Volevo urlarle contro, ma poi pensai bene di tenere la voce bassa; dopotutto non dovevamo attirare l'attenzione di nessuno, visto che nella stanza stavamo usando dei dispositivi rubati. Non osavo neanche immaginare come ci avrebbero eventualmente puniti...
«Calmati, Reila», disse Beatrisa con un tono divertito dalla mia reazione. «Ho scoperto le squadre e ho pensato di farti un regalo.» Portò avanti Alecsei, tenendolo per un braccio. Anche lui era abbastanza divertito e questo mi fece innervosire ulteriormente. Non capivano il rischio che stavamo correndo?
«Alecsei sarà in squadra con te, quindi puoi togliere il bracciale anche a lui», aggiunse la bionda, chiudendo la porta alle sue spalle. Fece un piccolo sorriso e poi iniziò a guardare i miei attrezzi.
Spostai lo sguardo sul ragazzo e una parte di me fu soddisfatta nel vedere il taglio in fase di cicatrizzazione sul sopracciglio.
«Non mi ringrazi?», domandò nuovamente Beatrisa, richiamando la mia attenzione.
«Perché dovrei. Non lo conosci neanche», risposti confusa. «Come fai a sapere che tolta la scarica dal suo bracciale non tornerà a riprendere i suoi crimini?» Le lanciai un'occhiata secca e aggiunsi: «Per quanto ne so potrebbe essere anche un omicida...»
Sapevo che il mio ragionamento non era sbagliato, ma il modo in cui Beatrisa e Alecsei si guardarono d'istinto e poi scoppiarono a ridere mi fece sentire stupida. Inoltre mi chiesi se non si conoscessero già, vista l'intesa.
«Non lo sono», disse Alecsei dopo aver ripreso il controllo.
Li guardai male e dovetti prendere un grosso sospiro per far diminuire il rossore sulle mie guance. Sì, mi sentivo a disagio, ma quel rossore era più per il modo in cui mi stavano facendo sentire inferiore a loro.
Mi domandai perché Beatrisa avesse reagito così. Ero certa che lei non era mai stata trasparente con me, ma ora mi stava mandando in confusione; perché aggiungere un estraneo in questa faccenda pericolosa?
«Ci sei riuscita?», mi chiese Beatrisa speranzosa.
Titubante, mi presi del tempo prima di risponderle. «Tecnicamente sì, anche se per avere la certezza dovrei provare a usare il telecomando.» Cosa che non ero ancora riuscita a fare.
Beatrisa era contenta, lo si vedeva dall'ampio sorriso, quella volta fiero. Poi si avvicinò a me, che ero ancora seduta a terra, e allungò il suo braccio per farsi disattivare il bracciale.
Ci pensai due volte prima di mettermi all'opera. Non potevo tirarmi indietro, non potevo non aiutarla: era stata lei a recuperare tutto il materiale che mi era servito, inoltre avevamo fatto un patto e mi dava fastidio essere incoerente.
Una decina di minuti dopo Beatrisa mi ringraziò e poi si spostò per lasciare il posto al ragazzo. Nonostante anche Alecsei si fosse seduto, io dovevo ancora alzare il viso per guardarli entrambi. Mi sentivo piccola e senza potere con quelle due presenze.
«Cosa aspetti?», chiese Beatrisa un po' agitata; le sue gambe erano frenetiche.
Dovevo fare qualcosa, altrimenti non mi sarei mai messa l'anima in pace. «Non muoverò un dito finché non saprò il motivo per cui lui era in carcere», risposi accigliata guardando Alecsei. «Voglio poter stare tranquilla con la mia coscienza... se per caso decidesse di scappare.»
La bionda sbottò e si fece sfuggire un verso esasperato. «Non è un omicida, te lo garantisco», ripetè spazientita.
A me, però, non mi interessava delle sue garanzie, dopotutto non conoscevo neanche lei. Non sapevo neanche il vero motivo per cui lei era in carcere.
«Voglio sapere cosa ha fatto.»
Il sorriso di Beatrisa era svanito del tutto. A quanto pare le piaceva avere il pieno controllo, e notai che anche Alecsei se ne stesse accorgendo; sembrava quasi preoccupato degli sguardi affilati che io e lei ci stavamo lanciando.
«E va bene», disse il ragazzo interrompendoci. «Preferisco dire il motivo che essere ammazzato per errore da un comandante distratto.» Poi si rivolse a me e io lo ascoltai attentamente. «Sono un pugile, combatto in tornei illegali. Sfortunatamente mi hanno beccato e mi hanno mandato in carcere. Non sono un omicida, anche se alcune volte mi sono dovuto difendere uccidendo», spiegò neutralmente. Era molto diretto, forse anche troppo con persone che infondo non conosceva.
Se quello che avesse detto era vero allora si sarebbero spiegati i suoi pugni e la sua corporatura... Mi trovai improvvisamente in bilico senza sapere cosa fare.
Ci pensai su un altro minuto e poi chiesi la mano del ragazzo. Alecsei sorrise e io notai che aveva un bel viso, anche se rovinato da me stessa nel pomeriggio.
Mentre lavoravo sul bracciale, osservai il tatuaggio che aveva all'interno dell'avambraccio; il contorno rosso di una lacrima. Lo trovai molto particolare. Lo sguardo poi mi cadde sulla sua mano: era lunga e sottile, e mi chiesi se non fosse poco adatta al suo lavoro di pugile. Prepotentemente mi venne il dubbio che forse non aveva detto la verità, ma ormai era troppo tardi.
«Fatto», mormorai, alzandomi insieme al ragazzo; nella stanza ero la più bassa. «Ora bisogna solo provare.»
Gli occhi di Beatrisa si posarono subito su Alecsei. «Ora sta a te mantenere la tua parte.»
Mi sentii stupida. Era ovvio che gli avesse chiesto qualcosa in cambio! Beatrisa era stata molto sveglia, tanto che mi fece un po' invidia.
Consegnai il telecomando ad Alecsei che velocemente era diventato teso. Io, invece, mi sentii subito a disagio, se avessi fatto uno sbaglio nel procedimento sarebbe stata solo colpa mia e la mia coscienza mi chiese come avrei fatto a vivere sapendo che sarei stata la causa di una seconda morte...
«Ci siamo», mormorò Alecsei con una risata sommessa. Provava a sdrammatizzare la situazione, ma eravamo tutti chiaramente nervosi; lo si poteva vedere dai nostri respiri trattenuti e dagli occhi impauriti.
Alecsei fece un piccolo segno con la testa a Beatrisa e poi, prima di premere il pulsante, mi guardò. I suoi occhi erano chiarissimi e seri, la sua mascella era serrata come le sue labbra.Mi saltarono in mente le immagini di Mike che moriva sotto gli occhi di tutti. Mi ricordai di quanto fossero senza pietà i comandanti e fui sul punto di fermarlo per poter ricontrollare il mio lavoro.
Solo che non feci in tempo.
Con la mano destra Alecsei si passò velocemente un mano nei capelli e poi chiuse il telecomando della sinistra, rivolta verso se stesso.
Distolsi lo sguardo all'ultimo secondo e chiusi gli occhi, immaginando a come avrebbe reagito Beatrisa se Alecsei fosse davvero morto. Mi avrebbe aiutato o mi avrebbe denunciata?
Poi, lentamente, li riaprii. E niente. In quei pochi secondi, nei quali avevo visto la mia fine, ad Alecsei non era successo niente.
Il ragazzo riprovò a premere il pulsante indicandolo su Beatrisa e poi su di me, ma questo non aveva nessun potere su nessun bracciale.
Ripresi a respirare con il cuore a mille. La mia compagna di stanza aveva chiuso gli occhi sospirando e Alecsei, ancora felice di non essere stato folgorato, continuava a premere il telecomando per avere altre conferme.
Poi Beatrisa glielo strappò di mano. «Smettila o ucciderei qualcuno per sbaglio, idiota!»
Alecsei sbarrò gli occhi, sembrava essersi scordato che eravamo i soli criminali a non avere più la scarica elettrica attiva. Eravamo i soli a non dover più sottostare al volere dei comandanti.
«Grazie, Reila, per aver mantenuto la parola», continuò Beatrisa con il suo solito sorriso. «Ora, Alecsei, vai via, domani ci aspetta un lungo viaggio.»
Con mia fortuna non dovetti preoccuparmi di dove nascondere gli oggetti che avevo usato perché Beatrisa disse che ci avrebbe pensato lei. Non la contraddissi, recuperati solo il resto del mio orologio rotto e i miei attrezzi.
Dopo pochi minuti, con un leggero mal di testa, mi posizionai sul letto. Sentii uscire la mia compagna dalla camera, ma non la udii rientrare.
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Lame nella Schiena
Science FictionL'isola di Prirode è divisa a metà, come era già successo in passato. Il Sud, per poter salvare la nazione dalla guerra imminente, decide di offrire la possibilità ai carcerati di arruolarsi in cambio di una riduzione di pena. È per questo che Reila...