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Aspettai circa mezz'ora prima di andare a cena. Mi mossi solo quando sentii dal corridoio le chiacchiere di alcuni soldati affievolirsi. Prima misi fuori la testa, sperando con tutto il cuore di non incontrare nessuno, soprattutto Alecsei che aveva la camera davanti alla mia.

La mensa era meno affollata rispetto agli altri giorni: come aveva detto Caos, alcuni soldati erano stati spostati in un'altra Base Militare. Infatti, in quel momento, la stanza era praticamente deserta, a parte quei pochi gruppetti di persone che scherzavano godendosi la compagnia reciproca.

Io mi ero seduta lontana da tutti, mangiavo senza voglia quello che era rimasto al bancone. Solo dopo diversi minuti, in cui mi ero persa nei miei pensieri e paranoie, notai avvicinarsi l'ultima persona che desiderassi vedere.

«Come stai Rei-rei?»

Beatrisa era instancabile, che avesse partecipato a una maratona tutto il giorno o che avesse dovuto allenarsi due volte al giorno poco cambiava; lei era sempre carica e fastidiosamente energetica. Inoltre sapevo che la sua domanda era più di cortesia e che in realtà non le interessasse veramente sapere come stessi.

«Bene. Di cosa hai bisogno?» Il mio tono uscì più esasperato di quel che avessi voluto.

«Niente!», esclamò come se si fosse davvero offesa per le mie parole. «È da un po' che non ci vediamo e prima eravamo abituate a passare tutto il giorno insieme...»

Mi ricordai di aver pensato la stessa cosa due giorni prima, quando l'avevo vista l'ultima volta. Era vero, non ci eravamo più incrociate; ci eravamo allenate in palestre diverse e, con il fatto che andavo ai pranzi più tardi, non l'avevo più incontrata in mensa. Non che mi dispiacesse molto.

«Chissà quando sarà la prossima volta che avremo un po' di tempo libero. Ma tranquilla, troveremo il modo per parlare un po'», disse con il suo solito grande sorriso che gridava pericolo.

La guardai leggermente accigliata, come se stessi aspettando che dicesse qualcosa di sconvolgente. E Beatrisa fu visibilmente contenta di creare quella confusione in me.

La ragazza con le trecce bionde, però, non aveva ancora terminato il suo discorso. «Mi raccomando, fidati delle persone giuste», concluse, avvicinandosi per accarezzarmi la guancia con un dito.

Per riflesso mi spostai prima ancora che potesse toccarmi. Sporgendosi, aveva fatto penzolare la collana che portavano tutti i soldati con la targhetta identificativa; oltre a questa, lei aveva anche la chiave della stanza. I miei occhi balzarono veloci, riuscendo a leggere il numero prima ancora che Beatrisa si alzò la zip della felpa per nasconderlo.

Mi lanciò un bacio con la mano prima di allontanarsi, e quel gesto mi illuminò. Collegai il gesto a quella volta che l'avevo vista in mensa mentre lo ripeteva ad Alecsei. Mi ricordai della stanza in cui lo avevo visto entrare il primo giorno nella Base Gamma e... E quella era la stanza di Beatrisa, la numero 134.

Rimasi qualche attimo a pensare a loro due. Entrambi non mi erano mai risultati chiari, ma in quel momento più che mai.

Rientrando in camera avevo visto Alecsei seduto sulle scale che davano sull'esterno. Una parte di me avrebbe voluto fermarsi e parlare con lui, dirgli cosa mi avevano raccontato i gemelli e Welleda due giorni prima; volevo farlo, visto che lui aveva smesso di conversare con loro durante gli allenamenti. Non so perché, ma anche lui aveva deciso di comportarsi diversamente.

Volevo avere un confronto con lui, ma non mi fidavo. Mi bastò domandarmi sul perché Alecsei e Beatrisa facessero finta di non conoscersi; non si erano mai salutati esplicitamente, ma qualcosa mi diceva che non erano estranei. Questo fu abbastanza da far prevalere la mia parte più cauta.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora