Bayer era seduto a un tavolo lontano, in compagnia dello stesso comandante con cui aveva pranzato. Fortunatamente riuscivo a vedere entrambe le facce, quindi a leggere tutta la loro conversazione.
«Allora, come ha reagito la tua squadra?», chiese Lenier sorridente, toccandosi la sua barba sui toni del bianco.
Bayer fece una piccola risata socchiudendo leggermente gli occhi.
«Sono rimasti traumatizzati ed è stato divertente vedere le loro facce.» Si fermò per terminare il bicchiere. «Due soldati-criminali hanno reagito bene. Mi chiedo se siano già stati al Nord», disse, guardando nella mia direzione. Non abbassai lo sguardo solo perché lui lo rivolse subito a Lenier che si era fatto più serio.
«Stai attento a quei due, rimangono comunque dei criminali», parlò, alzandosi dal tavolo e recuperando il suo vassoio. Poi, dando una pacca sulla spalla di Bayer, aggiunse: «Ma so che non serve che ti dica queste cose.»
I due si salutarono e il ragazzo dai capelli grigi rimase da solo.
Continuai a leggere il labiale di Bayer, questa volta era a me che si stava rivolgendo.
«È così? Ci sei già stata?», chiese da lontano.
Io mi guardai intorno. In mensa c'erano ormai poche persone, ma mi faceva strano parlare da sola, o meglio, farlo con una persona a tre tavoli di distanza.
«Sì», risposi titubante. Che ci fossi stata per quindici anni, senza contare le volte per lavoro, decisi di tenerlo per me.
Come se mi avesse letto nel pensiero mi domandò per quanto ci fossi stata.
«Una lunga vacanza», sviai sempre più agitata.
Sul viso di Bayer aumentò la sua espressione accigliata. «Sei vaga.»
Non volendo più sorbirmi tutta quella pressione conclusi dicendo: «Sono solo riservata.» Mi alzai dal tavolo con il vassoio vuoto e mi avviai al bancone dove avrei dovuto appoggiarlo; era incredibile quanto la fame facesse diventare quei pasti una squisitezza.
Con mia sorpresa fui subito raggiunta dal comandante. Mi spaventai leggermente quando me lo ritrovai a pochi passi di distanza tanto da poter usare un tono basso. Provai a fare finta di niente, ma la sua presenza mi metteva in soggezione.
«Non dovresti esserlo con me.»
Mi voltai velocemente e con il gelo ancora annidato dentro di me risposi altrettanto freddamente. «È un ordine?»
Lui roteò gli occhi grigi con grosse occhiaie rossastre. «Dovresti fidarti del comandante», ripetè lui neutro. Fu strano notare che non sembrava infastidito dal mio comportamento.
«E cosa hai fatto per far si che io riponga la mia fiducia in te?», chiesi accigliata.
Bayer rimase un po' a pensarci. Tentò anche di parlare, ma poi richiuse subito la bocca. Si era guardato intorno, come per cercare una risposta, ma infine disse solo un «D'accordo.» Poi se ne andò tranquillamente.
Non seppi interpretare quelle parole. Non riuscivo a capire se si fosse offeso per il modo in cui avevo parlato. Ma anche se lo fosse stato lo avrei di sicuro scoperto presto.
Tornata in camera ci riflettei a lungo, tanto da farmi venire il mal di testa. Non riuscivo a dormire e la stanchezza degli allentamenti non aiutava; ogni tanto mi capitava e sapevo che non era una cosa normale, d'altro canto conoscevo il mio corpo e mi ci ero abituata.
A un'ora tarda sentii sbattere la porta d'emergenza. Mi chiesi chi fosse, visto che normalmente tutti i soldati si addormentava presto a causa della stanchezza.
Curiosa mi sporsi dal letto per vedere fuori dalla finestra e nella penombra riuscii a vedere una persona incamminarsi velocemente verso la rete. Non so come, ma io sapevo che fosse Alecsei. Non c'erano altre possibilità nella mia mente.
Dopo pochi secondi pensai che non sarebbe mai uscito così presto, e da ciò dedussi che era davvero tardi. Mi sdraiai nuovamente, decisa ad aspettare che Alecsei rientrasse per potergli fare solo notare che lo avevo visto sgattaiolare fuori dalla Base, ma come per magia mi addormentai senza sognare niente.
***
Era l'ottavo giorno da quando eravamo stati trasferiti alla Base Gamma; il primo giorno in cui finalmente non c'era bel tempo.
Mi ero svegliata con la sirena, che era impossibile da ignorare. Mi ero alzata per fermarla, ma poi, sentendo i dolori in tutto il corpo, mi ero ributtata nel letto. Da sdraiata riuscivo a vedere un pezzo di cielo nuvoloso, e quello era un motivo in più per non voler fare niente.
La sera prima mi ero addormentata veramente tardi e dovetti farmi forza da sola, pensando a che brutta punizione mi avrebbe dato Bayer se avessi fatto ritardo.
A colazione non trovai nessuno dei miei compagni, ero sicura che ormai mancavano solo pochi minuti al suono della sveglia per gli allenamenti. Quel giorno sarebbe stata una giornata da caffè, ma decisi comunque di non prenderlo; avrei potuto recuperare il sonno dopo pranzo.
Corsi in camera per finire di prepararmi e poi mi diressi nella Palestra-2.
Da tanto che ero stanca mi concentrati solo su me stessa, senza provare a studiare l'umore del comandante. E ci riuscii. Solo dopo due ore di allenamento e di pensieri tornai alla realtà nel sentire la sua voce.
«Questo pomeriggio, alle 14:00, fatevi trovare nel mio ufficio. Vi spiegherò la prima missione», ci informò.
Non aggiunse altro, lasciandoci tutti un po' sorpresi. Alecsei sembrava più confuso mentre mi puntava gli occhi addosso; sentivo la sua curiosità, ma io decisi di non contraccambiare.
Ero contenta di ricevere notizie, ma ero anche leggermente preoccupata, visto cosa riguardavano le missioni. Erano poche le volte in cui pensavo veramente a cosa sarei andata incontro nelle settimane avvenire. In carcere avevo il signor Thomas che mi informava su quello che succedeva tra le due nazioni, ma alla Base erano poche le notizie che sentivo. Non sapevo realmente quanto si fosse evoluta la situazione, non avevo idea di quale dei miei peggior scenari si fosse avverato.
Mentre tornavamo nelle stanze a fine allenamento Welleda mi si affiancò.
«Sono sia curiosa che spaventata. Chissà tra quanti giorni sarà datata la missione», disse la ragazza con un tono stanco.
«Anche io, anche se avrei preferito dormire un po' prima dell'allenamento pomeridiano», ammisi con uno sbadiglio.
Welleda sorrise. «Ti prego, non farmi già pensare a quello che ci toccherà oggi!» Risi per la sua faccia buffa.
All'incrocio dei corridoi dei dormitori ci salutammo e ci demmo appuntamento a pranzo. Riuscii a trovare un buco per dormire di circa due orette e quel riposino mi fece sentire meno stanca di prima.
A pranzo non vidi il comandante da nessuna parte, così mi concentrai sulla conversazione dei miei compagni.
«...Ieri una nostra squadra è riuscita a eliminare una fabbrica di armi al Nord», accennò Caos cambiando discorso.
«Credete che anche a noi toccherà fare qualcosa del genere?», domandò Welleda preoccupata. Con i suoi occhi castani guardò tutti i presenti.
Fu Alecsei a parlare. «Non credo», rispose di getto con gli occhi rapiti dal cibo. «Senza offesa, ma Bayer non ci manderebbe in una missione del genere con voi, sarebbe un vero suicidio.»
Vidi Caos concordare silenziosamente con lui; le sue sopracciglia folte si alzarono e la sua bocca si deformò in una smorfia.
Calò un silenzio non indifferente. Tra di noi si sentì solo il sottofondo della mensa: il solito chiacchiericcio e il rumore delle posate di plastica sui vassoi dello stesso materiale. Avrei voluto dire qualcosa, ma non sapevo cosa. Ci stavo davvero pensando quando fortunatamente si fece avanti Freddy.
«Nessuna offesa, sono consapevole che sarei il primo a morire in una situazione simile», scherzò il gemello con un sorriso mentre si lisciava i capelli. Ci strappò a tutti una piccola risata e lui ne fu visibilmente contento.
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Lame nella Schiena
Science FictionL'isola di Prirode è divisa a metà, come era già successo in passato. Il Sud, per poter salvare la nazione dalla guerra imminente, decide di offrire la possibilità ai carcerati di arruolarsi in cambio di una riduzione di pena. È per questo che Reila...