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Con mia sorpresa non mi allontanai. Anzi, risposi al bacio sentendomi la vita scorrermi nelle vene. Le tante domande che mi erano nate negli ultimi pochi secondi mi abbandonarono senza riserva, lasciando libera la mia mente di vagare, perdere la condizione della realtà.

In quel momento non esisteva niente a parte il nostro contatto tremante e immortale con le labbra. Labbra calde e stranamente avide di quelle emozioni che generavano senza impegno.

Sentivo le sue mani raccolte sulle mia guance, fino arrivarmi al collo e ai capelli ancora sciolti. Sentivo le mie mani sul suo addome, per aiutarmi a rimanere sulle punte e non avere la minima possibilità di spezzare il bacio. Ciò, però, avvenne lo stesso, ma il verso profondo che gli uscì dalla gola mi fece dimenticare anche di quello.

Il terzo bacio fu il più lento e il più delicato, anche se il distacco finale fu notevole. Freddo, fu quello a colpirmi sulla labbra ancora umide.

Ci spostammo di poco per poterci vedere meglio in viso, senza, però, allontanarci; le sue mani erano scese e con le braccia mi cingeva la vita.

«Vorrei non essere io», ammise lui con una voce rauca. Mi sistemò la frangia di nuovo e io mi sentii sciogliere un'altra volta. «Vorrei portarti lontano da questa situazione. Vorrei che tu scegliessi di restare con me», mi sussurrò, appoggiandomi il pollice freddo sul labbro inferiore e un dito sotto il mento.

Non lo avrei mai ammesso, neanche sotto tortura, ma in quel momento, una voce sottile dentro di me, chiamò diverse entità divine per ciò che provai.

Lo osservai un'ultima volta per imprimermi quel momento dalle sembianze di un sogno o di un film. Avrei voluto dire qualcosa, ma non ero mai stata brava con le parole, e in quelle condizioni non mi veniva in mente nient altro, tranne che noi due vicini.

Eppure, ripensando ciò che mi aveva detto, io pensavo di averla già fatta la scelta. Avevo scelto lui. Avevo scelto di restare con lui, anche se ciò significava andare in guerra. Mi ero aperta con lui e mi ero confidata sulla questione di Alecsei, gli avevo raccontato di Gen...

Dopodiché Bayer mi lasciò andare, chiedendomi di avvisare i miei compagni della partenza. Loro mi ascoltarono attenti, ma potei notare la loro paura farsi spazio nei loro occhi agitati.

Dopo aver riferito le parole del comandante, mi fiondai in bagno. Mi sciacquai il viso, che sembrava dovesse prendere fuoco da un momento all'altro. Poi mi feci una coda e, guardandomi allo specchio, tornai rossa sulle guance. Mi diedi dell'idiota, ma il rimprovero non aveva fatto altro che alzarmi gli angoli della bocca.

Dovetti pensare alla missione per smettere di avere quella smorfia da ebete sul viso. Mi ripetei di concentrarmi, perché in quel momento realizzai di avere una possibilità di essere felice, e non volevo che qualcosa me la rovinasse.

Quando uscii dal bagno feci del mio meglio per impegnarmi nel lasciare i pensieri riguardanti Bayer alla sera, quando sarei stata in camera al sicuro. Però tutto fu difficile quando lo sentii accarezzarmi le punte dei capelli mentre uscivamo dall'appartamento.

Lame nella SchienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora