41. New born

389 11 2
                                    

La fantasia giunge più lontano della vista.
Baltasar Graciàn y Morales

L'unica cosa che Harry sentiva di provare in quel momento, era l'impellente istinto di inviare una grossa ordinazione di tappi per le orecchie.
In verità, tra tutte le cose che erano accadute nelle ultime settimane, si era un po' dimenticato come fosse esattamente convivere con Ron e Hermione. Diciamo pure che i suoi nervi avevano esultato felicemente senza che lui se ne rendesse pienamente conto. Era stato un periodo tranquillo, adesso che ci pensava. Niente litigate, niente battibecchi, niente sfuriate, nessuno che lo tormentava crudelmente chiedendogli la sua opinione in proposito. Ecco, quest'ultimo dettaglio era il più importante. La sua opinione era sempre scomoda, c'era poco da fare. Ogni volta che osava tirarla fuori, finiva che qualcuno si arrabbiasse con lui. Quindi era davvero meglio fingere di non averne, svuotandosi il cervello di qualsiasi altra cosa o cambiando stanza a seconda delle necessità. Sì, d'accordo, passava per un idiota colossale ogni volta, e Harry lo sapeva fin troppo bene. Pace, si limitava a pensare. Perché se in sette anni scolastici non era mai riuscito a placare i bisticci dei suoi migliori amici, non poteva assolutamente sperare di riuscirci adesso. I miracoli non accadevano mai, specialmente a lui. I miracoli non esistevano proprio. Era tutta fortuna, sorte propizia, buona stella. E considerando che Harry era sempre stato piuttosto sfigato, non poteva certo sperare che gli dei lo ascoltassero in un momento come quello.
Tutto era cominciato più o meno dieci minuti prima. Inutile rimarcare il fatto di come a Harry fossero sembrati maledettamente eterni. Ecco com'era andata: Hermione era tornata in sala comune, Ron l'aveva vista, Hermione l'aveva salutato, Ron aveva fatto lo stesso, e chissà come, chissà perché, soprattutto, mezzo minuto dopo erano già lì a urlarsi addosso. I loro litigi erano i peggiori, ancora più tragici di quelli che Harry viveva con i Dursley ogni singolo giorno delle vacanze estive. Almeno i suoi zii gli tenevano il muso costantemente, facendo di tutto per rimarcare che con Harry non avrebbero mai voluto avere alcun tipo di rapporto, e che quello tra zio e nipote era anche già troppo. Ron e Hermione invece quel rapporto lo volevano, ed erano anche buffi, in questo senso, per chi aveva un senso dell'umorismo un po' fuori dal comune; prima si pugnalavano a sangue, e dopo eccoli a costernarsi per averlo fatto, piangendo l'uno sul cadavere dell'altro.
Okay, pensò Harry, non era per niente divertente come similitudine, ma in un momento del genere davvero non poteva impedirsi di sentirsi un tantino depresso. Ron e Hermione avrebbero trovato un pretesto per litigare fino alla fine dei loro giorni. Anche se non stavano più insieme, anche se non erano più gelosi e non c'erano più motivi nemmeno per rivolgersi la parola. Avrebbero litigato perché loro era così che comunicavano, urlandosi addosso sputacchiando saliva tutt'intorno. Ecco come si intendevano. Erano contenti solo in questo modo, e nessuno avrebbe potuto impedirlo. Era il loro personale feeling. Strillare come ossessi equivaleva a una dimostrazione di affetto particolarmente intensa. Battibeccare ininterrottamente era il loro modo civile di comunicare. Tenersi il broncio era il consueto saluto del mattino. E poi c'erano i momenti in cui erano talmente furibondi da ignorarsi, e allora Harry poteva davvero esultare come non mai, lui e le sue orecchie maltrattate. Quel giorno poi erano così tesi, tra tutti e due, che si sarebbero presi a ceffoni anche solo per una macchia d'inchiostro sul pavimento. O anche solo perché pioveva. O perché i capelli di Harry erano neri. Fatto sta che in quel momento, dopo aver ripassato gran parte degli argomenti disponibili – come il test di Incantesimi appena svolto, la nuova complicatissima parola d'ordine inventata dalla Signora Grassa e un'armatura isterica che, a ricreazione, aveva infilzato il mantello di Ron con una spada – erano finiti a Malfoy.
Quello, pensò Harry, era un argomento di tutto rispetto. Quasi quasi ci si sarebbe ficcato pure lui. Ma Ron ci sapeva fare molto di più in simili questioni, tanto che, proprio nella sua abile civiltà nelle discussioni, si era appena arrampicato su un tavolo solo per il perverso piacere di urlare a Hermione dall'alto.
« Malfoy, Hermione! Malfoy! Questo è classificabile come Super Mega Tradimento di classe A! »
« Cosa? »
« Già con Krum eri arrivata al limite, capito? Al limite! Pestavi la riga della fine del Tradimento di classe B! Ma con Malfoy non solo hai sconfinato, hai creato nuovi livelli di slealtà! Tante, tante nuove righe da calpestare, e tu le hai oltrepassate tutte! »
« Questo è assurdo! Se solo lo conosceste meglio, se solo gli deste una possibilità! Non è così cattivo, sa essere gentile quando vuole, è diverso da come... »
« Ah, Harry, hai sentito? Dracucciolo è gentile! »
« Non chiamarlo così! »
« Pensavo fosse il suo nuovo nome, no? La prossima volta che lo incontro lo chiamo in questo modo, vedremo come reagisce... »
« Devo forse ricordarti il Ron-Ron, Ronald? »
« Bè, quello a confronto è virile quanto un Hagrid senza maglietta! »
« Ron, hai davvero detto... »
« Bè, nel senso non gay del termine, ovviamente! »
Harry, dal suo tavolo, si seppellì la testa tra le braccia. Si sarebbe buttato giù dalla Torre di Grifondoro solo per farli smettere di gridare. O forse no. Probabilmente avrebbero litigato anche nel decidere chi e come lo avrebbero salvato, perdendo tempo in inutili discorsi mentre lui si sfracellava al suolo.
In entrambi i casi, Harry non aveva via di scampo. Era come essere finiti in una specie di scherzo. E non poteva biasimare nemmeno il resto dei presenti nella sala comune che, ai primi strilli acuti di Hermione, si erano defilati su per i dormitori con espressioni decisamente atterrite. Perché non se ne andava anche lui? Cosa ci faceva ancora lì? Aveva tutti i libri davanti, il tema da iniziare e le urla dei suoi migliori amici sopra la testa. Aveva sperato che durasse poco; i loro litigi, per quanto violenti, non avevano mai sforato i cinque minuti consecutivi, poiché di solito era Hermione che si ritirava pur di non farsi vedere piangere. Ma stavolta lei era rossa, i capelli crespi che le rimbalzavano sulle spalle ad ogni strillo, i pugni serrati e l'aria ostinata di chi non avrebbe tolto le tende fino a vittoria ottenuta. Ma quel giorno Ron era particolarmente in forma, quindi Hermione aveva trovato un osso duro. Continuavano a urlare e a urlare, Ron ancora in piedi su quel tavolo e Hermione che, dal basso, sembrava meditare di arrampicarsi su anche lei. Harry avrebbe voluto soltanto sprofondare. Poi avvertì lo scalpiccio di qualcuno sulle scale, e alcuni Grifondoro irritati scesero con l'evidente intenzione di troncare tutto quel baccano. Harry distinse Neville che, avvistato Ron in piedi sul tavolo, con la spilla di Caposcuola appuntata in bella vista sul petto, sembrava non credere ai propri occhi. Poi qualcuno gli arrivò alle spalle. Qualcosa di duro gli picchiò dritto sulla nuca.
« Ahi! »
« Oh, mi spiace! »
Picchiò il naso contro una macchina fotografica proprio non appena si volse. Per la seconda volta, Harry imprecò e si massaggiò il naso dolorante. Poi si bloccò. Si rese conto a cosa equivalesse esattamente una macchina fotografica. Quella macchina fotografica. Sollevò gli occhi. Arrossì.
« Ciao, Colin » biascicò.
L'altro gli sorrideva in risposta. Era l'ultimo tipo di sorriso che Harry si sarebbe mai aspettato. Qualcosa di gentile, di cauto, prudente. Con una punta di indifferenza, anche. Era un po' disarmante, scoprì Harry mentre si voltava lentamente in avanti. Non si era ancora preparato a percepire Colin come un estraneo. In verità non sapeva nemmeno lui come doveva percepirlo; le cose avevano corso così tanto, e così inaspettatamente, che Harry era ancora lì indietro a cercare di inseguirle. Si disse che non c'era motivo di essere perplessi, in fondo. Poteva andare bene anche in quel modo. Harry non era mai stato tipo da aspettare che le cose si risolvessero da sole, ma in quel caso, solo in quel caso, si sentiva pronto a lasciare il campo totalmente sgombro. Non voleva esserci da solo, in quella situazione. Prima c'era stato Colin con lui, e ora, con quel sorriso freddo, Harry era indubbiamente vulnerabile.
« Non cambieranno mai, eh? »
Harry sbatté le palpebre. Colin ammiccava con ironia ai due litiganti della sala; Hermione, stufa di sentirsi sottomessa, si era appena arrampicata anche lei sul tavolo. Harry si strinse leggermente nelle spalle. Non capiva più niente. E le urla e gli strilli di Ron e Hermione gli confondevano inevitabilmente le idee. Non solo lui non poteva sentirsi pensare, ma gli sembrava anche di non poter vedere nient'altro. Quella litigata pazzesca assorbiva tutta la sua attenzione, o meglio, quella che non avvertiva la presenza di Colin dietro di sé. Ora che ci faceva caso, era molto, molto poca.
E il suo silenzio gli perforava le orecchie. Lo assordava ancora di più di quel litigio. Era una brutta sensazione, qualcosa che avrebbe semplicemente voluto farsi scivolare di dosso con una scrollata di spalle.
A Harry sarebbe piaciuto che fosse davvero così facile. Lui non ci sapeva minimamente fare, in quelle questioni. Tutto il resto gli era estraneo. Lui non era altro che una sagoma indefinita piombata per caso in un contesto sbagliato. Non ci faceva niente, lì nella sala comune, lì tra gli altri, lì con Colin alle spalle. L'idea gli diede un leggero malessere. Si sentiva un completo idiota.
Poi Colin si portò la macchina fotografica al volto. Cominciò a scattare foto a Ron e Hermione che pestavano i piedi su quel tavolo. Poteva sembrare divertente, in un certo senso, ma Harry ancora non capiva cosa ci fosse di così affascinante nel voler ricordare una cosa del genere. Avrebbe voluto domandarlo, e probabilmente glielo si leggeva nello sguardo, perché Colin se ne accorse e incurvò di nuovo le labbra in quel suo sorriso gentile e scostante.
« E' la rabbia. » Colin sollevò il mento in direzione dei due litiganti. « Guarda come sono rossi. Guarda i pugni chiusi, le unghie ficcate nella pelle, le vene del collo che emergono. E guarda anche gli occhi lucidi di Hermione. Quelle lacrime la stanno implorando di poter uscire, non ti sembra? »
Harry osservò i due amici a sua volta. Dentro di sé cadde un silenzio che non si era aspettato. Aveva fatto caso a tutte quelle parole, davvero, solo che lui non vedeva quasi niente di ciò che Colin aveva colto. Erano i dettagli, la sensibilità, l'essenza delle cose che Harry aveva racchiuso nel semplice complesso. Nel complesso quei due litigavano, nel dettaglio c'erano le lacrime, le vene, le unghie. Non seppe cosa dire. Ebbe l'impressione che gli stessero sfuggendo delle cose.
« Bussate, bussate pure. Lei non vi aprirà la porta; è troppo orgogliosa. » Colin scattò un'altra fotografia. « Dev'essere brutto essere al posto di quelle lacrime. Ci hai mai pensato? Io ci sto pensando adesso. Sarebbe come stare in gabbia. Sentirsi esplodere e non riuscire a liberarsi. Guarda, la vedi com'è ostinata? Non piangerà nemmeno più tardi. Riuscirà a trattenersi. E' questo il suo grande problema; riesce a far sentire in gabbia tutti quanti. Come le sue lacrime ».
Harry si grattò la tempia. Colin riusciva a farlo sentire ancora peggio, e la cosa più brutta era che non sembrava nemmeno accorgersene. Era semplicemente tutto un altro carattere, ecco, tutto un altro modo di pensare. Colin certe volte sembrava uscito da un libro di fiabe. Per come parlava e per come sembrava sempre capire le persone. Per come afferrasse sempre e comunque quello che la gente normale si ostinava a ignorare e a nascondere. Per quanto ti sforzassi di eliminare tutte le prove, Colin riusciva a sentirne l'odore e a scovarne i residui. Non doveva essere facile convivere con uno come lui, pensò Harry, sentirsi capito così bene senza aver aperto nemmeno bocca. Si domandò distrattamente se in tutto questo ci fosse davvero qualcosa di sbagliato. Poi Harry si volse ancora, automaticamente, verso Ron e Hermione.
« Non c'è nient'altro da fotografare. » Disse Colin in quel momento, e lasciò che la macchina fotografica gli dondolasse sul petto. « E' uno spettacolo di cui già si intuisce la fine ».
Harry lo guardò dal basso. « E sarebbe? » chiese con voce roca.
« Faranno pace. » Colin si inumidì le labbra. « Si vede, no? Faranno pace, ma domani litigheranno ancora per qualcosa. E poi rifaranno pace, anche se la loro non è una vera pace. Non riescono a farla. Non hanno mai avuto nessun punto in comune ».
« Come fai a saperlo? »
« Si vede ».
Harry esitò. Guardò ancora i due amici. Forse li conosceva troppo bene per poter cogliere le ovvietà di cui Colin parlava. Per lui quella scena era un insieme di dettagli e sfumature e sprazzi di futuro. Per Harry erano soltanto due persone che litigavano su un tavolo.
« Ieri ho fotografato i nodi degli alberi della foresta » disse Colin.
Harry aggrottò la fronte. « I... i nodi degli alberi? »
« Sì... le increspature del legno. » L'altro, il tono di voce casuale, continuava a fissare la macchina fotografica. « Non immagineresti mai cosa nascondono quei nodi ».
« No... non lo immaginerei ».
« Vuoi venire a dare un'occhiata? »
Harry alzò d'istinto lo sguardo. Qualcosa andò a fuoco in lui – forse la faccia, o la sorpresa che lo scuoteva, il desiderio impellente di sotterrarsi e sparire – ma quando deglutì, esitante, Colin parve capire facilmente cosa dovesse pensare in quel momento. Non si aspettò nessuna risposta, nessun cenno. Si avviò semplicemente su per le scale, lentamente, e i piedi di Harry in qualche modo risposero alla tentazione. Ron e Hermione erano così impegnati a litigare che non se ne sarebbero mai accorti. E Harry non voleva affatto che venissero a saperlo. Ma non c'era bisogno di preoccuparsi, in fondo. Lui stava salendo le scale, dietro di lui i suoi amici continuavano ad urlare, e Colin era molto più avanti che si insinuava nel dormitorio maschile. Harry sentiva il cuore tamburellare forte contro le costole. Quella era una situazione decisamente scomoda. E ci si stava andando a ficcare per davvero. Stava salendo quelle scale. E Colin aveva già aperto una porta.
Harry lo vide infilarsi nel dormitorio. Lo seguì a passi lenti, misurati, ogni cellula del suo corpo a gridargli di tornare di sotto di filata. Lui non voleva andarci lì dentro, non voleva dover parlare, non voleva seguire Colin. Eppure lo faceva. Lo faceva e si chiedeva il perché senza trovare una vera risposta. Harry sentì il cervello dichiarare l'inizio del proprio letargo. E Harry stesso non ebbe, sinceramente, niente in contrario.
