Il secondo giorno mi svegliai riposata. La luce entrava dalla piccola finestra, preannunciando la giornata soleggiata. Ero felice che in quel posto le temperature fossero più tenue. Quel clima mi fece ricordare che a pochi chilometri di distanza c'era la mia piccola casa, la mia vita normale a Iya che tanto mi mancava.
Sotto la doccia mi controllai il corpo attentamente. Il pomeriggio precedente avevo notato con grande sorpresa che tutti gli ematomi erano scomparsi, ma volli verificare se fossero guariti veramente. A quanto pare, il miracolo funzionava ovunque.
Mi chiesi perché non mettessero in vendita quel medicinale, ma poi, diffidente, mi domandai se non avesse effetti negativi sugli individui. Allontanai il pensiero troppo catastrofico per l'ora presta.
Feci una colazione veloce. Avevo sprecato tutto il tempo aspettando in coda per scoprire che non era praticamente rimasto niente oltre a delle barrette ai cereali. Come giusto che fosse, mi accontentai senza fare storie. Ricordavo bene i giorni bui in cui io e Gen non avevamo avuto niente da mangiare. Giorni interi in cui eravamo sopravvissute con piccoli tranci di pane secco. Seduta da sola mandai giù quel brutto ricordo insieme al bicchiere d'acqua.
L'allenamento mattutino fu nella Palestra-2. Era uguale a quella del giorno precedente, anche se a dimensioni era la metà; infatti la stanza era divisa per sole quattro squadre.
Entrando vidi la testa bionda della mia ormai ex-compagna di cella. Erano passate ventiquattro ore dall'ultima volta che l'avevo incontrata e mi fece uno strano effetto, dato che nelle ultime settimane ero stata abituata a vederla tutto il giorno.
Una parte di me voleva trascinarsi da lei per salutarla o per chiederle come stesse. L'altra parte, invece, vedendo il suo sorriso ammaliante che stava rivolgendo a un ragazzo alto, mi fece caminare dritta verso i miei compagni già presenti.
Welleda mi si avvicinò con un sorriso debole senza dire niente. Freddy, invece, mi chiese come stessi.
«Bene, grazie», risposi sincera. Avevo dei pasti, un letto e fino a quel momento non era successo niente di preoccupante. Forse non ero mai stata così fisicamente bene. Come reazione, però, mi guardai la cicatrice e mi scusai con mia sorella che aveva fatto di tutto per non farmi mancare niente.
Poco dopo il comandante Bayer arrivò e fece iniziare il riscaldamento. Ci fece correre, fare stretching e infine partì con il vero e proprio allenamento. Prima gli addominali, poi le flessione e gli scatti di velocità; ci fece anche saltare per farci allenare i muscoli delle gambe.
Lui eseguì tutto impeccabilmente insieme alla sua squadra. Realizzai che aveva memorizzato i nostri nomi da come li usava per correggerci, e non feci a meno di notare che noi criminali ci teneva molto sottocchio. Bayer mi aveva guardata più volte, soprattutto quando si accorgeva che il mio sguardo cadeva sulla squadra della comandante Fuyra. Una volta riuscì anche a incrociare i miei occhi, facendomi sentire terribilmente in trappola, come se il suo fosse un ammonimento sul smettere di distrarmi e concentrarmi sugli esercizi.
Ma non ero l'unica che scrutava così eccessivamente. Il comandate fissava sospettosamente Alecsei. Quel ragazzo lo metteva chiaramente di mal umore, anche perché anche Alecsei gli lanciava occhiate che avrebbero infastidito chiunque. Era diventato quasi una gara di sguardi e io ne ero un po' preoccupata: non volevo che il giochetto di Alecsei lo facesse innervosire fino a darci una punizione per colpa sua.
Alla fine preferii non assistere più al loro scontro visivo; ero già stanca di mio con quell'esercizio per le gambe, che mi bruciava i muscoli fino a farmeli tremare. Per far passare più velocemente il tempo, allora, mi concentrai sul resto della squadra. Sentivo la voce non bassa di Freddy lamentarsi, cosa che trovavo sempre di più divertente. Welleda mi si era affiancata dall'inizio delle due ore ed ero riuscita a vedere chiaramente i suoi muscoli traballare per gli sforzi.
La sirena-sveglia ci risvegliò tutti, generando un coro di sospiri sollevati. Accaldata mi misi in coda alla folla che stava uscendo per potersi finalmente fare una doccia. La mattina e il pomeriggio erano i periodi più roventi, sfortunatamente erano nei quali ci allenavamo.
Dopo essermi rinfrescata mi affacciai alla finestra della mia camera e nuovamente guardai il cielo soleggiato illuminare il prato verde. Pur non avendoci mai visto nessuno mi chiesi se avessi potuto sedermici. Il bracciale mi avrebbe "folgorata"?
Presa da una foga improvvisa decisi di tagliare la testa al toro. Dopo tanti ripensamenti mi incamminai svelta nell'edificio abbastanza fresco, incontrando soltanto soldati rossi e neri. Speravo infatti che i comandanti fossero nei propri uffici, perché ero lì che mi stavo dirigendo.
Passavo le porte osservando le targhette sopra al riquadro di vetro sabbiato e, dopo una dozzina di queste, trovai finalmente quella di Bayer.
Stavo bussando sul legno quando questo si aprì di scatto. Per riflesso feci un passo indietro, riuscendo a schivare il colpo che altrimenti mi sarebbe andato dritto alla spalla.
Il comandante mi guardò in nessun modo particolare quando si accorse che ero dietro alla porta. Era chiaro che non fosse interessato a scusarsi.
«Sì?», chiese, sbattendo più volte gli occhi.
Era molto più alto di me, o meglio, ero io che ero abbastanza bassa. Spesso era proprio per quello che le persone mi sottovalutavano: non dimostravo mai gli anni che in realtà avevo. Inizialmente mi aveva infastidito, poi, però, ero riuscita a vedere il suo lato positivo; ero più agile e più veloce nei movimenti, potevo nascondermi meglio e potevo appunto fingermi più piccola.
«Ho una domanda da farle.» Lui mi fermò subito dicendo che potevo usare il tu, visto che eravamo praticamente soli nel corridoio. Annuii e poi chiesi: «Posso uscire dall'edificio? Intendo per stare fuori nel prato o per correre sulla pista d'atletica.»
Il comandante alzò le sopracciglia. «E perché dovresti?» Il suo tono aveva preso una punta di divertimento.
A me sembrava una domanda molto banale, ma decisi comunque di rispondere seriamente, ignorando il modo antipatico di rivolgersi a un suo sottoposto.
«Sono stata in carcere per più di un anno e avevo solo un ora d'aria al giorno, quindi mi chiedevo se potessi starci senza essere uccisa dal bracciale.»
Fece un sospiro come se gli scocciasse dare informazioni così superflue. «Il bracciale si attiva automaticamente se superi la rete, quindi all'interno puoi fare quello che vuoi.»
Contenta stavo già per ringraziarlo quando lui continuò la conversazione; inutile dire che il suo comportamento mi destabilizzò. Voleva parlare con me?
«Vedo che ti hanno dato il miracolo.» E se il comandante non avesse indicato il mio naso, non avrei capito a cosa si riferisse. Mi era ancora difficile credere che quella pasticca esistesse veramente. Inoltre, non avendo più visto il rossore, mi ero dimenticata del brutto colpo da parte di Alecsei.
«Dobbiamo stare ai comandi senza fare storie», recitai la prima regola che ci aveva esposto il giorno precedente. Sapevo di non essere abile nel conversare, ma quella fu la conferma di iniziare a parlare il meno possibile, anche se effettivamente già lo facevo.
Non avevo usato un tono freddo, volevo solo apparire attenta e propensa alle regole, ma dalla reazione del comandante vidi che avevo fatto un passo falso. Infatti il volto del ragazzo si irrigidì impercettibilmente, lo notai da come socchiuse leggermente gli occhi; proprio come per sfidarmi.
«Non era un ordine, era un consiglio. Ma pensala come vuoi.»
Mi sforzai di non spostare lo sguardo imbarazzato, ma era difficile ricordandomi della pessima figura appena fatta. Dietro la mia coscia stavo nascondendo il mio tic, mi sentivo agitata, come se quello avrebbe portato a qualcosa di negativo.
Fece per superarmi ma poi tornò davanti a me. «E questo non è un ordine... Anzi, lo è», pronunciò con un tono indisponente.
Feci in tempo a spostarmi di lato per farlo passare. Probabilmente se non lo avessi fatto mi avrebbe spostata di forza. Mi diedi della stupida, ma lui era... Non trovavo un aggettivo con cui concludere la frase che avevo in mente. Pensai fosse stato antipatico, ma non era abbastanza rappresentativo.
Ma la cosa che mi fece confondere ulteriormente, fino a farmi preoccupare, fu il modo in cui disse: «Ci vediamo questo pomeriggio.» Ero sicura che i suoi occhi si erano illuminati di un bagliore a cui non seppi dare una risposta.
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Lame nella Schiena
Science FictionL'isola di Prirode è divisa a metà, come era già successo in passato. Il Sud, per poter salvare la nazione dalla guerra imminente, decide di offrire la possibilità ai carcerati di arruolarsi in cambio di una riduzione di pena. È per questo che Reila...