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Due giorni passarono velocemente. Gli allenamenti, pesanti e mirati, furono gli stessi con la differenza dei veri coltelli al posto dei pezzi di legno. Bayer accoppiava soldati-studenti a noi criminali; notai che erano migliorati parecchio in quelle due settimane circa, anche se sapevo che combattere contro un compagno di squadra, e farlo con un vero nemico che ti vuole morto, era ben diverso.

Il comandante aveva anche iniziato a ordinare scontri tra soli studenti. Questi terminavano solo quando non si vedeva il primo sangue, cosa che a loro fu difficile da eseguire e ad abituarsi. I ragazzi si lamentavano molto in assenza del comandante, soprattutto perché non volevano farsi del male a vicenda, e in particolar modo a Welleda; essere violenti con una ragazza era una cosa che andava contro alla loro educazione, anche se lei si difendeva. Welleda aveva provato più volte a spiegare che sapeva che fossero obbligati, ma loro non facevano che scusarsi.

Solo in quei giorni mi accorsi della loro vera amicizia, una di quelle che di rado si vedevano in giro; una di quelle che io non avrei mai avuto.

A cena, invece, parlavano più sinceramente preoccupati della missione. Sapevamo tutti che probabilmente sarebbe andato tutto per il meglio, visto quel poco che dovevamo fare, ma non potevamo esserne certi. Eravamo venuti a sapere che la nostra missione era particolarmente tranquilla rispetto a quella delle altre squadre, che andavano al Nord per distruggere carichi o industrie belliche.

Tuttavia i gemelli confessavano i loro dubbi sul combattimento ad Alecsei, mentre io rassicuravo e incoraggiavo Welleda.

La sera andavo sempre in camera presto. Prima di addormentarmi, pur essendo esausta, mi esercitavo a ballare davanti allo specchio. Non sapevo se i miei movimenti erano giusti, ma fui contenta di sapere almeno le basi.

Mancava un giorno alla missione. Eravamo tutti maggiormente tesi e silenziosi rispetto ai giorni precedenti, soprattutto Freddy che di solito cercava di sdrammatizzare la situazione. Proprio per quello Alecsei provava a scherzare con lui facendo battute; cercava di distrarlo per qualche attimo, magari dandogli spunti per parlare di altro e farci svagare tutti con i suoi discorsi particolare.

Avevo notato come Alecsei aveva instaurato una specie di rapporto di amicizia con loro. Durante gli allenamenti tendeva a parlare con tutti, esclusa me, e a pranzo si concentrava a discutere con Caos su cose riguardanti la meccanica o le situazioni al confine. Anche con Welleda era tranquillo, alcune volte li avevo visti fare pettegolezzi su soldati che io non conoscevo nemmeno.

Da un lato mi sentivo esclusa dal suo comportamento, anche se effettivamente io stessa non iniziavo mai una discussione con Alecsei. Quella mattina, però, trovai il suo comportamento dolce, anche se basava le sue battute su insulti velati. La maggior parte erano proprio sulla mia statura, li trovai seccanti, soprattutto perché erano tutte frasi banali. Nonostante ciò non me la sentii di togliergli l'unica fonte di distrazione.

Il comandante, invece, anziché preoccuparsi di noi, era indaffarato a verificare gli ultimi dettagli della missione. L'avevamo visto di rado ultimamente: finiti gli allenamenti spariva e si rifaceva vivo solo nel pomeriggio. Io non lo avevo più visto neanche in mensa e arrivai a chiedermi se avesse almeno del tempo per mangiare.

Ad essere sincera, anche io sentivo l'agitazione aumentare in me ora dopo ora. Mi domandavo in continuazione se fossi pronta, cosa sarebbe accaduto se avessi sbagliato qualcosa o se non fossi riuscita a portare a termine il compito che il comandante mi aveva assegnato.

Il pomeriggio prima della missione lo passammo allenandoci come meglio volevamo. C'era chi preferiva migliorarsi con la mira e chi voleva sfogare l'ansia combattendo. Io decisi di scontrarmi, pensando di scaricarmi un po'.

Ero seduta su una panca e guardavo il combattimento prima del mio. Alecsei si stava battendo contro il comandante. Li vedevo che si parlavano ma non riuscivo né a sentire le parole né a leggere il labiale. Rimasi comunque a guardarli incantata dai loro movimenti: si spostavano veloci e i colpi partivano ininterrottamente; ogni tanto udivo dei grugniti di dolore e vedevo qualcuno sputare sangue.

Notai solo all'ultimo la figura di Welleda sedersi vicino a me.

«Sono molto bravi», disse mentre si sventolava una mano sul viso per rinfrescarsi. «Anche te lo sei, ovviamente, ma la loro sembra... sembra una coreografia», continuò con il suo solito tono dolce.

Concordai con lei senza distogliere lo sguardo dal combattimento.

Anche Welleda li osservava attentamente, riuscivo a vederla con la coda dell'occhio.

Poco dopo aggiunse: «Alec sta meglio senza tutti quei muscoli esagerati.»

Le detti ragione nuovamente, ma non riuscii a trattenere una smorfia turbata nel sentire l'accorciamento del nome. Non mi piacque e mi promisi che non lo avrei mai utilizzato. Scacciai il pensiero e ritornai alla trasformazione fisica di Alecsei, forse era grazie alla sua perdita di massa che riusciva a seguire gli attacchi di Bayer.

«Chi preferisci?», chiese Welleda. Sorpresa dalla domanda mi girai nella sua direzione con un sorriso confuso; la vidi ipnotizzata dalla loro coreografia.

«Ti riferisci come combattente?»

Lei, accortasi solo in quell'istate di cosa aveva detto, diventò di un colore simile ai suoi capelli. «Sì-sì. Intendevo quello!», esclamò facendomi ridere. Aveva alzato le mani in segno di tregua e con un sorriso imbarazzato si difese dicendo: «Dai, Reila, credimi. Era un modo per fare conversazione.»

Presi del tempo per pensare alla domanda di Welleda, ma in quel momento notai come le sue lentiggini erano diventate più definite, stando tutte quelle ore al sole. Poi pensai che forse eravamo tutti un po' più abbronzati.

La ragazza affianco a me, però, parlò al mio posto. «Io Bayer, credo. È intelligente anche quando combatte. Alec è più impulsivo, il che non è male se si è anche fortunati.»

«Sì, non hai torto.» Poi, sperando di poter sviare discorso, tornai a vedere il combattimento.

Welleda, però, si accorse di come cercavo di sorvolare il discorso. «Beh, quindi?», domandò curiosa.

Sospirai lievemente e con una mano mi sistemai la frangia. «Io preferisco chi riesce a sopravvivere», risposi mostrando un mezzo sorriso. Al che lei roteò gli occhi capendo che non le avrei mai dato una risposta precisa.

Un grugnito di Alecsei ci fece tornare attente. Il ragazzo era stato ferito da Bayer con un grosso taglio sulla gamba sinistra; la stoffa era lacerata e visibilmente impregnata di sangue.

Il comandante gli ordinò di andare in infermeria e Alecsei non se lo fece ripetere due volte.

Toccò a noi ragazze combattere. Fu difficile, non volevo far del male a Welleda: aveva imparato a muoversi bene, ma non abbastanza per uno scontro con un soldato. Vedendola mettersi nella posizione che le avevo insegnato una parte di me riuscì a tranquillizzarsi. Tutto quello che aveva imparato le sarebbe bastato per la sera successiva, dato che si trattava pur sempre di civili, e non soldati del Nord.

Contraccambiai piano i colpi che io riuscivo a schivare, ma dopo diversi minuti, notando l'avversaria sfinita, con grande sforzo le feci un taglio sul braccio, seguito da una spinta per farla cadere. Era strano sentire la lama entrare e tagliare la pelle morbida della mia compagna. Era quasi doloroso vedere il sangue colare in gocce rosse lungo il braccio.

Tornai alla realtà solo quando suonò la sirena. Aiutai Welleda a rialzarsi e mi scusai; lei, però, non mi portava nessun rancore, sapeva che erano le regole.

A cena il comandante passò al nostro tavolo per avvisarci di passare dal suo ufficio prima di recarci a dormire. Freddy era talmente curioso che faceva mangiare tutti velocemente, tagliava corto qualsiasi conversazione che gli altri provavano a iniziare. Sembrava essere tornato quello di sempre, tanto che suo fratello fu felice di vederlo così concentrato su altro.

«Se bastava così poco potevo chiedere al comandante di dirci questa cosa quattro giorni fa», disse infatti Caos con una smorfia divertita mentre ci incamminavano all'ufficio.

Mi piaceva Caos. Era uno che parlava poco e soprattutto lo faceva solo per dire osservazioni interessanti. Aveva sempre il viso serio, ma non perché fosse triste per qualche motivo; quella era semplicemente la sua espressione naturale. Anche io sapevo di averne una simile. Addirittura le mie labbra, quando rilassate, tendevano verso il basso, dandomi sempre un aspetto malinconico.

Non riuscii a capire bene la battuta di Alecsei, ma le risate forti mi fecero tornare alla realtà.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora