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Mi sentii inspiegabilmente a mio agio, tanto che decisi di chiudere gli occhi e non pensare a niente, se non all'assurdità di quel momento. Li riaprii solo quando sentii Bayer parlare con il suo tono grave.

«Anche io ho perso delle persone care.» Poi allungò un braccio e mi circondò le spalle per sistemarmi meglio la giacca. «Dicono che il tempo aggiusti tutto, ma io non ne sono sicuro.»

Spostai leggermente il viso per poterlo guardare meglio, ma il massimo che riuscii a vedere fu il suo profilo e il suo sguardo fisso nella notte.

«Io penso che la mancanza di una persona sia più come il mare. Inizialmente sei in mezzo all'acqua mossa, e tu fatichi per stare a galla, non puoi fermarti, altrimenti il tuo corpo affonda.» Una leggera brezza gli mosse la frangia sulla fronte. «Poi, dopo del tempo, la corrente ti porta sempre più verso terra, fino a dove riesci a toccare la sabbia sul fondale. Lì sei tecnicamente in salvo e decidi di sdraiarti sulla spiaggia per riprenderti da tutta la paura e dalla fatica, ma, essendo ancora sulla riva, le one riescono ancora a raggiungerti. Certe volte arrivano solo ai piedi, creandoti un po' di nostalgia, altre, invece, sono talmente forti che senza accorgertene ti riportano in acqua.»

Percepii il suo dolore e la mia stessa rabbia nella sua voce. E contemporaneamente immaginai ciò che mi stava raccontando.

«La cosa brutta», continuò, «è che in realtà, quando ci fai caso, la spiaggia è solo un rialzamento di sabbia circondato da un mare infinito. Una piccolissima isoletta deserta dove sei naufrago.»

Non avevo smesso di guardarlo quando anche lui, con occhi tristi e cupi, decise di osservarmi.

«Non saremo mai in salvo da questo, dobbiamo solo imparare a conviverci.»

Studiai il comandante sotto una luce diversa, anzi, mi resi conto che in quel momento stavo parlando con il ragazzo che doveva sempre nascondere. Per quanto riuscissi a capirlo perfettamente, non me la sentii di concordare con lui. Pensavo che quel discorso non fosse stato fatto per avere un'opinione al riguardo, e io non volevo rovinarlo con qualche stupida frase. Per quello decisi di confidargli che non avevo mai raccontato nessuno di mia sorella. E glielo lessi negli occhi che aveva capito il mio sforzo.

Passammo pochi minuti in silenzio. Il vento era ancora alto e le luci della città ancora tutte accese. Mi sentivo bene, nonostante la discussione triste e la guerra imminente, mi sentivo in pace con me stessa. Tuttavia la mia mente continuava a pensare se fosse meglio cambiare discorso o rimanere in silenzio ad ascoltare il fischio del vento, ma fu proprio lui a riprendere parola.

«Hanssen», disse improvvisamente.

Per avere conferma di ciò che mi aveva rivelato, alzai la testa dalla sua spalla per guardarlo meglio. Lui fece un mezzo sorriso nel vedere la mia espressione sorpresa.

«Mi chiamo Hanssen, e questo lo sanno solo due persone. Tre, te compresa.»

Le mie sopracciglia si alzarono brevemente mentre nella mia testa continuò a ripetere quel nome. Hanssen.

«E tre resteranno», giurai determinata.

Al che il sorriso del ragazzo aumentò visibilmente prima di dire: «Lo spero bene.»

Bayer riprese in mano il dispositivo e io riappoggiai titubante la testa sulla sua spalla, che, con una leggera fitta al cuore di contentezza, non fu rimossa.

Guardai il cielo stellato e la luna piena pensando a quante cose fossero successe quel giorno. Avevo paura della guerra, avevo ancora un po' di adrenalina per essermi intrufolata nell'evento più importante del Nord e di aver così realizzato un mio sogno. Però, in quel momento, feci tacere la mia mente che lavorava di furia e mi concedetti qualche minuto vicino a quel ragazzo che, dopotutto, mi aveva concesso di stare in sua compagnia.

Dopo pochi minuti, cullata dal rumore elettronico del dispositivo, mi addormentai senza sognare. Bayer mi svegliò poco dopo, dicendomi che avrei fatto meglio ad andare a riposarmi nell'appartamento. Avrei voluto rimanere, ma effettivamente non mi sentivo più le gambe congelate.

Mi alzai al rallentatore, perché intorpidita dal freddo, e quando mi tolsi la giacca sulle spalle per ridarla al comandante, mi svegliai completamente a causa del vento ancora più potente.

Lui per saluto mi sorrise debolmente e io feci lo stesso, prima di tornare verso le scale.

Il tempo di scendere tutte le rampe ed entrare nell'appartamento che una vampata di calore mi creò un lungo brivido su tutto il corpo. Una piccola lampada era ancora accesa nel salotto e fu grazie a quella che riuscii a vedere il corpo di Alecsei sdraiato sul divano. Mi dava le spalle e immaginai stesse dormendo come tutti gli altri; spensi la luce, pensando che se la fosse dimenticato.

Prima passai dal bagno per riscaldarmi con dell'acqua calda e poi aprii delicatamente la porta della camera. Trovai Welleda addormentata senza nessuna traccia di Caos. In silenzio appoggiai la giacca e gli anfibi, e poi ripresi il sonno: quella volta sognando lo splendido Palazzo Antico, proprio come facevo da ragazzina.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora