L'attimo fuggiva, oh, che altro può fare un attimo?
Carlo Emilio GaddaBlaise Zabini chinò leggermente la testa. Lasciò scorrere le dita scure su ognuno di quei lustri bottoni dorati, lente, tracciando la lunga fila di preziosità che gli rasentava la coscia. Attorno alle asole si diramavano motivi fantasiosi che, in raffinati riccioli intrecciati, risalivano la seta smeraldina del panciotto fino a delineare, su un fianco, l'abbozzo di una scena di caccia – questa interrotta a metà dalla linea della bandoliera che gli attraversava il fianco, di cuoio marrone, culminante con il fodero di una spada. Dopo aver ravvivato la giacca, le dita di Blaise corsero a pizzicarsi gli stretti calzoni che
indossava; avevano un'aria un po' malconcia e terminavano in un nastrino che si stringeva sotto al ginocchio.
« Ahi. » Gemette, e nel raddrizzare la schiena, con una smorfia, Blaise sentì la parrucca oscillargli sopra la testa. I riccioli incipriati erano legati in una coda che gli raggiungeva metà schiena. Il Serpeverde la rimise dritta con entrambe le mani, storcendo il naso. « Sto scomodissimo ».
« Fottiti, Blaise » sbottò Draco, senza alcuna pietà, imprigionato nella sua armatura.
Era qualcosa di assolutamente anormale. Esageratamente larga per la sua corporatura sottile, quella prigione d'acciaio era composta da un miliardo di pezzi così ingombranti che, da quando glieli avevano messi addosso, Draco non si era più azzardato a fare un passo. Si era tolto l'elmo da qualche minuto e cercava di tenerlo in equilibrio nell'incavo del gomito, sbuffando come una ciminiera. La parte del Cavaliere, improvvisamente, gli andava molto meno a genio.
Al di là della stanza parallela alla Sala Grande, nella quale erano stati disposti una grande varietà di camerini per facilitare il cambio d'abito, giungeva un brusio alquanto concitato.
Draco aveva già visto il palco, e anche tutte quelle panche disposte a mo' di tribuna super affollata. Gli altri attori non facevano altro che spiare da una tenda e ritrarsi subito, le facce pallide, il fiato corto per l'emozione. I camerini erano ingombri di gente esaltata e terrorizzata; tutti correvano di qua e di là con le braccia piene di parrucche o scarpe o cappellini. Tutta quell'agitazione aveva finito con l'innervosire Draco ancora di più; torvo nella sua possente armatura, era certo di non essere uno spettacolo molto rassicurante a vedersi. Non gli dispiaceva doversi mettere in bella mostra su un palco, ma odiava doversene stare lì a far niente in attesa di cominciare. Dondolò sui talloni, il sudore che gli imperlava la fronte, quando, dando un gran contributo a quel trambusto, la Brown e la Patil emersero da un camerino emettendo risolini eccitati.
Erano imbacuccate in due mantelline sottili che, nonostante scendessero dritte fino ai piedi, non riuscivano a celare l'ingombro delle voluminose gonne a balze che fluttuavano sinistre ad ogni loro passo. Le loro parrucche erano ammassi di riccioli bianchi che si elevavano in altezza; Draco, con crescente orrore, individuò una grande varietà di nastri, fiori e piume rimbalzare qua e là sulle loro chiome. Tutto ciò scatenò in lui vari flashback delle pretendenti altolocate con cui Lucius lo aveva tormentato l'intera estate.
Era terribile. Quei dolorosi e traumatizzanti ricordi non gli erano mai parsi più brucianti e vivi di quel momento. E le due galline, intanto, correvano gioiose verso di lui. Draco sgranò gli occhi; il fiato gli mancò. Blaise, che aveva notato il suo nervosismo, fu lì lì per chiedergli cosa gli fosse preso. Ma quando Draco fece un eroico passo all'indietro, portando con sé tutta quella roba sferragliante che lo sommergeva, non ebbe bisogno di spiegazioni. Lavanda e Calì gli sfilarono accanto, e un panneggio della gonna di quest'ultima, mentre passava, si impigliò nella spada di legno che Draco teneva nel pugno; questa sfuggì alla sua presa e provocò un gran rimbombo sul pavimento.
Draco, paralizzato, fissava la sua arma ancora vibrante.
Il grande dilemma cominciava a farsi sentire. Era spaventoso, a dir poco. Ma doveva almeno provarci. E lo fece sul serio; la piegò, quella schiena, ma a un certo punto smise di scendere, e lui era lì come un idiota, gemente, con il braccio ancora teso e la spada inesorabilmente lontana. Rigido com'era, impugnare la sua arma non sembrava altro che un miraggio.
« Blaise » piagnucolò, strascicando la voce.
Ma quando sollevò appena lo sguardo, imprigionato, carcerato nei suoi mille pezzi di crudele armatura, Draco si ritrovò a digrignare i denti. Blaise, poco più in là, si era appoggiato a una colonna per il troppo ridere.
« Blaise, cazzo! »
« Scusa... è solo che... » la voce di Blaise era soffocata dalle risate, entrambe le mani a tenersi la pancia, « sei uno spettacolo. Sul serio ».
« Ah sì? Aspetta che riesca a prendere quella spada. » Sibilò Draco, continuando a tendere inutilmente il braccio. « Allora potrò tranciarti i tuoi stupidi riccioli da femmina ».
« Muoio di paura. » Blaise, che sembrava godersela un mondo, poggiò le mani sui fianchi. « Attento a non perdere l'equilibrio; prevedo l'effetto di una tartaruga rovesciata sul dorso ».
Draco, continuando a tendere il braccio, giurò su se stesso che, semmai fosse uscito vivo da quell'assurda manovra, la lingua di Blaise sarebbe stata la prima cosa che la sua lama avrebbe incontrato. Sì, bè, era finta, d'accordo. Ma era pur sempre di legno; doveva far male, almeno un po', no? Speranzoso, e quanto mai assetato di vendetta, Draco si finse sordo alle sghignazzate del compagno e continuò ad allungarsi. Le scarpe d'acciaio scivolavano sul pavimento. Draco non voleva nemmeno immaginare a quali disastrosi risultati avrebbe comportato un'accidentale spaccata. L'idea lo colpì all'improvviso, brusca come un tornado. In un lampo, ritornò dritto con l'aria più dignitosa possibile. La spada era ancora lì a due metri di distanza, per terra, e Blaise ovviamente rischiava di strozzarsi con la sua stessa saliva.
« La raccatterò. Prima o poi. » Draco parlò in tono fiero. « E' solo che non voglio darti soddisfazione! »
E poi, proprio mentre Blaise esplodeva in un'altra grassa risata, la tenda di un camerino poco distante si dischiuse piano. Dalla fessura emerse la faccia agitata della Granger. Li individuò subito, lui e Blaise, ma ovviamente la sola vista di Draco dovette indisporla tanto da decidere di ignorarlo bellamente.
« Avete visto Ginny? » disse, rivolgendosi a Blaise.
Questo, ancora mezzo ridente, fece un cenno di diniego con la testa. La Granger sbuffò in risposta, prendendo a guardarsi intorno; Draco notò le braccia tese all'indietro, e indovinò che avesse problemi con il vestito.
« Hai bisogno d'aiuto, Granger? »
Lei avvampò di imbarazzo. Si fece improvvisamente torva. « No, grazie » sbottò, e si ritirò di nuovo nella tenda.
Draco, imbambolato, non riusciva a staccare gli occhi dalla falda giallo ocra che ancora ondeggiava. Non sapeva come fosse il suo sguardo, ma non doveva preannunciare alcunché di buono; Blaise, infatti, indovinò subito il peggio.
« Draco, non vorrai... »
« Probabilmente è mezza nuda. » Rispose lui, assorto. « Blaise, non mi ricapiterebbe mai più ».
« Ma ti ucciderebbe ».
« E allora? Sono un Cavaliere, io. Sono temerario » disse, senza molta convinzione.
Blaise piegò le labbra in un sorrisetto ironico. « D'accordo, fai una prova. Io ti aspetto qui a braccia spalancate, d'accordo? » Mosse qualche passo verso il camerino della Granger e si mise in posizione. « Non vorrei vederti morto proprio oggi ».
« Cazzate, Blaise. » Draco, fieramente, si diresse a sua volta verso la tenda. « Quella è pazza di me, te lo dico io. Deve soltanto arrivarci, tutto qui ».
E senza ulteriore indugio, rivolgendo un cenno a Blaise che, le mani alte in segno di resa, arretrava fino a pestare il vestito di Lavanda, Draco si fece avanti. Sentiva la mente completamente sgombra; lui era un Cavaliere, lei era la Locandiera, l'oggetto delle sue attenzioni, l'altra dolce metà.
La Granger avrebbe dovuto starci anche per rispetto verso la recita, Salazar. Draco ne era assolutamente convinto.
E, tendendo il suo braccio argentato, scansò in un gesto secco la tenda, infilandosi subito dentro al camerino. Soltanto in quel momento si accorse che forse sarebbe stato carino chiedere almeno il permesso di entrare. La Granger, infatti, era lì a guardarsi la schiena dal riflesso di un lungo specchio, concentrata nel tentare di centrare i fili di un corsetto; non appena lo vide, prese fiato per uno strillo acuto. Draco piombò da lei, allarmato, premendole la mano grigia e lucida sulla bocca.
« Stupida, voglio solo aiutarti! »
Hermione, infervorata, si liberò dalla sua presa con l'unica mano non occupata dal vestito. « Malfoy, se non esci subito di qui giuro che... »
« Vuoi far ritardare tutto? » Proseguì Draco freddamente, prendendo improvvisamente un'aria seriosa. « La recita comincia tra meno di dieci minuti, Granger. Ti aiuto io ad allacciare questo coso ».
« Si chiama corsetto, Malfoy. » Lo corresse lei, nel suo consueto tono pedante, e ne approfittò per sostenere il bustino anche con l'altra mano. « E comunque, in questo caso, ti assicuro che preferirei l'aiuto di chiunque altro. Perfino quello di Calì e Lavanda ».
« Poche storie. » Draco le tese entrambe le mani trattenute dai mitteni. « Mi sfileresti questi cosi, per favore? »
Cadde un momento di silenzio. Quelle tipiche occasioni, pensò Draco, in cui lei analizza l'intera situazione in sforzi multipli di riflessioni incasinate e, a modo suo, in tutte le direzioni e sfumature possibili, decide se il gioco vale la candela oppure no. Era evidente che trovarsi lì con lui, in due metri quadri di spazio, mezza svestita e poco lucida, come sembrava al momento, non fosse per la Granger una bella condizione. I suoi occhi castani saettarono sui guantoni metallici di Draco con palese esasperazione; poi gettò un'occhiata allo specchio, a quei fili ancora slacciati, e in un moto d'ansia tornò a guardare il ragazzo. Si morse le labbra, nervosa. Draco stava giusto contemplando la trasparenza di quel camicione che la Grifondoro teneva addosso. La luce dorata che veniva dall'alto metteva in mostra la sagoma delle gambe.
« Cosa... cosa stai fissando? »
Seguì la linea precisa del suo sguardo; Draco, sussultando, si affrettò a metterle le ingombranti mani davanti agli occhi. « Allora? » Sbottò, impaziente. « Io sto ancora aspettando ».
La Granger sbuffò. Poi, togliendosi una mano dalla schiena, afferrò uno dopo l'altro i mitteni di Draco e li gettò sul pavimento assieme a un mucchio di vestiti spiegazzati. Quando sollevò di nuovo il viso, lo guardò con intensa serietà.
« Toccherai i fili. » Precisò. « Nient'altro, intesi? »
Draco nemmeno la ascoltava; era così bello avere le dita libere, adesso, che non poté far altro che sgranchirsele con espressione beata. E poi lei era lì con lui. Stava accadendo sul serio. Aveva dato il suo consenso. Non importava affatto che avesse quell'espressione acida, e nemmeno che, nel dargli le spalle, lo stesse fissando sospettosa dal riflesso dello specchio.
Lei era fatta così, e Draco stava cominciando a capirla. Attrice nella commedia, attrice nella vita. Era intimamente felice che lui fosse lì con lei, ed era un dato certo, incontestabile; solo che non poteva dimostrarlo. Bè, sì, era completamente matta, ovviamente. Però lui avrebbe cercato di farci l'abitudine, sul serio.
Sospirando, Draco si mise al lavoro. Guardò quell'ammasso di fili e non poté nascondere un'espressione del tutto scandalizzata. Si sentiva confuso soltanto a guardarli tutti insieme, lì, ingarbugliati, troppi, selvaggi. Ne prese uno a caso e lo ficcò in un buchetto della veste. Poi ne prese un altro e fece la stessa cosa.
Si domandò come fosse finito a vestirla, quando lui invece aveva sempre desiderato spogliarla. Davvero, era grave, a ben pensarci. Non poteva certo lasciar correre in questo modo. Ancora qualche altro filo, e poi sarebbe passato all'attacco. Lei non avrebbe potuto dirgli di no; Draco si sentiva davvero possente, in quell'armatura troppo grande, una vera e propria visione. E poi quello spazio era così stretto, e tutto era così perfetto.
Nemmeno a farlo apposta, sembrava il posto ideale per provarci seriamente con lei. Nessuno li vedeva, né avrebbe potuto interromperli. D'accordo, c'era la recita, però mancavano ancora dieci minuti all'inizio – nonostante, forse, ne avesse già sprecati due o tre a pensare.
E intanto intrecciava, intrecciava, intrecciava quei maledetti fili. Intrecciava e nello stesso tempo macchinava subdolamente la sua prossima mossa. Sentiva di aver fatto un casino, con quel corsetto. Aveva ingarbugliato tutti i fili. Non c'era più un senso logico. Draco si arrestò un momento, accigliato, contemplando il pasticcio di nodi e intrecci. Poi scrollò le spalle e continuò a tirare fili a caso. Non poteva far caso al corpetto in un momento del genere.
Lanciò un'occhiata in direzione dello specchio; il viso della Granger apparve assorto, gli occhi puntati su un punto imprecisato del pavimento.
Pensava, ovviamente. Rifletteva, meditava, si faceva una marea di complessi. Ma perché non la smetteva?, si domandò Draco impotente. Perché non poteva essere una ragazza normale? Doveva subito distrarla dal proprio cervello. Non poteva permettere che la Granger trovasse ulteriori motivi per rifiutarlo, e soprattutto per mettere su l'identica sceneggiata assurda di qualche giorno prima. Draco non lo avrebbe sopportato; era terribile soltanto l'idea.
E, in uno slancio d'audacia, senza nemmeno averlo premeditato, lasciò scivolare un piede più avanti e le si fece ancora più vicino. Adesso poteva sfiorarle i capelli con il viso. Erano legati alti, tenuti insieme da un nastrino bianco che le accarezzava la base del collo. Aveva un bel collo, pensò Draco meccanicamente. Gli sarebbe piaciuto perdere un po' di tempo là sopra, su quella pelle. Annusarla, e poi assaggiarla, o anche solo restare a guardarla. Era difficile rimanere padroni di se stessi in momenti come quelli. Una volta che prendevano il via c'era poco o niente da fare.
E Draco, quasi estraneo al suo stesso corpo, avvertì le dita bloccarsi sui fili e sostare lì, incerte, senza avere più il coraggio di allontanarle da quella schiena. Sentì il respiro approfondirsi. Quei capelli bruni avevano un buon profumo. Quando sollevò le palpebre in direzione dello specchio, Draco si accorse di come la Granger si fosse irrigidita. Si fissavano da quella superficie riflettente. Le guance di lei erano scure, ma le braccia dritte come pali tradivano un nervosismo quasi eccessivo.
Draco, ormai aderente alla schiena della ragazza, si rammaricò che l'armatura non gli consentisse di avvertire il calore di quel corpo. Era terribile, che proprio in quell'occasione dovesse essere vestito interamente d'acciaio. Qualcuno doveva avercela con lui. E la Granger prima di tutti, visto il modo in cui adesso lo guardava. Gli occhi le brillavano di una luce strana, la debole fiammella che precede l'esplosione. Draco non staccò lo sguardo dal suo nemmeno per un momento.
« Ci hai pensato? »
Il sussurro era stato così carezzevole che la ragazza sussultò, impulsiva, come se davvero lui avesse abbandonato una mano sul suo volto. Non si scostò, non si allontanò; si limitava a osservarlo dal riflesso di quello specchio, e Draco si accorse soltanto in quel momento delle proprie braccia che, all'oscuro della sua stessa volontà, erano andate a cingere la vita di Hermione. Chissà da quanto tempo erano lì, quando ce le aveva messe. Non se ne ricordava.
Però l'intimità di quel momento era qualcosa di folle, specialmente per loro. Draco nemmeno riusciva a crederci, di averla davvero tra le braccia. Era assurdo. Eppure la Granger stava lì immobile, una statua di marmo, la bocca ostinatamente serrata per non tradire un respiro che si era fatto troppo difficoltoso perfino per lei. Draco continuava a fissarla dallo specchio, e lei faceva lo stesso, distaccata. Guardarsi attraverso quel riflesso sembrava molto più semplice che farlo per davvero. Sembrava strano, ma era così. Era come se non fosse vero, in un certo senso. Lei lo vedeva, ma nello stesso tempo non lo incontrava realmente. Avrebbe potuto fingere di essere in un sogno. E Draco, in cuor suo, sentì di poter recitare per lei anche quell'inganno. Non le avrebbe più parlato, né chiesto niente.
Non doveva svegliarla.
Abbassò piano la testa, senza interrompere il contatto visivo, sfiorandole il collo con la punta delle labbra. La sentì rabbrividire. Una vampata di calore le scese ardente sul volto ora liscio di abbandono. Le palpebre si chiusero, delicate, come petali di fiore che si celano al dolce arrivo della notte. Draco vide il buio a sua volta, crollato improvvisamente e gentilmente al tempo stesso. Lasciò che le labbra premessero su quella pelle – una volta, due volte, tre volte. Sempre più piano, sempre più a lungo. Quel collo rabbrividiva ad ogni tocco, tremante come una foglia che non aspettava altro di liberarsi e spiccare il volo nel vento. La stringeva forte, quella vita sottile, senza preoccuparsi di farle male.
Draco non riusciva a far caso a nient'altro che al vortice di sensazioni che si dibatteva nel petto. Come lei, anche lui aveva smesso di pensare. Non gli importava più di niente. C'era quel collo, quella nuca, quella scapola, quella schiena. E capelli bruni che gli solleticavano il naso. Aveva dimenticato perfino come si chiamava.
E di dove fossero, cosa stessero facendo, perché tutto ciò stesse succedendo.
Perfino l'ingombrante armatura si era trasformata in aria dispersa. Lui lasciava cadere quei baci, uno dopo l'altro, con la dolcezza passionale di labbra che osavano e non osavano, senza curarsi di altro che non fosse l'oggetto delle sue attenzioni. La sentiva sciogliersi nella sua stretta e agitarsi, piano, inclinare il collo e poi la testa, come a volergli lasciare ancora più spazio.
Draco sentì la pioggerella di emozioni scrosciare, su di loro, nell'improvvisa intensità di un diluvio impetuoso. Lasciò scorrere la bocca più in alto, famelica, in grado di divorare tutto ciò che avesse trovato al proprio passaggio. Incontrò il lobo del suo orecchio, e i denti si fecero avanti, istintivi; un sospiro smorzato giunse all'udito di Draco. E poi lei doveva aver voltato la testa, improvvisamente, perché lui sentì le labbra scorrere lungo una guancia bollente – calda come lo stesso fuoco che adesso agiva al suo posto, incontrollabile, insaziabile, sconvolgente.
Le fiamme ardenti mossero le sue braccia; e tutto il corpo di Hermione fu voltato improvvisamente contro il suo, tremante e incerto, e quegli occhi scuri spalancati occuparono l'intero suo campo visivo. Il respiro rotto della ragazza gli premeva sulle labbra con insistenza, tormentoso, sfidandolo a servirsi davvero del frutto delle sue estenuanti ricerche. Era lei. Era tra le sue braccia e i suoi occhi brillavano come lucciole vivaci e frenetiche.
Draco accostò la fronte a quella di Hermione, sentendola vicina, sentendola con lui, per la prima volta, in balia della stesso tormento. Le mani le premevano entrambe le guance – dita che scottavano, brucianti, sul sangue che affluiva impavido sotto quella pelle. Sarebbe bastato un cenno, uno soltanto. O forse ne avrebbe fatto addirittura a meno. La stretta su quel viso si intensificò, rapida, incontrollata; le palpebre di lei si serrarono istintivamente, preparate al momento.
E poi qualcos'altro accadde. Sopra di loro, intorno, dappertutto.
Hermione riaprì gli occhi, spaventata. Draco sentì ogni forza abbandonarlo. Quelle voci continuavano a chiamarli, alte, dall'esterno di quello che entrambi ricordarono essere un camerino. Fu come risvegliarsi improvvisamente da un sogno tumultuoso. La Granger arrossì della loro vicinanza, e fece un passo indietro, le labbra dischiuse e il respiro affannato. Draco non capì niente di quello sguardo, e le sue braccia erano ancora lì, tese nell'aria, come assaporando gli ultimi istanti di quell'abbraccio.
« Granger, dove stai andando? »
« Non so cosa mi sia preso. » La voce di Hermione era una cascata precipitosa. « Io... io devo proprio... mi stanno chiamando ».
Tentò di sfilargli accanto, affannata, ma Draco la afferrò per un polso. Hermione fece per ritrarsi, cercando di sottrarsi al suo sguardo. « Insomma, cosa c'è? »
« Tu mi lasceresti qui in questo modo? » I suoi occhi erano duri, brillanti del calore che ancora lo investiva. « Con una stupida fuga drammatica? »
La guardò dritta in faccia, il polso di lei ancora avvinghiato nel pugno. Hermione si mordeva le labbra; aveva gli occhi lucidi e Draco l'avrebbe baciata subito, in quello stesso momento, se solo non temesse una reazione del tutto spropositata. Non riusciva a credere di averla lì e di non poter fare niente. E lei, i lineamenti addolciti di mortificazione, parve finalmente trovare il coraggio di incontrare il suo sguardo.
« Hai ragione. » Sussurrò, flebile. « Ti... ti auguro buona fortuna per la recita ».
Draco era incredulo. « Credi forse che basti? »
« Io non so cosa dire, Malfoy! » Hermione, profondamente tormentata, tentò ancora di liberarsi dalla sua stretta; ma il pugno di Draco era serrato, ostinato come lo sguardo con cui la fissava. « Non abbiamo tempo, e io... io non capisco più niente, accidenti a te, mi stai confondendo le idee! » Il suo braccio oscillava, violento. « Fammi andare via, ti prego».
La supplica fu così inaspettata da sentire, così allarmata, che Draco sentì le proprie dita venire meno nello stesso momento in cui la voce di Hermione si liberò di quel tono rabbioso. Lei sollevò subito il braccio, con una smorfia; si massaggiò il polso arrossato.
Draco socchiuse le labbra per dire che gli dispiaceva, davvero, di averla stretta in quel modo, ma quando parlò gli uscirono fuori altre parole. Era la rabbia improvvisa, il risentimento di vedersi rifiutare per l'ennesima volta.
Si sarebbe accontentato di qualunque speranza, maledizione. Un sorriso, una parola, uno sguardo - qualcosa che gli dicesse che non aveva sbagliato, ad agire in quel modo, che anche la Granger lo aveva voluto e desiderato almeno quanto lui.
Ma di fronte a sé non aveva niente di simile. C'era solo lei nella sua espressione triste, angosciata, tormentata come se Draco non le avesse fatto altro che un dispetto. Quell'immagine era insopportabile da sostenere. E se la Granger si aspettava che dopo tutto questo lui si sarebbe scusato, bè... a Draco veniva da ridere soltanto al pensiero.
« Prima di andare via, mi raccoglieresti i guanti? »
Parole che si rivelarono, come lui si era aspettato, un terribile errore.
Ma aveva soltanto giocato d'anticipo, ecco tutto. Si sentiva raggirato, ingannato, illuso, e voleva che lei lo sapesse.
Hermione sbatté più volte le palpebre. Non sembrava crederci. E più il silenzio si allungava, più lei diveniva scandalizzata. Draco, per un attimo, si ritrovò addirittura a pentirsi di aver parlato; la Granger era stata così carina, dopotutto, con quell'aria addolorata. Qualcosa di molto più rassicurante della strega furibonda che ora lo fissava.
Ma le stava bene, Salazar; lui non era il suo stupido burattino. Allora la Grifondoro si chinò velocemente, come una furia, raccogliendo entrambi i mitteni; e poi glieli lanciò in testa improvvisamente, come una pazzoide, lasciandolo lì a tentare di coprirsi.
« Eccoli! » sbottò, fredda; Draco era incredulo al di là delle proprie mani premute sulla testa, e i guanti d'acciaio scivolarono di nuovo a terra.
Aveva sempre pensato di essere lui il codardo, tra i due.
E la guardò fuggir via, scostando la tenda, dirigendosi sul palco.
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The Theatre
Fiksi PenggemarQuesta storia è di proprietà di Lylasly, autrice originale della storia presente sul sito di efpfanfic.net qui troverete il link della storia originale https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=590384&i=1 Draco/Hermione Ginny lasciò cadere il discorso...