La sveglia era la solita sirena che in diverse occasioni veniva anche suonata in tutto l'edificio. Il suono era forte e insistente, martellante. Non esisteva un pulsante per poterla fermare: si spengeva con un sensore che captava la persona in piedi nella stanza. Il primo giorno che l'avevo dedotto ne ero rimasta piacevolmente sorpresa, anche se da quella mattina in poi l'avevo detestata; ti obbligava ad alzarti dal letto anche quando i muscoli erano ancora doloranti dagli allenamenti.
Avevo chiesto alla mia compagna che ore fossero e lei, con un tono soffocato dal cuscino, aveva risposto che erano le quattro di mattina. Ero abituata a svegliarmi presto, ma mi capitava di rado alzarmi a quell'ora. Inoltre ero ancora stanca dalla giornata precedente e anche Beatrisa lo era; riuscivo a sentire i suoi lamenti dal letto nella parete opposta.
Odiavo non avere più un orologio. Era stata una gioia averlo avuto dopo mesi di carcere e mi sentivo di nuova vuota e disorientata senza conoscere l'ora del giorno.
Mi feci forza per occupare per prima il bagno e soprattutto per far tacere la sveglia, visto che Beatrisa, a quanto pare, non si sarebbe alzata presto.
Allo specchio vidi che il naso era ancora gonfio e che il rossore si era leggermente attenuato, anche se si stava trasformando in una macchia nera e tremendamente dolorosa. Sotto la doccia ispezionai gli ematoma sul corpo e i loro diversi colori; variavano dal grigio scuro al viola, i più vecchi, invece, erano sul giallo.
Lo sguardo, infine, mi si fermò sul bracciale. Sembrava diverso anche se sapevo che non era possibile. Eppure non mi faceva più paura, il nero non sembrava più così tetro. Sorrisi lievemente, ero contenta di essermi tolta una possibilità in più di essere uccisa.
Non essendo più legata all'esercito avevo pensato che sarei potuta anche scappare, ma sapevo che non aveva senso. I mesi di condanna erano pochi, se dimezzati diventavano poche settimane e dopo sarei potuta tornare a vivere serenamente, dedicandomi al mio contrabbando. Non volevo vivere scappando. Potevo farlo, certo, ma non volevo fuggire tutta la vita anziché scontare alcuni giorni.
Finii di prepararmi velocemente e lasciai il bagno libero per Beatrisa, che nel frattempo aveva ricevuto da un soldato due zaini neri per mettere dentro i pochi averi che ci eravamo portate dal carcere.
«Visto come sono stati gentili i nostri amici?»
Smisi subito di ascoltarla. Era troppo presto per la sua voce acuta e le sue domande.
Non avevo quasi niente di mio da mettere in quello zaino: avevo tenuto solo la felpa grande e verde scuro, avevo il piccolo set di attrezzi con cui avevo lavorato la sera prima, l'orologio rotto, un anello e qualche contante.
Con precisione posizionai tutto all'interno dello zaino e poi rimasi a guardare il gioiello. Quell'anello era molto importante, era stato il primo oggetto di valore che avevo rubato con Gen. Ricordavo perfettamente quel giorno pieno di adrenalina e il viso soddisfatto di mia sorella.
L'anello era d'oro, finissimo e con cinque piccolissime pietre. Non era per niente appariscente. Lo avevo portato sempre nell'anulare della mano destra e in carcere avevo sentito la sua mancanza. I primi giorni in cella mi ero spaventata quando, toccandomi il dito, non lo trovavo; allora mi ricordavo il perché non lo avessi e mi davo della stupida.
Lo indossai e fu freddo al contatto con la pelle, una sensazione che non provavo da tempo. Poi, come per reazione, iniziai a girarmelo al dito mentre ragionavo se tenerlo o nasconderlo nello zaino. Sapevo che mi sarei fatta del male se avessi dovuto difendermi, ma quel piccolo oggetto mi ricordava la vita al Nord con Gen... Quindi lo tenni, ci tenevo molto.
Prima di lasciare la stanza ero tentata di chiedere a Beatrisa cosa ne avesse fatto dei dispositivi, ma alla fine lasciai perdere. Meno se sapevo, meglio sarebbe stato per me.
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Lame nella Schiena
Science FictionL'isola di Prirode è divisa a metà, come era già successo in passato. Il Sud, per poter salvare la nazione dalla guerra imminente, decide di offrire la possibilità ai carcerati di arruolarsi in cambio di una riduzione di pena. È per questo che Reila...