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Varcato il confine, e pur avendo preso il miracolo-freddo, percepii subito la differenza di temperatura.

Il sole non era ancora tramontato, il cielo era limpido, ma l'aria, che a pochi passi di distanza era ancora calda, lì era fredda. Lo capivo dai brividi su tutto il corpo, ma soprattutto dalle mani lente nei movimenti. Era una sensazione strana: sapevo che il mio corpo avrebbe dovuto sentire freddo, ma così non era.

Tuttavia sapevo che il miracolo-freddo sarebbe servito maggiormente la sera, quando le temperature diminuivano con il tramontare del sole; la gente del Nord non tremava mai e noi avremmo dovuto fare del nostro meglio per non dare nell'occhio.

In gruppo ci muovemmo velocemente. Io tenevo le orecchie tese e il corpo pronto ad agire al qualsiasi rumore.

Ci stavamo dirigendo a Junter che, chilometro dopo chilometro, iniziò a intravvedersi alla fine del bosco. La trovavo molto simile ad Aga e a Iya: erano tutte e tre relativamente piccole, con tante cassette per lo più di sassi e con strade strette e in sampietrino.

Le città al confine erano tutte uguali, dopotutto erano le più arcaiche perché i popoli antichi, non avendo molte conoscenze, si trovavano meglio a vivere in quel clima relativamente neutro. Poi, con la tecnologia e le nuove scienze, iniziarono a spostarsi e a creare nuove abitazioni per vivere nelle fasce climatiche più estreme. L'isola iniziò così a popolarsi in tutta la sua lunghezza, creando popoli con diverse tradizioni; ufficializzando e sottolineando involontariamente la differenza tra di essi.

Arrivammo alla fine del bosco e lì, Bayer, ci fece dividere in due gruppi da tre. Indicò il nostro ritrovo, che si vedeva dal bosco, e poi disse un po' teso: «Andiamo prima io, Welleda e Freddy. Quando saremo entrati nell'appartamento aspettate due minuti e poi raggiungeteci senza dare nell'occhio.»

Tutti noi annuimmo, ma mi fu semplice da notare come la sua agitazione si diffondeva su di noi.

Prima di allontanarsi sia Welleda che Freddy lanciarono un lungo sguardo a Caos. Li osservai e pregai qualsiasi entità divina ci fosse nell'universo di non far accadere niente di grave e nessuno di quelle tre persone.

La ragazza con la coda arancione fu l'unica a voltasi una seconda volta per guardare il resto di noi rimasti alla fine del bosco.

Dopo cinque minuti il primo gruppo sparì all'interno di una scala che scendeva sotto la strada. Iniziai a contare i secondi subito dopo. Guardai avidamente l'orologio e feci il count-down per preparare i miei compagni all'azione.

Al che iniziammo a camminare: i due ragazzi davanti e io dietro. Non riuscii a non guardarmi intorno, ero un po' affascinata dalla bella cittadina che avevo già visto ma mai visitato. Se mi sforzavo, lungo la strada ancora sterrata, riuscivo a vedere anche Aga in fondo alla valle; quei tetti colorati erano indubbiamente i suoi.

Sulla strada lastricata in pietra, invece, c'erano pochissime persone, visto che eravamo nella periferia della cittadina. Noi ci stavamo comportando normalmente, ma alcuni di questi ci lanciavano sguardi accigliati; era comunque sospetto vedere tre ragazzi con gli zaini uguali. Nonostante ciò continuavo a sperare che non fossimo fermati da qualche attaccabrighe.

Fu un sollievo quando raggiungemmo la piccola scala di pietra che scendeva di pochi scalini sotto la strada. Alecsei bussò e Bayer ci fece entrare.

Non ero mai stata un'amante delle belle cose, ancora meno delle cose perfette. Molto spesso mi accontentavo di quello che riuscivo ad avere, e proprio per questo non mi feci molti problemi nel vedere il piccolo e vecchio appartamento vissuto.

Era poco illuminato dalle piccole finestre alte. L'arredamento era antico e scricchiolante. Il pavimento era anch'esso di pietra e le pareti erano di un lilla sbiadito, arricchite con diversi difetti: alcuni buchi, strisciate nere, macchie strane o tratti bianchi, come se qualcuno avesse tolto lo strato di vernice con un adesivo.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora