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La mattina seguente iniziò diversamente dal solito. A colazione non incontrai nessuno e ciò mi preoccupò non poco. Decisi allora di passare da Welleda per portarle un caffè; ovviamente nel trasporto mi ero bruciata le mani, visto che oltre la mensa non si potevano portare tazze o posate.

Bussai la porta e una voce esile mi diete il permesso di entrare. Mi sorpresi nel vedere il disordine, sembrava ci fosse passato una bufera. A me piaceva l'ordine e mi infastidiva vedere le cose nel posto sbagliato, come per esempio i vestiti lanciati sulla scrivania e il cuscino sul pavimento.

Proprio lì vicino ci trovai Welleda, intenta a infilare il filo in un ago per sistemare il suo vestito. Era nero, facilmente riconoscibile dagli invitati, così mi aveva spiegato velocemente con un tono acuto. Cercai nei miei ricordi se fosse una regola convenzionale del Nord, ma non sapevo darmi una risposta.

Le mostrai il bicchiere di caffè e lei mi chiese di appoggiarglielo sulla piccola scrivania.

«Hai dormito?», domandai un po' preoccupata dal suo comportamento.

I suoi occhi si ingrandirono quando alzò le sopracciglia. «Oh sì, anche troppo!», esclamò passandosi una mano sul viso. «Ieri sera, pensando non sarei riuscita a dormire, sono andata in infermeria a prendere una tisana che ti danno appositamente per tranquillizzare i soldati. Mi hanno detto che ci avrebbe impiegato mezz'ora prima di fare effetto, giusto il tempo che mi sarebbe servito per sistemare il vestito, ma a mala pena sono resistita dieci minuti», spiegò frettolosamente mentre non era ancora riuscita a utilizzare l'ago.

Fece un verso frustrato e poi continuò: «Mi sono svegliata solo cinque minuti fa e devo ancora finire di sistemare l'orlo troppo lungo... Ma non ci riuscirò mai, visto che questo filo non vuole collaborare. Mi odia!» Le ultime parole le urlò, allarmandomi e preoccupandomi.

La raggiunsi per soccorreva prendendole di mano ago e filo. «Fatti aiutare», dissi facendola alzare. «Mettilo addosso così vedo quanto accorcialo.»

Welleda mi ringraziò con gli occhi lucidi e poi fece come le avevo detto. Era spaventata e il terrore la stava facendo andare fuori di testa. Quello mi procurò una fitta di dolore al cuore; l'unica cosa che riuscivo a pensare era che non sarebbe dovuta andare in missione se non se la sentiva.

Mi concentrai sul vestito che aveva le stesse fattezze del mio ma con le maniche lunghe. L'altra differenza era il materiale di cotone, che creava un effetto opaco, non satinato come il mio.

La feci parlare per distrarla da quello che avremmo fatto in serata. Welleda allora mi raccontò che per la sua copertura avrebbe dovuto raccogliere i capelli in uno chignon semplice e che poi avrebbe dovuto indossare dei tacchi neri e bassi. Nessun gioiello, ma nonostante tutto lei era contenta della sua divisa.

Inoltre volle sapere come fosse il mio di vestito. Pur concentrata nel fare l'orlo, cercai di spiegarglielo nei dettagli, e dovetti sforzarmi per non pensare al ballo che avevo avuto con Alecsei.

Gli allenamenti mattutini passarono velocemente e silenziosi. Io feci del mio meglio per non guardare Alecsei, ma mi risultò più difficile del solito, anche se lui non aveva fatto altro che ignorarmi.

Nella seconda ora di allenamento ripassammo tutti il piano e io ascoltai nuovamente Alecsei fare domande sugli invitati. Bayer, allora, arrivò fino a ordinargli di non parlare più, cosa che lo fece molto innervosire.

L'allenamento pomeridiano, invece, era stato cancellato. Noi ragazze decidemmo di aiutare Freddy e Caos con i loro completi semplici ma eleganti. Bayer si mise a disposizione per qualsiasi dubbio, sempre negandolo ad Alecsei.

Passai quelle ore che mancava alla missione ad organizzare lo zaino e a prepararmi mentalmente. Continuavo a dirmi che tutto sarebbe andato per il meglio, ma il tic al pollice la pensava diversamente.

Tutto andrà bene.

Bayer un'ora prima di partire passò da ogni suo soldato. Aprii la porta ancora agitata e con il pollice totalmente maltrattato che poi dovetti nascondere per vergogna.

Il comandante mi era davanti con due giubbotti anti proiettili in mano. Erano di un grigio scuro, quasi nero. Mi soffermai qualche secondo per vederli e continuai anche quando lui iniziò a parlare.

«Tra meno di un'ora partiamo», disse neutro. «Fatti trovare il prima possibile nella Palestra-Esterna.»

Come poteva non essere agitato? Con il tempo ci si abituava?

«Mettiti questo solo alcuni vestiti normali», mi spiegò passandomi il giubbotto. Prendendolo notai che non era pesante quanto credevo, ma poi pensai che era frutto della nuova ingegneria militare. Non era più un segreto per me che alcuni tra gli studenti più bravi del paese si arruolavano nella milizia.

Bayer fece un mezzo sorriso vedendo il polso con l'orologio indossato. Pensai che avrebbe detto qualcosa al riguardo, ma lui si accontentò solo di vederlo lì. «Sei pronta per la missione?», mi chiese, stupendomi della sua curiosità. Notai il suo cambio di tono: quella domanda l'aveva posta con gentilezza. Forse si era ricordato che fosse la mia prima missione?

«Sì», risposi, e ciò non era del tutto errato. Avrei avuto diverse ore per andare eventualmente nel panico e riconoscevo che era inutile anticipare tutte quelle emozioni.

Il comandante annuì e mi salutò con un cenno.

Tornai in camera e da dentro sentii una porta bussare, aprirsi e udire il comandante dare gli stessi miei ordini ad Alecsei con un tono freddo.

Tutto andrà bene.

Qualche minuto dopo, mentre mi cambiavo, mi vennero in mente tante domande che prima non avevo considerato. Come avremmo fatto ad attraversare il Muro? Come avremmo fatto a sapere che non ci avrebbero uccisi appena sconfinato? Avevo provato a darmi qualche risposta, ma, fortunatamente o meno, la verità l'avrei scoperta presto.

Finii di prepararmi facendomi due trecce, così da avere i capelli mossi per l'evento. Indossai il giubbotto anti proiettili con sopra la maglia bianca e la mia felpa verde, abbastanza grande da fare i risvolti alle maniche. Da quando ero alla Base era era la prima volta che la indossavo e mi chiesi perché non lo avessi fatto prima, dato il conforto che mi regalava; sapevo che durante gli allenamenti dovevo tenere quella assegnata ad ogni soldato, ma non esistevano regole che mi vietavano di indossare altri indumenti in camera.

Come pantaloni avevo solo quelli neri della tuta. E infine, come scarpe, indossai gli anfibi che avrei messo anche la sera; così avrei avuto meno pesi da portarmi durante il viaggio.

Mi infili lo zaino in spalla e poi lasciai la mia stanza prendendo un grosso sospiro.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora