestre e un prato racchiuso da un muretto che faceva da confine. Se non fosse stato per il campo d'erba ben tenuto, avrei scambiato l'edificio per un altro carcere; eppure cambiai idea ulteriormente quando scoprii che anche in quel posto avevano orari ferrei, celle e regole.

Alcuni comandanti e soldati presero il posto delle guardie, che tornarono all'interno dei pullman. Solo vedendo i veicoli andarsene realizzai che teoricamente non ero più una carcerata. Eppure sapere il motivo per cui lo avevo barattato mi metteva un po' di agitazione.

Il comandate Vest, dopo essersi presentato, fece un discorso per i nuovi soldati-criminali; era quello che eravamo diventati.

«Nella Base verrete scelti per creare le squadre per il piano della Generale Selina. Vi alleneremo e i più abili verranno mandati in altre Basi per iniziare le missioni che speriamo saranno in grado di evitare la guerra.» Ci guardò attentamente con uno sguardo duro. «Le regole sono poche ma inflessibili: non potete lasciare la Base, non dovete creare problemi e dovete stare agli ordini dei comandanti o dei soldati. Dopo la colazione ci sarà un allenamento di tre ore e mezza, pranzo, allenamento pomeridiano e cena. Se avete qualche abilità particolare che potrebbe essere utile all'esercito potete comunicarlo al vostro superiore.»

Quell'uomo aveva la pelle color cioccolato e gli occhi altrettanto scuri. Non aveva capelli e sul viso aveva delle cicatrice chiare che, insieme al tuo tono autoritario, lo rendevano agghiacciante. Curiosa mi chiesi come se le fosse procurate.

Il comandante Vest poi comunicò le camerate, dove mi trovai nuovamente in stanza con Beatrisa. Nel brevissimo tour per la Base l'avevo persa di vista, non riuscii a vederla da nessuna parte, ma la rincontrai solo quando entrai nella stanza che ci avevano assegnato.

La mia compagna era contrariata dal fatto che non potessimo avere una chiave per chiudere la serratura e così avere più privacy. Mentalmente non potei non darle ragione mentre mi guardavo intorno. Notai subito il nostro nuovo completo. Mi cambiai e lasciai cadere i miei vecchi abiti nel cestino, sapevo che non mi sarebbero serviti per diversi mesi. Infine spostai il secondo cambio e la mia vecchia felpa verde scuro, l'unico indumento personale da cui non mi sarei separata, dentro il piccolo armadio a un'anta.

Non rimasi a lungo in camera ad ascoltare Beatrisa e i suoi lamenti per la tuta grigio scuro, anzi, mi sbrigai per non arrivare in ritardo agli allenamenti pomeridiani.

Non ero più abituata a faticare così tanto, infatti le tre ore e mezzo di allenamento mi risultarono esagerate. Durante gli esercizi non ero riuscita a fare a meno di guardare tutti i soldati che stavano lungo le pareti: erano pronti ad intervenire a qualsiasi comportamento pericoloso da parte di noi criminali, ma io trovai inutile la loro presenza, anche perché i comandanti avevano il potere di soffocare le nostre rivolte con la sola minaccia di un piccolo telecomando.

Poi, vedendo la prima rissa da parte di due ragazzi, mi rimangiai il pensiero. Solo dopo la confusione e le urla dei soldati che ordinavano di fermarsi percepii l'agitazione che c'era nell'aria. Sapevo di non aver ancora realizzato la situazione in cui mi ritrovavo e non mi ero ancora resa conto che saremmo andati praticamente in guerra... Scaccia la riflessione per non pensarci neanche in quel momento.

A mensa mangiai in compagnia di sconosciuti. Ascoltai le loro conversazioni in cui cercavano di fare amicizia e poi mi spostai in camera. Ero diffidente di quella stanza, visto che chiunque sarebbe potuto entrare, ma i miei occhi pensanti non sembravano molto interessati al riguardo. Ero talmente stanca che non sentii neanche la mia compagna rientrare.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora