20. Killing Loneliness

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È nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto.
Aristotele

Draco sbatté le palpebre nel buio.
L'oscurità era profonda come un pozzo dal quale è impossibile poter riemergere, e il silenzio, artificioso e compatto, premeva su di lui annullando le forze che tentava invano di raccogliere. Cominciò a muoversi, a voltarsi entro il limite che quell'aria pesante aveva marcato – qualcosa sembrò sbriciolarsi al rivolgersi del suo collo, l'oscurità sfocata sul suo profilo. Era bloccato, di nuovo, su una sedia fatta della stessa notte che lo circondava. Draco inclinò piano la testa, tentando di distinguere almeno il lucido profilo dei pantaloni che sentiva di indossare; e ancora una volta il suo sguardo inciampò nel nero totale, una massa scura che lo inglobava assieme a quella sedia, a quel pavimento, a quella stanza, a lei.
Eppure non c'era niente da temere stavolta. Quel buio poteva risultare familiare, se lo si sapeva prendere con la giusta dose di calma. E Draco continuò ad attendere, le ginocchia che da qualche parte formicolavano, le spalle portate all'indietro e le braccia artigliate allo schienale della sedia. Sentiva i polsi gelare al contatto con qualcosa di freddo e metallico che Draco intuì essere, in un vago cipiglio sorpreso, un paio di manette.
Forse qualcuno temeva che avrebbe perso il controllo. Volevano farlo restare calmo, tenerlo a bada finché fosse stato possibile. Ebbe come l'impressione che qualcosa stesse per accadere. E quando questa cominciò, lentamente, a prendere forma nella sua testa, un riflettore alto lo illuminò in pieno viso.
Draco abbassò lo sguardo, sentendosi accecare. Perché diavolo non illuminavano lei, dovunque si trovasse? Si sentiva nudo, adesso; ogni traccia di tranquillità era scomparsa, lasciandolo ben visibile in quel tunnel di luce dorata che lo comprimeva al pavimento. Avrebbe voluto svegliarsi, adesso, andarsene da lì. Non gli piaceva sentirsi esposto, e la sgradevole sensazione si incrementò quando, dal nulla, una risatina riecheggiò nelle vicinanze. Draco si era bloccato, gli occhi che si dirigevano dappertutto, il fiato mozzato in gola. Le sue sopracciglia si incresparono.
« Dove sei? » chiese, con una punta di aggressività.
Sapeva che lei lo stava guardando, da qualche punto imprecisato di quella stanza scura, e immaginò la sua espressione beffarda nel contemplarlo così sperduto, disorientato, impotente. Draco detestò quella sensazione; continuò a guardarsi intorno, nel silenzio intatto, i polsi che prudevano dietro la schiena. Le gambe che aspettava sarebbero presto spuntate da qualche parte, in mezzo a tutto quel buio. Ne era certo. Poteva quasi vederle camminare davanti a sé, lente e sensuali, esattamente come le ricordava...
« Ciao ».
Draco quasi sussultò. Era come se in quella visione tutti i suoi pensieri potessero prendere forma. Era strano, era incredibile, e anche leggermente inquietante, ma quelle gambe divennero maledettamente reali. Sfilarono a suo lato con il candore di un cigno che scivola in acque buie. Quei tacchi sembravano ancora più alti, più pericolosi. E lei...
Draco sollevò il mento in sua direzione. La Mezzosangue gli sorrideva dalle sue labbra tinte di rosso, le ciglia dolcemente piegate verso l'alto. Gli occhi scintillavano come se stesse piangendo – o fosse invasa da un'emozione troppo forte per essere spiegata a parole. C'era chi piangeva di felicità, chi si commuoveva con niente. Draco pensò che tuttavia non si trattava di nulla di simile. Quegli occhi scuri erano fermi, fissi, immobili. Pupille in cui non potevi annegare, in cui non ci si poteva immergere. Dentro erano vuote, desolatamente vuote. Quelle gambe invece sembravano vive, il corpo vibrava, la pelle era tesa. Un corpo senz'anima, era. Un bellissimo corpo vuoto.
Draco sentì di odiarla, di detestare ogni centimetro di lei. Avrebbe voluto mandare al diavolo tutto, quel sorriso e quelle maledette gambe nude. Poiché niente di ciò che pensava avrebbe potuto soffocare i suoi istinti, la scarica elettrica che con la sua sola presenza lei sembrava provocargli. Non si sentiva tranquillo, padrone di se stesso. Lui detestava perdere il controllo. E abbassò lo sguardo sul pavimento, serrando la mascella, prendendo un respiro profondo. Era in trappola, legato ad una sedia in compagnia della Mezzosangue che gli stava a meno di un metro di distanza. Era davvero braccato.
Poi sembrò accadere l'irreparabile. Draco si sentì sollevare il mento verso l'alto, due dita sottili a sfiorarlo. Lei continuava a sorridergli imperturbabile. Vicina, troppo vicina.
« Ascolta, devi piantarla. » sbottò Draco, spazientito. « Non... andiamo, allontanati. Sei una Sanguesporco. Io sono un Purosangue ».
Quest'argomentazione, da sola, sarebbe dovuta bastare per porre fine alla questione. La Hermione Granger reale, probabilmente, avrebbe avuto reazioni ben precise – un'ammirabile sfogo sulla sua maleducazione, qualche incantesimo scagliato all'improvviso, magari una porta sbattuta sonoramente dietro di sé. Lei, invece, la ragazza che gli stava davanti in quel momento, non sembrò nemmeno lontanamente turbata dalle sue parole. Gli sorrideva, docile, dall'alto delle sue belle gambe.
Dannazione.
Draco si sentì invadere da una collera sempre più crescente, insinuante. Non poteva permettere che si avvicinasse ancora, che riprendesse a provocarlo. Non lei.
D'accordo, quello stesso pomeriggio l'aveva salvata al campo di Quidditch, ed era sicuro che la ragazza avesse intravisto un'insospettata gentilezza in quel gesto. Poteva essere; non gli importava, non lo sapeva, non gli andava di pensarci. Ma la prospettiva di mandarla a sfracellarsi al suolo, in quel momento, non gli era parsa così buona – perfino se si trattava della Granger. Era stato un atto come un altro, nulla di troppo strano, e arrivato a sera Draco se ne era anche già quasi dimenticato. Ma se stare a contatto con lei significava fare sogni del genere, finire ossessionato, trovarsi ingabbiato in simili visioni... Draco non sapeva se valesse davvero la pena di continuare.
E poi, nel bel mezzo di quei pensieri, come se lei non avesse gradito essere trascurata, la Granger prese l'iniziativa. Con uno scatto a tradimento, si accomodò sulle sue gambe. Draco ricambiò il suo sguardo disorientato, la voce mozzata e l'inquietudine ad avvolgerlo.
Stavolta era finita.
E lasciò vagare gli occhi su di lei, l'attenzione che inciampava sulla sua figura e negli orli di quelle braccia che gli si erano avvolte dietro la testa. Il suo peso era così leggero che quasi risultava difficile avvertirlo. La vita piccola, i fianchi quasi inesistenti, il seno minuto custodito dal corpetto. Le cosce leggere che premevano ai suoi fianchi, quasi rilucenti sotto quella cascata di luce dorata. Le ciglia che sbattevano in sua direzione, le labbra socchiuse e quel rossetto che brillava. Che lo invitava ad allungarsi, ad assaggiarlo. A scoprire che gusto aveva.
« Scendi subito. » L'ordine di Draco fu più allarmato che fermo. « Granger... Mezzosangue, ti ho detto di andartene ».
Poteva, quello, essere solo un sogno? Draco avvertiva la paura, mischiata all'eccitazione, quasi come se fosse reale – cosciente e vivo come se fosse stato portato nel cuore della notte in una stanza buia come quella, e poi legato ad una sedia. Ma la Granger non avrebbe mai potuto farlo, né pianificare una cosa del genere. Non era nel suo stile, non era da lei. Eppure, più ci ripensava e meno riusciva a comprendere cosa diavolo stesse succedendo, dove si trovasse. Quello non era un sogno normale. E lei era vera, tangibile e corporea, calda come il tumulto di cui Draco si sentiva prigioniero. Continuò a guardarla, a sentirsi guardato. E poi, d'un tratto, le dita della Mezzosangue si sollevarono a sfiorargli la linea della mascella. Draco avvertì un'unghia affilata solcargli la pelle, e si volse di scatto, come se fosse stato scottato. Avrebbe soltanto voluto avere le mani libere.
« Non lo saprà nessuno. » Sussurrò lei, con voce di seta. « Accadrà soltanto nella tua testa, Draco ».
Lui sentì il suo membro pulsare un po' più forte.
« Vuoi farmi impazzire? » Domandò, tornando suo malgrado a guardarla. « Io non mi sporco con una come te, non lo farei mai... »
« Nella tua testa. » Ripeté lei, le labbra curvate verso l'alto. « Soltanto qui ».
Draco rimase alla mercé di quegli occhi scuri, intorpidito, la mente annebbiata. Era la Granger, ma nello stesso momento non era la Granger. Era come trovarsi in compagnia di un'estranea. Di una Granger che non gli avrebbe mai parlato con quel tono di voce, né avrebbe mai desiderato trovarsi in atteggiamenti simili con lui. Che non gli avrebbe mai sorriso in quel modo, con tanta semplicità, tanta malizia. Draco si stupì nello scoprire quanto tutto ciò lo irritasse. Tutta quella provocazione lo infastidiva, forse ancora di più dell'insopportabile pedanteria della vera Mezzosangue. Era qualcosa di finto, di irreale, e gli avrebbe procurato solo guai. Se lo sentiva. Ma quando lei si curvò su di lui, Draco sentì il cervello scollegarsi istantaneamente da qualsiasi tipo di pensiero. Il volto della ragazza accostato alla spalla, le dita abili a scostare il colletto della camicia; sentì la pelle ricoprirsi dei baci che le labbra della Granger vi abbandonavano, lente, pungenti, scottanti. Arse nei punti in cui lei lo toccò, sbandando il poco autocontrollo rimanente nell'imperdonabile e atroce agonia di cui Draco si sentiva ormai del tutto in balia. Non capiva più niente, non vedeva più niente. C'era solo lei, la sua bocca, il proprio collo che bruciava. Draco fu costretto ad abbandonare il volto di lato, la schiena inarcata all'indietro e quella bocca che continuava a lavorare sulla scapola, accarezzando la linea del collo. Baci, sospiri, morsi. Lo aveva in pugno, poteva divorarselo come più le piaceva. Il respiro affannato, Draco colse i segnali d'allarme inviatigli dalle pulsazioni nel basso ventre, il sangue che affluiva rapido proprio dove lei si stava strusciando con il bacino. Avrebbe voluto che smettesse di strofinarsi in quel modo, ma nello stesso tempo, maledizione, sarebbe morto pur di farla continuare. E la lingua della Mezzosangue scivolava sul suo collo, inesorabile, mentre una mano scendeva distratta sul punto critico della sua eccitazione, sfiorando il cavallo dei pantaloni.
Draco sollevò appena la testa, guardandola con odio crescente.
Accidenti.
Lei lo degnò di un lieve sorriso, mentre posava le labbra sulla sua guancia. Draco volse ancora la testa di lato, lasciandosi sfuggire un sospiro. Sapeva dove sarebbe arrivata quella bocca, e la temeva, non lo accettava. Non poteva permetterle di spingersi così avanti. Non doveva cedere. Per quanto assurda potesse risultare la situazione, non le avrebbe permesso di averla vinta. Draco se lo ripeté mentre le labbra della ragazza continuavano a baciarlo, pungendogli l'orecchio, e poi il mento, lo zigomo. C'era quasi. Dio...
Si allontanò con uno scatto. « Non posso... non voglio baciarti ».
La Granger riprese a sorridere. La sua comprensione era insana, perversa. « Soltanto nella tua testa, Draco. Siamo in un sogno ».
« La mia mente però è reale. I ricordi che avrò, saranno... »
« Ssst. » Gli posò l'indice sulle labbra. « Non lo saprà nessuno. Solo io e te ».
« La Mezzosangue sta facendo lo stesso sogno? » domandò Draco, sentendo allargare la tensione nel basso dei pantaloni.
« Me e te. Nessun altro ».
E il rossetto rosso continuò a brillare, strafottente, dall'orlo di quello strano sorriso. I suoi pensieri erano divenuti un'accozzaglia di dubbi e perplessità insormontabili. Draco si trovò diviso da un mare si sensazioni contrastanti; la rabbia cieca ad invaderlo, l'eccitazione a scuoterlo, la presenza di lei sulle sue gambe ad indicargli la via più giusta e naturale da seguire. Ma la Granger non era giusta. Loro non erano giusti. Insieme erano qualcosa di terribilmente sbagliato, perfino in un sogno – un luogo a cui nessun altro poteva avere accesso, il loro segreto, il loro nascondiglio. Eppure lui era lì, prigioniero delle sue gambe, di quella presenza che assumeva fattezze più invitanti ad ogni minuto che passava. Una ragazza che lo faceva vacillare. Che lo riduceva ad odiarsi, a biasimare se stesso. E perso com'era in quei pensieri, Draco non seppe più con esattezza come mai non tentasse ancora di ribellarsi. Sarebbe stato semplice scansarsi ancora una volta, resistere finché non si fosse svegliato. Ma lei si era abbassata ancora una volta su di lui, incontrando le sue labbra già socchiuse, e tutto sembrò perdere di consistenza.
Fu una sensazione strana, colpevole. Draco si lasciò sovrastare dal corpo sottile della Mezzosangue, quelle labbra sorprendentemente morbide che premevano adagio sulle sue. La lasciò scostarsi, e lui rimase lì fermo, con il suo sapore ancora sulla bocca. La guardò, non riusciva a crederci. Non riusciva a pensare, a realizzare. Tutto era diventato stranamente sfocato. E il viso della Granger tornò a farsi vicino, le sue labbra tangibili e fresche come le aveva appena assaggiate. Non era possibile che stesse succedendo davvero, né che fosse soltanto un sogno. Lo stava facendo, Salazar. Stava baciando Hermione Granger.
E il suo membro pulsava ormai così forte da fargli male, un dolore simile a quello che lei stava provocando al suo palato, una piacevole agonia che gli faceva maledire e benedire la presenza di quella bocca sulla propria. La lasciò scivolare dentro di lui, giocando con la lingua che si sentiva offrire, il lume della ragione che si affievoliva attimo dopo attimo. Non aveva senso. Non aveva scuse. Ma era un sogno, rifletté Draco, nell'angolo del suo cervello ancora prodigiosamente attivo. Era qualcosa di trasparente, irragionevole, inconsistente. Lei non era la vera Granger; si trattava di un'illusione, una provocazione incorporea, un bacio che non sarebbe mai esistito. Non aveva alcun senso privarsi di qualcosa non avrebbe nociuto a nessuno. Lì dentro era diverso, non c'erano leggi, né genitori, amici, conoscenti. Nessun rimpianto, accusa, domanda indiscreta. Nessuna realtà con cui fare i conti, né disparità o canoni ai quali sottostare. Non c'erano differenze di Casa, o di sangue. Lui non era più Draco Malfoy, e quella non doveva essere necessariamente Hermione Granger. Erano un ragazzo qualunque in compagnia di una ragazza qualunque. In quella stanza potevano accadere cose di cui a nessuno sarebbe mai importato. Quel luogo era fuori dal mondo. Era invisibile, nella sua testa. Era soltanto suo.
E le manette, da quando si era trovato perso in quella visione, non gli erano mai sembrate così strette. Draco immaginò di poter stringere le dita attorno a quella vita sottile, premerla su di sé, sollevarla e cadere sul pavimento con lei. Alleviare quel dolore che gli premeva così forte da farlo star male, accelerando il respiro, smuovendo tutto quanto. Tentò di allontanarsi da quelle labbra, tirarsi indietro; ma la Granger lo stava baciando, e lui non poteva farne a meno, rispondendole con tutta la naturalezza che gli era sempre mancata. Adesso che si sentiva più in pace con se stesso, stare lì con lei non sembrava così sbagliato. Era strano, era inverosimile, ma era piacevole. Era eccitante. E la Granger era... non sapeva nemmeno cos'era. Ma continuava a baciarla, a lasciarsi baciare da lei. Aveva una bella bocca. E quello era stato un bel bacio.
Riuscì ad allontanarsi, inclinando la testa di lato. « Aspetta... » ansimò, prendendo il respiro. « Liberami. Toglimi queste manette ».
La vide sorridere, gli occhi che brillavano, le labbra rosse ad ammiccare verso di lui. Draco capì che non gli avrebbe dato retta. E difatti la Granger lo ribaciò, e lui non poté fare a meno di ricambiarla, violento seppur legato, scivolando dentro di lei, giocando con lei, quasi amaramente, una partita che sentiva di perdere attimo dopo attimo...

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