Il pomeriggio del nono giorno notai subito che sarebbe stato diverso.
Nella palestra c'erano molti comandanti: ognuno di loro aveva una divisa elegante di un verde oliva. Tutti questi avevano diversi rettangoli colorati sopra al taschino sinistro, piccoli riconoscimenti cuciti con precisione.
Il comandante Vest, anche lui con il completo elegante, si prestava a salutare i suoi colleghi con grossi sorrisi. Notai subito anche le sue medaglie sulla sua giacca.
Mi chiesi come facessero a non avere caldo con tutti quegli strati pesanti. Nella palestra i gradi erano inferiori al carcere o all'esterno, ma tenendo le finestre aperte l'aria calda non ci metteva molto a riscaldare ulteriormente i nostri corpi affaticati.
L'allenamento pomeridiano iniziò dopo poco l'arrivo di questi comandanti. Ci fecero fare un'ora di riscaldamento e poi passammo ai combattimenti. Le divise verdi oliva supervisionarono tutto, si spostavano da gruppo a gruppo prendendo appunti e indicando con lo sguardo alcuni criminali. Certi parlavano tra di loro, come per riflettere insieme su qualcosa, e molti si fermavano davanti al primo gruppo, dove c'erano chiaramente i criminali più abili. Anche io sapevo di essere alla loro altezza, ma nei giorni, ragionando, avevo capito che non valeva la pena sforzarsi per essere inserita tra i più valenti. Non volevo essere scelta per poi essere presa in una squadra che probabilmente avrebbe avuto le missioni più difficili e rischiose.
Qualche giorno prima avevo sentito un ragazzo dire che le squadre sarebbero state formate da sei soldati, sette incluso un comandante. Tra queste sei persone, solo tre sarebbero stati soldati-criminali; il resto era formato da veri soldati, in modo da avere squadre eque. E questo mi sembrava un ragionamento relativamente giusto.
Mentre ripensavo a tutte le informazioni recuperate in quei nove giorni, mi soffermai a guardare il combattimento di alcuni miei compagni di gruppo. Fu poco dopo che mi sentii osservata per l'ennesima volta. Quella, però, fu la più insistente, tanto da farmi grattare il pollice dall'agitazione.
Mi voltai di scatto e andai subito alla ricerca di chi mi stesse fissando. Trovai un comandante che ebbe la sfrontatezza di non distogliere lo sguardo quando incrociò i miei occhi. Passarono pochi attimi, ma lui riuscì a mettermi immediatamente a disagio.
Poi un pensiero mi risvegliò prepotentemente. Si erano accorti del telecomando?... No, impossibile. L'avevo smontato in tre parti e tutte erano ben nascoste...
Il comandante smise di scrutarmi, ma colsi quella occasione per esaminarlo. Capelli grigi, particolari per la sua età, aveva un mento pronunciato, un naso dritto e zigomi alti, sporgenti. Nel complesso il suo viso era delimitato da linee spezzate ma c'era qualcosa che rendeva il tutto un insieme armonioso. Gli occhi erano chiari, o almeno non erano scuri, e riconoscevo che era giovane, forse di due o tre anni più grande di me.
Dopo aver finito di inquadrarlo distolsi lo sguardo. Mi concentrai sullo scontro del primo gruppo poco lontano per non continuare a chiedermi banalmente perché mi avesse studiata così a fondo.
Beatrisa stava combattendo con un ragazzo alto quasi il doppio di lei; nonostante ciò lei sembrava non avere problemi. Anzi, l'avversario sembrava in difficoltà.
Notai che anche una comandante giovane stava osservando attentamente lo scontro. Aveva l'aria familiare e io ero convinta di averla già vista da qualche parte, solo che non mi ricordavo dove.
La comandante seguiva ogni movimento della mia compagna di cella e, quando Beatrisa vinse lo scontro, scrisse qualcosa sul suo dispositivo. In quel momento ebbi un'illuminazione: mi serviva quello per annullare la scarica dei bracciali. Non ero sicura che fosse lo stesso che avevano usato le guardie in prigione, ma sicuramente sarei riuscita a combinare qualcosa.
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Lame nella Schiena
Fiksi IlmiahL'isola di Prirode è divisa a metà, come era già successo in passato. Il Sud, per poter salvare la nazione dalla guerra imminente, decide di offrire la possibilità ai carcerati di arruolarsi in cambio di una riduzione di pena. È per questo che Reila...