Sentì la porta chiudersi dietro di lui. Ci era già stato lì dentro, anche se sinceramente della stanza non gliene importava niente. Colin si avviò in direzione del letto. Si sedette sulla sponda e cominciò a cercare qualcosa tra la pila di libri che troneggiava sul comodino. Harry sperò intensamente che non si trattasse dell'album con le sue fotografie. E fortunatamente Colin estrasse qualcos'altro, un raccoglitore più piccolo, lo sfogliò e lo tese a Harry.
« Ecco » disse sorridendo.
Harry si avvicinò cautamente, con un sorriso nervoso. Non credeva di essersi mai trovato in una situazione più imbarazzante. L'attimo dopo era lì seduto sulla sponda, vicino a Colin, con un album zeppo di fotografie tra le mani. Colin aveva preso ad indicargliele tutte.
« Vedi questo nodo? Se guardi bene, se ti concentri, ti apparirà un vecchio su una sedia a dondolo. Credo che sia spettacolare ».
Harry fissò gli occhi verdi nell'immagine. Cercò di concentrarsi, davvero, ma era difficile in un momento del genere. Ancora non capiva come mai l'avesse seguito fin lassù. E poi a lui sembrava solo uno stupido nodo di un tronco d'albero. Una rete di cortecce, ecco. Non vedeva niente.
« E quest'altro, invece, » Colin girò una pagina, « sembra la cornice di un paesaggio. Guarda bene. Questa è la fila di alberi, questa è una collina, qui ci scorre un piccolo ruscello. E vedi questa corteccia più scura? Potrebbe essere una casa, o un mulino. Oppure una caverna, no? A me piace pensare che sia una caverna ».
Harry fissò intensamente la fotografia. Passò molto tempo. Quel nodo d'albero continuava a rimanere soltanto un nodo d'albero. Non poteva farci niente. Non era colpa sua. Semplicemente, non ci arrivava a capire tutte quelle cose. E lui non vedeva né alberi, né ruscelli, né colline. Solo un mucchio di legno. Un mucchio di legno che lo fece sentire immensamente stupido.
« Io... bè... » Harry si schiarì la voce, « non so. Davvero, non capisco, non... mi spiace ».
Colin gli lanciò uno sguardo penetrante. Harry, se possibile, si sentì ancora peggio. Colin era lì con quell'albero tappezzato di fotografie fantastiche. Tutti tronchi d'albero in cui lui ci scovava delle storie, ci vedeva persone, sentimenti, paesaggi di vita e di immaginazione. Harry era lì e pensava che quelle fotografie fossero tutte uguali. Non ne capiva il senso. E alla fine Colin richiuse l'album, un po' deluso, lasciandolo atterrare sulla cima della pila di libri. Sorrise di nuovo.
« Me lo aspettavo, sai. Che tu non riuscissi a vedere niente. » Risuonò leggero. « Ma... credo che prima o poi ci riuscirai anche tu. Potrei insegnartelo ».
Harry vide il viso di Colin scurirsi. Sentì di nuovo il palpabile imbarazzo di poco prima. Non era affatto una bella sensazione. O meglio, non lo era in superficie, però aveva un suo perché, una sua storia. Era qualcosa di molto, molto difficile da decifrare. Era la differenza tra il buttarsi e il ritrarsi dal limite del dirupo. Come sarebbe stato il lancio? Cosa avrebbe provato mentre cadeva? E nel toccare il suolo, si sarebbe fatto male? Colin gli avrebbe fatto male?
« Si... si possono insegnare, cose come queste? »
« Ti insegnerò ad impararle. » Colin scrollò le spalle. « Le vedrai. Sarai in grado di accorgertene. E' facile, davvero ».
« Bè... » Harry prese fiato, « immagino che lo sia ».
Colin distolse lo sguardo. Il suo volto si concentrò duramente sulla macchina fotografica che si rigirava tra le dita. Come se stesse pensando a qualcosa di importante. Come se dalle sue labbra premessero per uscire le sue solite parole inafferrabili. Harry quasi ne ebbe timore. Non avrebbe mai voluto sentirlo parlare. Gli andava bene, stare così in silenzio a non fare niente. Non era così male, e lui poteva sentirsi la dignità ancora addosso. Ma Colin posò di nuovo gli occhi su di lui. Sembrava tranquillo proprio come pochi minuti prima.
« Se vuoi, posso farti vedere qualcosa fin da subito ».
« Ehm, del tipo? »
« Nulla di troppo strano. » Colin soffocò una risata. « O meglio, non per i miei standard ».
Il che non era affatto rassicurante, pensò Harry mentre rimaneva in silenzio. Non sapeva cosa rispondere, se fidarsi oppure no. Ma Colin gli ispirava fiducia. E dopotutto, un po', solo un po', anche Harry voleva sapere cosa sarebbe successo. Era curioso, ma nello stesso tempo ne aveva paura. Era solo seduto su quel letto, eppure gli sembrava di essere sprofondato nell'inferno più nero e vivace. Un inferno mascherato da paradiso. Colin poteva pure sembrare un angelo, all'occorrenza, ma Harry sapeva quanto l'impressione fosse sbagliata. E l'altro, senza attendere oltre, si scostò.
« Alza le gambe ».
Harry, sobbalzando, vide le tende del baldacchino tirarsi verso di loro. Si tirò subito indietro, sul materasso, finché la visuale non si chiuse in una specie di scatola cremisi. Tutto divenne buio. Arrossì furiosamente. Non era per niente preparato. Non si era mai trovato tanto solo con Colin. Ma lui era concentrato sulla macchina fotografica. E non era imbarazzato, no, per niente. Al contrario, a Harry parve fin troppo tranquillo. Questo avrebbe dovuto calmarlo di riflesso, teoricamente, e invece finì col sentirsi in trappola. Poi Colin gli lanciò un'occhiata furtiva e accostò la macchina fotografica al volto.
« Cosa... cosa fai? » Harry sentì la propria voce arrochita. « Vuoi farmi delle foto? »
« Sì. » L'occhio azzurro di Colin emerse dal retro della macchina. « Ma saranno fotografie molto diverse ».
Flash.
Harry si sentì accecare da una luce fortissima. Lì dentro, con le tende tirate, il flash era ancora più forte. Colin sorrideva angelico mentre la macchina ronzava. Quella situazione cominciava ad innervosirlo. Harry si morse le labbra.
« Senti, mi dà un po' fastidio essere fotografato. » Svelò, deciso. « Non mi piace, e con tutte le foto che mi hai già fatto, non capisco perché ci sia bisogno di... »
« Perché quelle fotografie non sono più valide. » Colin abbassò la macchina fotografica. « Non rispecchiano più la realtà delle cose. Penso che qualcosa sia cambiato. » Poi una fotografia spuntò dalla macchina atterrando sulle coperte. « E questo sono io che ti guardo ».
Colin gliela mostrò dalla propria mano. Harry vide soltanto se stesso, la sua sagoma raggomitolata sul letto, in procinto di guardarlo. Non capiva. Ricambiò sorpreso gli occhi di Colin, ma questo si era fatto più vicino. Harry sentì lo zoom della macchina fotografica premergli addosso.
Flash.
Un'altra foto atterrò nelle vicinanze. Harry vide il proprio viso impresso nella carta. Colin la prese delicatamente e la mise da parte. « Questo sei tu che mi guardi ».
Flash.
Cadde un'altra fotografia. Stavolta l'unico soggetto erano gli occhi di Harry. Le dita di Colin scattarono a prenderla. « Questo sono io che mi avvicino ».
Harry si fece sorpreso. Registrava le mosse di Colin, una dopo l'altra, quella voce che premeva sulle tende. Una parte di lui ancora non capiva cosa stesse succedendo. L'altra, quella a cui Colin stava insegnando, lo aveva colto anche fin troppo bene. E Harry rimase immobile sotto quella macchina fotografica. Perché non doveva muoversi, non poteva, non voleva. Era pura ipnosi. Un film che avrebbe guardato e riguardato altre mille volte. Quella lente gli sorrideva lo stesso sorriso di Colin.
Flash.
La foto cadde. Le spalle di Harry la occupavano. Colin si fece ancora più vicino, ma non si azzardava a sfiorarlo, le mani sulla macchina. « Questo sono io che ti tocco le spalle ».
Si posizionò ancora.
Flash.
Il quadretto di carta era pieno dei capelli di Harry. Una fotografia quasi completamente nera. Colin sorrise leggermente. « Una delle mie mani si è appena infilata tra i tuoi capelli ».
Flash.
Quella era la sua cravatta. « L'altra mano stuzzica il nodo della tua cravatta ».
Harry ricambiò immobile lo sguardo di Colin. Il mondo si era congelato, lui stava lì fermo, niente aveva più importanza. Mai, in tutta la sua vita, essere fotografato gli aveva dato quelle sensazioni.
Flash.
Un'altra foto sulla cravatta di Harry. « Scusa. Sono proprio deciso a slacciare quella cravatta ».
Colin si fece ancora più vicino, la macchina fotografica accostata al volto.
Flash.
La fotografia cadde. Era occupata interamente dalle labbra di Harry. « Questo sono io che ti bacio ».
Harry sentì il fiato mozzarsi nella gola. Ormai perfino il rossore e l'imbarazzo si erano dileguati. Stava lì e gli sembrava tutto un sogno ad occhi aperti.
Flash.
Le labbra di Harry ora erano socchiuse. « Il bacio si è approfondito ».
Harry sentiva il fiato scappargli dalla gola. Strinse le coperte tra le dita. Non sapeva cosa gli succedeva. Colin rimaneva lì, a almeno mezzo metro di distanza, e parlava dal retro di quella macchina fotografica.
Flash.
La foto cadde. Era l'orecchio di Harry. « Ti ho appena sussurrato qualcosa all'orecchio ».
Harry sentiva il cuore tamburellargli sulle costole. Poi Colin, improvvisamente, lo guardò dritto negli occhi. Era l'immagine della calma. Harry era l'immagine della confusione.
« Cosa ti ho detto? » La voce di Colin era bassa. « Cosa hai sentito? »
Harry si sentì mancare. « Io... »
« Ti ho appena sussurrato qualcosa all'orecchio. » Colin lo fissò. « Pensaci bene. Poi magari ti viene in mente e me lo dirai. » Tacque un momento. « Sono questi i tuoi compiti a casa ».
Harry sbatté le palpebre. Un attimo dopo, Colin aveva tirato via le tende e si era rimesso in piedi. La luce lo sommerse. Aveva raggruppato le fotografie tra le mani e le riordinava. A Harry parve di essersi risvegliato da un sonno profondo. Non poteva credere a quello che era appena successo. Si grattò la testa, imbarazzato. « Cosa... »
Non riuscì a continuare. Colin sentì il suo silenzio e lo guardò. « Cosa è successo, intendi? » Vide Harry annuire. « Ci siamo baciati ».
« Ma... »
« Forse più in là saprai dirmi se il bacio è stato bello oppure no. » Colin sorrise ancora. « Io non vorrei influenzarti con i miei giudizi ».
Rimasero a guardarsi. Harry non seppe cosa dire, né come dirlo. Non trovò alcune parole, ma era certo che se anche fosse stato un tipo loquace, sarebbe stato lo stesso semplicemente in silenzio. E lo fece, timidamente, silenziosamente. Sapeva che avrebbe speso molte ore a ripensarci. Voleva iniziare subito. Senza aggiungere altro, Harry indietreggiò e uscì dalla stanza.
Nel ritrovarsi in corridoio, scoprì che le urla di Ron e Hermione erano svanite.

The TheatreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora