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Welleda urlava, ma non era lei quella ferita. Trovai subito Freddy a terra, colpito alla coscia da un coltello. Fui la prima a fiondarsi su di lui e a spostarlo lontano dalla confusione. Lo obbligai a non estrarselo e lui, nel panico misto a dolore, mi annuì distrattamente. Pur non essendoci molta luce, lo vidi bianco in viso. Gli occhi erano spalancati e agitati, tuttavia si rilassarono leggermente quando Welleda arrivò al suo fianco, prendendogli un braccio tra le lacrime. Caos, invece, che era nel mezzo di un combattimento, non fece altro che rivolgere occhiate spaventate e noi.

Sentivo un vero e profondo senso di paura nel petto. Non sapevo cosa fare, ma fortunatamente Bayer si avvicinò e mi disse di tornare allo scontro. La mia codardia fu grata del suo ordine e feci ciò che mi aveva detto. Riuscii comunque a sentire Bayer comunicargli che gli avrebbe tolto delicatamente il coltello e poi gli avrebbe dato un miracolo da prendere. Ringraziai mentalmente l'esistenza di quelle pasticche, mentre raggiungevo Caos per aiutarlo e aggiornarlo su suo fratello.

Dopo diversi minuti non rimasero più nemici per la seconda volta. Nel silenzio si sentivano solo i lamenti delle persone ferite, e nell'aria c'era l'odore acre del sangue e di muffa impregnata nei muri. Mentre verificavo se fossi ancora tutta intera, notai che la mia giacca era stata rovinata e che si era macchiata di rosso nel punto in cui ero stata ferita al braccio.

«Caos, rimani qua con Freddy», disse Bayer, riportandomi attenta. Poi guardò Welleda, disperata per aver quasi perso il suo amico, e aggiunse: «E anche te.» Chiese silenziosamente il permesso a Fuyra e lei annuì debolmente prima di voltarsi per proseguire.

Mi sentii infinitamente meglio, sapendo che erano tutti e tre insieme e lontani dallo scontro diretto, ma ciò significava anche che ero rimasta l'unica della mia squadra. Oltre ai due comandanti, insieme a me c'era Milo; affaticato, ma per niente stanco di combattere.

Riuscimmo a trovare le scale che portavano nel seminterrato. Le prendemmo sapendo dove fosse la stanza più importante, l'obiettivo della missione. In realtà notai che quel corridoio poteva essere un qualsiasi altro piano dell'edificio, in quanto tutti privi di finestre e illuminati dalla sola luce artificiale.

Tutti ci muovemmo con precauzione, in modo da non avere sorprese, ma questo non bastò ad accusare un'imboscata nel grande corridoio. Quella volta, però, anche i nemici erano inferiori; fortunatamente erano in sei.

Milo si fiondò su due che eliminò subito e poi si imbatté in un soldato di fattezze simili alle sue. Io, invece, mi scontrai con un ragazzo, che non si fermò neanche dopo averlo accoltellato alla gamba. Lui, senza paura, si era tolto il coltello dalla coscia e, dopo aver verificato che non lo avessi colpito a un'arteria, si concentrò su di me. Mi colpì diverse volte con odio e io feci lo stesso. Alla fine lui urlò accasciandosi, quando gli piantai il mio ultimo coltello nella ferita già causata. Lo guardai spengersi lentamente e rimanere disteso a contorcersi per il dolore.

Quattordici, quattordici soldati avevo ferito quella sera, mi ricordò la mia coscienza sporca. Mi chiesi come avessi potuto dormire, sapendo a quante persone avevo fatto male; sperando che le ferite non fossero diventate letali... Avevo ucciso qualcuno? E la disperazione nella mia testa mi estraneo per un attimo dalla situazione.

Tuttavia i miei pensieri svanirono del vedere la scenda davanti a me: un soldato era riuscito a prendere alle spalle la comandante. Le puntava un coltello alla gola, esortandola a smetterla di non muoversi.

In corto circuito mi guardai intorno. Milo era indaffarato, tanto che non se ne accorse. Bayer, invece, che non era troppo lontano, puntava la pistola contro il soldato blu. Lo vedevo, però, che gli tremava il braccio e confusa mi chiesi perché stesse sprecando così tanto tempo. Perché non sparava?

Il soldato si muoveva apposta per non fargli avere una mira precisa. Nonostante ciò io sapevo che lui ne era capace, non avrebbe sbagliato un colpo neanche volendo. Ne ero certa.

«Allora, che stai aspettando?», aveva chiesto il soldato alle spalle di Fuyra con una voce antipatica, innervosendo ancora di più Bayer.

Riconoscevo che l'unico punto in cui poteva e doveva essere colpito il nemico era in testa. Capivo la paura di Bayer nello sbagliare, capivo la paura di togliere la vita a una persona. Eppure il braccio del ragazzo tremava mentre tentava di prendere la mira perfetta. In quel momento, però, vedendo Hanssen in difficoltà, non ci pensai due volte ad aiutarlo. Non ci pensai due volte a prendere quella decisione.

«Scusa», sussurrai a Gen, guardando per un momento la mia cicatrice. Ma non potevo lasciar morire la comandante, o far cadere la colpa a Bayer. Se proprio sarebbe dovuta andare male, sarei stata io a sbagliare la mira, non lui che era un suo amico...

Estrassi per la prima volta la pistola dal fodero attaccato alla cintura, presi la mira e, sperando che Gen me la mandasse buona, feci scattare il grilletto.

Chiusi gli occhi prima di vedere la ferita. Sentii un corpo cadere in un tonfo e, poco dopo, Bayer mi fu davanti. Tuttavia io non facevo altro che chiedere scusa a mia sorella, ripensando all'insegnamento base con cui mi aveva fatto crescere. Ma questo non mi bastò a non rompere un'altro pezzo della mia anima.

Feci poco caso a Bayer e al suo modo gentile con cui mi prese il viso tra le sue mani, come aveva fatto qualche minuta prima. Realizzai quello che stava facendo solo quando mi avvicinò al suo petto. Notai il suo cuore battere forte e poi le sue mani stringermi con foga, regalandomi un sollievo che in quel momento non avrei dovuto provare.

Mi divincolai distante e poi sentii una lacrima scorrermi su una guancia. Fu subito raccolta e cancellata dalla mano del comandante, fredda e decisa. E io non riuscii a combattere il suo voler circondarmi dalle sue braccia. Mi sentii in colpa, ma la sua presenza mi aiutava, mi faceva sentire meno spezzata.

Rimanemmo in quella posizione finché Milo non attirò la nostra attenzione con urlo dilaniato. Il suo avversario gli aveva spezzato un braccio e Fuyra, anche lei distratta, si mise in moto per difenderlo. Intervenne sparando alle spalle del nemico, senza avere un attimo di ripensamento. Poi si avvicinò per soccorrere il suo soldato, gli diede un miracolo e lo fece tornare indietro.

Dopo pochi minuti di sguardi condivisi, stanchi e a pezzi, proseguimmo solo in tre.

Bayer mi tenne il viso lontano dalla morte che avevo provocato e io gliene fui grata, anche se con la fantasia sapevo ricreare perfettamente il viso del cadavere. Mi concedetti di pensarci dopo, quando tutto quello sarebbe finito.

Camminammo vicini, finché arrivammo in un magazzino con diverse casse. La stanza era di dimensioni più piccola, e solo dopo qualche passo percepii la temperatura bassa.

Fuyra si assicurò che non ci fosse nessuno nei dintorni e poi disse con l'affanno: «Prepariamo i dispositivi per far saltare tutto in aria.»

La aiutai ad aprire una cassa, voleva vedere con i suoi occhi ciò che contenevano, ma la trovammo vuota, con solo un po' di paglia. Accigliata mi girai verso la comandante, che con la mia stessa espressione stava borbottando qualcosa. Passammo alla seconda cassa, ma anche quella non conteneva niente. Vidi Fuyra allungarsi per scavare la paglia, ma non servì a nulla.

Poi, come un tuono, un colpo partì nella stanza.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora