25.1

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Bayer:


Notai subito il modo in cui Reila aveva distolto lo sguardo, ormai era così da giorni. Il suo comportamento era cambiato dall'ultima missione e la cosa che mi seccava di più era che per qualche giorno aveva allontanato di nuovo i suoi compagni. Potevo capire l'evitare me, ma non loro. E proprio per quello non riuscii a rimanere arrabbiato con lei, anzi, mi sentii sollevato quando tutto tornò alla normalità.

Scossi per tornare al presente. «Stavi dormendo?», le chiesi, guardando prima il suo viso stanco e poi il letto sfatto alle sue spalle.

Lei annuì, evitando ancora il mio sguardo.

«Mi dispiace disturbarti», dissi cercando di controllare il respiro. E realizzai per un breve istate che non poteva essere a causa della breve corsa per Alecsei. «Hai mica sentito Alecsei rientrare in camera? Oppure la porta a vetri chiudersi?», domandai guardandomi intorno per darle un po' di tregua.

Non sentendo una risposta, però, portai la mia attenzione su Reila. Aveva lo sguardo perplesso, i suoi occhi blu erano socchiusi e le sue sopracciglia corrugate.

«...No, ovviamente no, stavi dormendo.»

Il suo ignorarmi, il suo vergognarsi di me, mi fece sfuggire la domanda che negli ultimi giorni mi aveva seguito insistentemente. Non ci pensai due volte, sentivo la necessità di chiederglielo e di sapere una risposta.

«Sei arrabbiata con me per la punizione?»

Studiai la sua reazione e fui sicuro di quello che vidi. Panico. Era chiaro: nascondeva la mano dietro la sua coscia e sospirava per farsi coraggio. Era un'abitudine che avevo già visto diverse volte in lei.

«Con me stessa», mi corresse con un tono bassissimo che faticai a sentire. «Poteva succedere qualcosa di brutto ai miei compagni solo perché ero distratta dai miei pensieri...»

Non avrei definito il signor Dadekio un pensiero, ma decisi di non farglielo notare. Non ancora, almeno.

«Non voglio tornare in carcere. Non voglio essere lì quando scoppierà la guerra.» Il suo sguardo salì finalmente sul mio. I suoi occhi erano estremamente aperti e anche... spaventati.

Mi stupii nel vederla così, di sentire quelle parole. Tuttavia anche lei sapeva che il piano della Generale non avrebbe funzionato.

«Non sarai in carcere quando scoppierà», mormorai, sorprendendomi ancora di più del mio volerla confortare. Quegli occhi, che non ero sicuro se fossero del tutto sinceri, mi spronavano sempre a dire di più di quel che avrei dovuto. Un po' la detestavo per quel motivo, ma infondo sapevo che era solo una mia piccola debolezza.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora