50. Fragile tension

292 9 1
                                    

Got to ask yourself the question

Where are you now?
Where are you now?

Wisemen, James Blunt

Quella giornata, tanto per cambiare, era iniziata malissimo.
E quando Draco Malfoy formulava quel pensiero prima delle otto del mattino, poteva star certo che fino al tramonto le cose non sarebbero cambiate.
C'erano stati molti – troppi – segnali nefasti. Era così. Da dove poteva cominciare?
Beh, dal suo sonno, per esempio. Aveva dormito poco e male, rigirandosi nel letto incessantemente, quel dannato bigliettino della Granger che, per quanto minuscolo, occupava del tutto i suoi pensieri. Ancora non si era ripreso dallo shock. Era qualcosa di incredibile a dirsi.
Okay, forse non le aveva scritto una lettera lunghissima.
Anzi, non le aveva scritto proprio una lettera, forse un messaggio.
Una richiesta, ecco.
Ma perlomeno aveva cercato un contatto, no? Si era sbilanciato; lì, in quelle poche parole che le aveva inviato, Draco ci aveva messo il cuore.
Come poteva la Granger non averlo capito? Come aveva potuto rispondergli tanto freddamente, senza nemmeno firmarsi, senza nemmeno accennare a come fosse stata onorata di ricevere da lui una così palese attenzione?
Non che avesse dovuto buttarsi ai suoi piedi... ma almeno ringraziarlo! Per non parlare poi della sua povera camicia!
Non c'era proprio più rispetto, aveva pensato Draco rabbioso, e si era seppellito nelle coperte senza augurare la buonanotte a nessuno. Verso le cinque del mattino si era finalmente addormentato profondamente; ma Goyle aveva cominciato a russare, e né il posacenere di pietra, né tre cuscini e né un cassetto del comodino scagliati in sua direzione erano valsi a farlo smettere.
Draco si era così ritrovato a colazione con la propria bellezza decisamente deturpata.
Ciuffi di capelli sparati in strane direzioni, occhiaie, un tic nervoso all'occhio. Aveva ingollato quattro tazze di caffè mentre Tiger e Goyle spargevano briciole dappertutto, Theodore si faceva romanticamente insultare da Daphne, Blaise teneva sott'occhio Pansy e Pansy teneva sott'occhio la sua fetta di pane e marmellata.
Ma l'incubo peggiore doveva ancora arrivare.
Quel mattino, infatti, lo aspettavano ben due ore di Cura delle Creature Magiche.

« La mia speranza è una sola » dichiarò Pansy mentre, insieme ai compagni Serpeverde, si faceva strada nell'atrio del castello. « Che arriviamo lì e quel cialtrone ci dica che la lezione è stata annullata. Insomma, guardate! » e indicò il cielo mattutino pieno di nubi. « Il tempo fa schifo, probabile che tra mezz'ora venga giù il finimondo proprio come ieri... »
Quella considerazione rallegrò appena Draco. Pansy non aveva tutti i torti. L'aria era gelida, addirittura minuscoli fiocchi di neve danzavano tranquilli nel vento. Forse avrebbe potuto andarsene finalmente a dormire...
« Ne vuoi una? »
Draco si volse; Blaise gli stava offrendo una sigaretta.
Non voglio mai più vederti fumare, da ora in avanti.
La voce saputella della Granger gli bucò la mente. Draco scosse la testa come a scacciare qualcosa di molesto.
« Certo ».
Un po' irritato, anche se non ne sapeva bene il motivo, Draco se la portò alle labbra; soffiò il fumo contro l'aria fredda e, per un solo istante, si dimenticò perfino di lei.
« Guardali, i due piccioncini... »
Blaise indicava davanti a loro. Theodore si era appena offerto di portare la borsa scolastica di Daphne e lei, premurosa come sempre, lo aveva ringraziato spintonandolo quasi giù dalla collina. Ma Theo non si offese; sogghignando come soltanto lui sapeva fare, intrappolò Daphne sotto il braccio sussurrandole qualcosa all'orecchio. Lei, liberandosi, gli sibilò una sequela di offese e lo superò impettita e con il naso all'aria.
Draco aspirò di nuovo il fumo. Si sentì quasi infastidito. Almeno loro si parlavano. Si toccavano. C'era qualcosa, insomma. Lui invece non aveva più niente.
No, aspetta... era davvero invidioso di Theo e Daphne? A tutto c'era un limite, e lui evidentemente lo stava superando.
Rabbuiato, e decisamente di pessimo umore, Draco non parlò per tutto il tragitto, godendosi silenziosamente la sigaretta. Non era nemmeno in vena di insultare Hagrid, quella stupida materia e l'ingiustizia della propria vita, il che la diceva lunga sullo stato in cui versava. E quel che era peggio, avrebbe dovuto sopportare i Grifondoro.
Avrebbe dovuto rivedere lei.
Man mano che scendevano dalla collina innevata, le folate di vento si facevano sempre più fredde e insistenti. Gli studenti di Serpeverde, imbacuccati con mantelli, sciarpe, guanti e cappelli di lana, rabbrividivano e gettavano occhiate desiderose al castello. Perfino i nuvoloni si erano fatti più fitti; Draco, e di certo anche Pansy, erano molto felici.
Più il tempo peggiorava, più probabilità c'erano che la lezione venisse annullata.
Quando si ritrovarono a pochi passi dalla capanna di Hagrid, Draco e Blaise gettarono via le sigarette ormai consumate. Il gruppo dei Grifondoro, zelante come sempre, era arrivato con cinque minuti di anticipo. Draco fece di tutto per non guardarsi troppo intorno e gli diede subito le spalle, fingendo di cercare qualcosa nella borsa scolastica.
« Ci siamo. » sogghignò, indicando il cielo con il mento. « E' in arrivo una bufera come quella di ieri ».
Blaise e Theo misero i nasi all'aria. Quello di quest'ultimo era rosso e gelato. « Vuoi dire che mi sono svegliato di buon'ora per niente? »
« Ma che ti importa? » intervenne Pansy, l'orlo del cappellino di lana che le sfiorava gli occhi. « Avremo la mattinata libera... ti sembra poco? »
« Senza Firewhisky non ha senso avere tempo libero » commentò Theo lugubre.
Il vento soffiò più forte, la neve cominciò a scivolare piano sopra di loro. I Grifondoro, tutti ammucchiati sotto un grosso albero, si stringevano nei mantelli con aria paziente. I Serpeverde, invece, facevano sempre più passi verso il castello, guardando nervosamente il cielo; alcuni erano addirittura arrivati a metà collina.
E poi, dal retro della capanna, Hagrid spuntò. Non era molto più coperto del solito e sorrideva come se fosse già Natale. « Bella giornata, eh? »
I Grifondoro stirarono le labbra in un sorriso non troppo convinto. I Serpeverde lo insultarono sottovoce.
« Allora... Silente mi ha consigliato di sospendere la lezione. » cominciò, e nemmeno il tempo di finire la frase, che Draco e Pansy si fecero già largo per svignarsela. « Però io ci ho detto: cosa vuole che sia un po' di neve! » i due si arrestarono, sconvolti. « Se dovesse mettersi male fuggite subito nel castello, okay? »
E senza dar peso alle espressioni sconcertate, rabbiose e sfinite che lo circondavano, Hagrid prese un mazzo enorme di chiavi dalla tasca e lo agitò con allegria. « Badate bene... avevo in mente una grande lezione per oggi, ma dato che il tempo è così... l'ho rimandata alla prossima volta. Però non vi preoccupate, ho lo stesso qualcosa da farvi fare. Per esempio aiutare i miei ragazzi del terzo anno che... beh... non è colpa loro, ma gli Schiopodi di quest'anno sono più tosti, e ci hanno bisogno di sgranchire le zampe prima delle vacanze! »
A quelle parole, il caos.
Draco dovette appoggiarsi a Tiger e Goyle per sostenersi; Blaise e Theodore boccheggiarono, Pansy allargò gli occhi scioccata. Dal gruppo di Serpeverde si levò un secondo mare d'insulti, stavolta non coperti bene nemmeno dal vento che fischiava forte; perfino i Grifondoro erano scossi. Addirittura Potter, il cocco di Hagrid, provò a fargli cambiare idea.
« Ma Hagrid... » intervenne timidamente, « c'è proprio bisogno? Sicuramente avranno freddo... »
« Ah, Harry! » Hagrid gli batté una mano sulla spalla, emozionato; evidentemente pensava che Harry avesse a cuore la salute degli Schiopodi. « Non ti preoccupare. Loro sono resistenti e non vedono l'ora! »
« Ma guarda il tempo... » tentò Ron Weasley, con l'aria meno coraggiosa di sempre, « sta già nevicando... non pensi che sarà pericoloso tra poco? »
« Pericoloso! Ma figuriamoci! Come vi ho detto, se si mette male mettete al sicuro il vostro Schiopodo e poi tornate al castello! Pericoloso... ah! Sarà divertente! »
E Hagrid, i capelli e la barba già coperti di neve, cominciò a condurli verso il retro della capanna. I Grifondoro, mesti e scontenti, lo seguirono. Draco rimase inchiodato dov'era.
« Se lo può scordare, il bifolco. » sbottò, il vento che gli graffiava la faccia. « Schiopodi Sparacoda... ci mancava questa! Io mi rifiuto. Non vi ricordate cosa successe al quarto anno? Nessuno ne è uscito vivo. » Disse con aria drammatica. « Io torno indietro ».
Pansy annuì vigorosamente. Blaise, invece, era indeciso. « Ormai però ci ha visti. Come facciamo a tornare al castello come se niente fosse? »
« E' la sua parola contro la nostra » rispose subito Draco. « Torniamo, ci prendiamo qualche Pasticca Vomitosa e ci facciamo ricoverare. Meglio malato che... spuntino di quelle belve ».
Ma Blaise non era ancora convinto. « E io dovrei passare l'intera mattinata in infermeria? Meglio due ore di Schiopodi ».
« Blaise, quei cosi ti uccidono a distanza! »
« Sarà, ma ci dev'essere un'altra alternativa, no? » Blaise guardò tutti con aria cospiratoria. « Ho un'idea... ognuno di noi fa scappare apposta il proprio Schiopodo; in pochi minuti ci sarà il caos per recuperarli e noi potremo andarcene senza essere notati ».
Dieci minuti dopo, ognuno di loro aveva uno Schiopodo Sparacoda al guinzaglio.
Sulle prime, quella di Blaise era sembrata un'ottima idea. Peccato per qualche piccolo inconveniente che, secondo Draco, non aveva considerato.
Prima di tutto, quel coso che gli camminava davanti era lungo almeno il triplo di lui. Il che già bastava, sinceramente, per poter girare i tacchi e andarsene. Poi la neve si era infittita decisamente troppo, e il vento ululava come impazzito. Ultima cosa, ma non meno importante, quei mostri rivoltanti erano davvero tosti come quell'idiota aveva detto.
Anzi, non tosti; fuori di senno. Se soltanto, ecco, avessero avuto senno.
Il loro comportamento quel giorno era a dir poco agghiacciante, e ben presto la situazione sfuggì di mano a tutti. Gli Schiopodi più tranquilli correvano, scavavano buche nella neve, tentavano di arrampicarsi sugli alberi e cercavano invano di togliersi il guinzaglio.
Tutti gli altri assalivano direttamente il loro accompagnatore sparando pungiglioni, provocando gravi scottature o aggredendo i propri simili quando li incontravano.
Inutile dire che il piano di Blaise fosse stato dimenticato nel giro di un paio di minuti; lasciar fuggire gli Schiopodi era quasi più pericoloso che tenerseli vicini.
« Immobilus! » ruggì Draco tentando di mirare il proprio Schiopodo che, dopo una corsa sfrenata, cercava di attaccare quello di Millicent Bulstrode. « Stupeficium! Ah, maledetti cosi... »
Ma non era l'unico ad aver estratto la bacchetta. Tutti quanti, dopo aver opposto una resistenza più o meno pacifica, cercavano ora di sbrigarsela con la magia. Hagrid era chissà dove, e intanto la base della collina, attaccata ferocemente dal vento e dalla neve, brulicava di Schiopodi e studenti disperati.
Draco aveva le dita congelate e i nervi a pezzi; cercò con tutte le sue forze di tirare via il suo Schiopodo, senza successo. Attorno a lui sembrava il finimondo.
La tormenta di neve non permetteva di vedere niente; alla sua vista soltanto alcuni compagni Serpeverde. Pansy strillava e, in contemporanea, cercava di evitare il pungiglione del proprio Schiopodo; Theodore si difendeva dal suo colpendolo con palle di neve; Daphne era riuscita a Trasfigurare la ventosa in una grossa margherita.
« Draco! » urlò Pansy mollando una volta per tutte il guinzaglio. « Mi sono rotta! Io me la batto! »
Draco non poté nemmeno guardarla; il suo Schiopodo, a tradimento, cercò di ficcargli il pungiglione in un occhio.
Urlò a pieni polmoni e, senza alcun ritegno, agguantò Pansy per la manica e se la trascinò attraverso la neve.
Dietro di loro, i due Schiopodi li inseguivano schioccando e raspando lungo la strada.
« Ma non potrebbero divorarsi tutti a vicenda? » sbottò Draco atterrito, rimbalzando sulla neve.
Nemmeno riusciva a vedere dove stava andando! Senza smettere di correre, sia lui che Pansy saltarono Potter che giaceva lungo disteso nella neve, puntato dal suo stesso Schiopodo.
Poi il miracolo. Attraverso la bufera, ecco spuntare la sagoma della capanna di Hagrid.
Non ci fu tempo da perdere; Draco la raggiunse in un baleno, Pansy si infilò nella fessura della porta e fecero per chiuderla. Qualcuno la trattenne dall'esterno.
« Sono io! » sputò Theo, senza fiato.
Lo fecero entrare; questi cadde sul pavimento come un sacco di patate. Sbatterono la porta e, a giudicare da due identici tonfi sinistri, gli Schiopodi ci finirono spiaccicati.
Una volta al riparo dal freddo e dal vento, tutti poterono riprendere fiato. Draco era livido, oltre che terrorizzato. « Quel deficiente ha davvero passato il limite stavolta! »
« Non parlare così di Hagrid! »
I tre Serpeverde si voltarono. Seduto sul letto di legno, stava uno scosso Neville Paciock.
Draco scoppiò in una risata tetra. « Oh, lui ti piace, vero? E' un insegnante in gamba, giusto? Allora perché non te ne vai là fuori a fargli da galoppino? »
« Giusto, togliti dai piedi Paciock. » Pansy corse alla finestrella della cucina. « Non eri un Grifondoro? Che ci fai qui? »
Neville si mosse nervoso. « E dove dovrei essere? Guardate che sono tornati quasi tutti al castello. Io non ce l'ho fatta perché avevo quello Schiopodo che mi attaccava e... »
« Ma dove diavolo è finito Blaise? » sospirò Pansy, attaccata al vetro.
Draco e Theo si avvicinarono con lei. Non si vedeva praticamente niente. Potter doveva essersi rialzato ed era finito chissà dove; Dean Thomas comparve per un momento, inseguito a corsa da cinque Schiopodi; e poi una figura si vide da lontano, che scagliava incantesimi a raffica.
Era la Granger.
« Quella stupida! » soffiò Draco, senza potersi frenare. « Ma perché continua a stare lì in mezzo? »
Il tempo di avvistarla, che la Granger era sparita di nuovo. A Draco non servì l'occhiata divertita che gli lanciò Theo per vergognarsi. Non ce n'era bisogno.
Qualcosa di simile alla preoccupazione, adesso, lo attanagliava.
Dopotutto era una donna. Anche se era una strega, poteva aver bisogno di aiuto. E se fosse rimasta ferita? E se uno Schiopodo fosse riuscito a divorarsela? Non ci voleva un genio per capire che, come cosa, non andava affatto bene.
Okay, la Granger in fin dei conti non era più sua... e gli aveva anche bruciato la camicia. Però insomma, forse qualcosa doveva fare.
Forse.
Prima che potesse giungere a una decisione, dalla finestra si vide Hagrid che, assieme a Ron Weasley, faceva Levitare alcuni studenti verso il castello. Schiopodi impazziti gli correvano intorno. Poi Pansy urlò.
« Guardate! E' Blaise! »
Indicò tremante un punto alto. Con sbigottimento, videro Blaise seduto abbastanza comodamente nel groviglio dei rami di un grosso albero. Sotto di lui, tre Schiopodi cercavano di arrampicarsi furiosi. Agitò la mano verso di loro.
« Vado da lui ».
« Ma sei impazzita? » boccheggiò Theo.
Pansy nemmeno lo ascoltò. Sfoderò la bacchetta e si sistemò meglio il cappellino di lana sulla testa.
« Volete lasciarlo lì da solo? »
« No, ma... » Theo era riluttante. « Come facciamo a raggiungerlo? Quelle bestie sono dappertutto! »
« Lo so, ma Blaise potrebbe essere ferito... Theo, mi farai Levitare sull'albero con lui, poi io farò lo stesso con te, e infine toccherà a Draco! Ve la sentite? »
Entrambi deglutirono. Adesso che erano al sicuro nella capanna, trovarsi di nuovo alla mercé degli Schiopodi non era il massimo della vita.
Nonostante nessuno dei due avesse dato il proprio consenso, Pansy raggiunse la porta. La aprì di scatto; uno Schiopodo entrò dimenando le zampe. Neville Paciock balzò sul letto tirandosi la coperta fin sopra la testa.
« Impedimenta! » gridò Pansy.
Lo Schiopodo rallentò i suoi movimenti. I tre Serpeverde non persero tempo e si gettarono di nuovo nella bufera; Pansy prese a correre velocissima verso Blaise. Fu talmente rapida che Theo dovette eseguire l'incantesimo di Levitazione a metri di distanza, e la ragazza fu sull'albero proprio un istante prima che il pungiglione di uno Schiopodo le colpisse il piede.
« Sbrigatevi! » urlò Blaise mentre aiutava Pansy a salire.
Ma era una parola. Draco si ritrovò, in un solo momento, a maledire tutti quanti: ogni singolo maledetto Schiopodo, ogni millimetro di neve che gli impediva di vedere a un palmo dal naso e quegli sconsiderati dei suoi amici che, anziché metterlo in salvo, gli facevano rischiare la vita.
La tormenta era così fitta che non capiva nemmeno dove stava andando.
Di fronte a lui, non si sa per quale motivo, Theo urlava – le cose erano due: o era riuscito a salire sull'albero, o uno Schiopodo gli aveva divorato un braccio.
Draco avanzò ancora di qualche passo, la bacchetta sguainata; e poi l'attacco mortale.
Così, senza preavviso.
Un dolore lancinante, bruciante gli scoppiò sulla gamba. Fu qualcosa di orribile.
Gridò, guardò in basso e desiderò non averlo mai fatto. Uno Schiopodo aveva spalmato la sua ventosa su di lui.
Era disgustoso. E lui aveva finito di essere vivo.
Draco, non senza una certa virilità, ne era certo, si accasciò al suolo.
Forse era svenuto. O forse il suo corpo si era rassegnato alla triste fine; non lo sapeva. Ma qualcuno gridava, e un attimo dopo il peso dello Schiopodo scomparve.
Il bruciore, però, era straziante. Con il viso sepolto nella neve, Draco si domandò remotamente cosa ne sarebbe mai stato di lui.
Forse sarebbe marcito lì, ai piedi della capanna di Hagrid. Forse si trovava proprio nell'orto delle zucche.
Draco Malfoy giace qui, nell'orto delle zucche.
E dire che il mondo era pieno di così tanti bei posti.
Tutto ciò era terribile.
Ma, e non avrebbe saputo dire come, qualcosa come cinque minuti dopo il freddo era diventato solo un ricordo. C'era tanto calore, una discreta puzza, fin troppa luce. Era tornato nella capanna di Hagrid, e lui doveva essere seduto ai piedi del camino. Draco, il capo poggiato al muro, quasi non voleva aprire gli occhi.
Vicino a lui qualcuno sfaccendava. Rovesciava bottigline, libri. La gamba gli esplodeva di dolore istante dopo istante. E poi una voce.
« Neville! Vai a chiamare un insegnante, presto! Coraggio, non ce n'è più nemmeno uno! »
Quella voce.
La sorpresa fu tanta che sobbalzò, spalancò gli occhi e sbatté la testa su un ripiano posto proprio sopra di lui. Perfetto: aveva la testa spaccata a metà.
« Non muoverti ».
Hermione Granger si era appena accovacciata vicino a lui.
Evitava con cura il suo sguardo; tra le mani, un panno umido e una fiaschetta con un liquido ambrato.
Draco non si curò di essere letteralmente a bocca aperta. La fissava come se non la vedesse da trenta, cinquant'anni. E un po' era così.
Quasi gli sembrò strano che fosse rimasta identica a come l'aveva lasciata circa dieci giorni prima. Per lui erano passati millenni. Lei era diventata così irreale, irraggiungibile... lontana. Adesso invece Hermione Granger gli stava a meno di venti centimetri di distanza, ed era troppo, troppo così, senza preavviso.
Soltanto adesso si ricordava di essersi fatto male alla testa. Draco vi portò una mano con una smorfia di dolore.
« Distendi la gamba » gli disse lei, il tono incolore.
Lui eseguì, sempre senza osare dire una parola. Hermione ebbe un attimo di incertezza; poi, delicatamente, afferrò l'orlo dei pantaloni e gli scoprì la gamba fino al ginocchio.
Draco non poté guardare. Aveva intravisto una ferita enorme, bruciata, rossa come il fuoco. E continuava a fargli un male cane.
Lei osservava con l'interesse distaccato che avrebbe dedicato alle pagine di un libro.
« Ascoltami: ti ci passerò un po' di questa pozione. » lo avvertì, sempre senza guardarlo nemmeno per sbaglio, e intinse il panno con poche gocce della fialetta. « Non ti guarirà, ma allevierà il dolore ».
Draco la osservò, pur diviso com'era tra il dolore alla testa e quello alla gamba. Di sicuro era meglio guardare lei che quella ferita schifosa.
La Granger era tesa, forse un po' nervosa. E, ancora, era veramente lì.
Mai e poi mai si sarebbe aspettato di incontrarla così presto. Men che meno in quelle condizioni.
Maledizione!
Erano addirittura soli, era anche un momento intimo, per così dire... e lui era lì come un salame senza avere la minima idea di cosa dirle! Avrebbe dovuto prepararsi qualcosa, essere sempre pronto.
Invece aveva toppato. L'avrebbe delusa anche questa volta.
Era così strano vederla, guardarla. Erano così familiari quei ricci scombinati, che già cominciavano ad incresparsi per il calore. E quella riga centrale che le spuntava sulla fronte quando era concentrata su qualcosa. E la bocca... la bocca no, non doveva guardarla. Anzi, non doveva guardare proprio niente di lei.
Ogni singolo centimetro di quella ragazza lo confondeva.
« Stai fermo... »
Hermione, sempre con molta delicatezza, poggiò il panno qua e là sulla ferita bruciante. Draco rabbrividì; gli sfuggì un gemito di dolore che gli scosse le spalle. Ma lei continuò a tamponare la ferita.
Non voleva guardarlo. E Draco lo sapeva bene.
C'erano troppi pericoli in quei pochi metri quadrati di casa. Troppi rischi.
Era chiaro come il sole che la Granger lo avesse soccorso non perché fosse lui, ma per la sua innata predisposizione al salvataggio umano – un po' come Potter. Anzi, il fatto che proprio si fosse trattato di Draco, poco prima doveva averle scatenato una feroce lotta interiore.
Lasciarlo lì a marcire, come giustamente meritava?
La tentazione doveva essere stata forte. Draco, al posto di lei, lo avrebbe sicuramente fatto. E invece no. Si stava prendendo cura di lui.
E anche se la Granger era fredda, silenziosa e scostante, Draco non poté fare a meno di sentirsi coccolato.
Insomma, lei era la sua infermiera. Un sogno che si avverava.
Finalmente la Granger aveva smesso di attaccarlo mortalmente, come aveva sempre fatto in quei mesi, e si era schierata dalla parte giusta; finalmente si comportava in modo decoroso! Era incredibile vederla così attenta, così delicata, quando soltanto poco tempo prima lo aveva riempito di schiaffi, spintoni, pizzicotti e incantesimi orrendi. Beh, come minimo avrebbe dovuto ringraziarla...
Draco era così perso nei suoi pensieri che nemmeno faceva più caso al dolore alla gamba. La Granger continuava a medicarlo in silenzio.
Non c'era molto tempo. Molto presto Paciock sarebbe tornato con un insegnante, e allora addio momento perfetto. Doveva dirle assolutamente qualcosa. Emettere un suono che non lo facesse sembrare un bambino piagnucoloso. Dirle qualcosa di profondo, intelligente, sensato.
Dichiararsi appassionatamente lì, con quella ferita nauseabonda tra di loro e la puzza della capanna di Hagrid a regnare sovrana.
Nah, meglio evitare.
Ma doveva parlarle. Solo che non sapeva cosa dirle.
La trovava bellissima, così concentrata, così intoccabile mentre il riverbero del camino gettava luce sul suo viso. Maledizione.
Poi Draco si sistemò meglio contro il muro, distolse lo sguardo da lei e meditò sulla disgrazia della propria vita. Un pensiero lo fulminò.
« Morirò? »
Non aveva trovato altro da dire. Ma l'angolo della bocca della Granger si sollevò di un millimetro – da lui non si sarebbe aspettata altro. Aveva ancora gli occhi bassi.
« Non morirai » rispose tranquilla.
« Dovranno amputarmi la gamba? »
« Ma certo che no. Non è difficile da medicare ».
« Allora non potrò mai più camminare... »
« Malfoy, non fare il drammatico ».
« Mi sono visto passare tutta la vita davanti ».
La Granger non rispose. Aveva finito di medicare la ferita. Si alzò e, forse contenta di dargli finalmente le spalle, andò a sciacquare il panno sotto l'acqua corrente.
Draco le guardava la schiena sentendosi avvolgere da quello sgradevole silenzio. Lo scambio di battute, se possibile, gli aveva ridonato un po' di sicurezza in se stesso.
Se non altro, gli parlava. Gli parlava civilmente.
Non lo guardava e non gli sorrideva nemmeno a pagare oro, ma almeno era disposta a scambiarci qualche parola. Doveva per forza essere un segnale positivo. No?
Hermione continuava a stare lì, a quel lavabo. Sicuramente ci stava mettendo più tempo apposta. Draco la vide voltare appena la testa verso la finestrella. Forse non vedeva l'ora che arrivasse qualcuno, così avrebbe potuto condividere la presenza di Draco con qualcun altro – oppure, come lui sospettava, togliersi finalmente di torno.
Ma non poteva permettere che succedesse. Non poteva e basta.
« Granger... »
« Sì? » gli domandò, ancora di spalle.
« La ferita mi brucia ancora. Fa malissimo ».
Bugia.
Ma dal momento che lui non poteva alzarsi né camminare, aveva bisogno che la Granger si trovasse almeno a un metro da lui per poterle parlare sul serio.
Funzionò, perché lei tornò da lui subito, sempre con la fiaschetta ambrata tra le mani. Forse aveva capito che era soltanto una scusa, ma non voleva doverglielo chiedere.
Preferiva medicarlo piuttosto che parlargli. Considerando ciò, Draco, se possibile, la vide ancora più lontana da sé.
Erano stati una cosa sola, una volta. Ma lui, soltanto lui, aveva rovinato tutto quanto.
« Perché mi hai salvato? »
Doveva farla parlare – anche arrabbiare, magari. Lei per un attimo parve spaesata, mentre gli medicava per la seconda volta la ferita. Non si sarebbe mai aspettata una domanda così diretta.
« Non potevo certo lasciarti lì. » rispose serafica. « Sono una Caposcuola ».
« Guardami ».
« Come? »
« Non mi hai guardato in faccia nemmeno una volta ».
Ma lei non lo fece, nemmeno con un invito così palese. Si morse le labbra e semplicemente finse che l'ultima frase di Draco non ci fosse mai stata.
Si alzò, cogliendolo di sorpresa, e si allontanò fino all'altro lato della capanna. Rimase lì ferma e in silenzio, il panno umido ancora in una mano.
Draco avrebbe preferito vederla urlare. Ma non così.
Non così.
« Granger, torna qui ».
Lei scosse il capo. « Vado a cercare qualcuno ».
Fulminea, si voltò e afferrò il mantello che aveva lasciato su una sedia.
Draco non poté sopportarlo; contro ogni logica, contro anche se stesso, fece forza sui palmi delle mani e, aiutandosi con la gamba sinistra, tentò maldestramente di mettersi in piedi. Gli bastò sollevarsi di pochi centimetri per avvertire girar la testa in modo spaventoso.
La Granger era subito corsa da lui.
« Ma cosa stai facendo? » sbottò, e toccandolo leggermente sulle spalle, cercò di riportarlo giù. « Sei impazzito? Devi riposare! »
« Maledizione, Granger! Sono già mezzo morto e tu non hai nessuna pietà! »
In tutta risposta, lo spinse a terra e lo aiutò a distendere anche la gamba sinistra. Draco, con il fiato corto, si lasciò andare contro il muro.
Era stremato, il viso pallido e un mal di testa atroce. Tutta colpa della Granger, ovviamente.
Lei lo torreggiava con le mani sui fianchi.
« Non farlo mai più, Malfoy! » era rossa di rabbia, la fronte imperlata di sudore. « Non ti devi muovere! Sei ferito! Finché non sarai da Madama Chips non ti devi azzardare a... »
« La pianteresti di gridare, di grazia? »
« No! Devi capire che la ferita che hai non è una sciocchezza! »
« Mi avevi detto che non sarei morto! »
« E infatti non è questo che intendo... oh, ma perché diavolo ti ho salvato? »
« Perché il mondo non sarebbe lo stesso senza di me ».
Adesso, finalmente, la Granger lo guardava negli occhi. Ma non era lo sguardo romanticamente diabetico che Draco si era aspettato.
No, era qualcosa di diverso. Molto.
Mettiamola così; se Draco avesse avuto entrambe le gambe sane, sarebbe scappato.
Però, nonostante tutto, non era così arrabbiata. Qualcosa gli suggeriva che se non fosse stata così maledettamente orgogliosa, avrebbe anche riso di lui. O con lui.
In ogni caso, qualcosa si era appena sbloccato. Le aveva fatto prendere uno spavento, si era irritata. E soprattutto, adesso lo guardava. Draco, suo malgrado, si sentì rabbrividire.
Il caos dentro di sé cominciava a prendere una forma sempre più definita.
« Resta qui ».
Con me.
Un fiotto d'aria uscì dalla bocca semichiusa di Hermione.
Fu costretta a distogliere lo sguardo da quello di lui e, voltandosi, incrociò le braccia sulla vita, sul mantello pesante che aveva indossato in fretta e furia.
Draco indovinò che non se l'era aspettato – quella richiesta con quella voce, con quello sguardo, con quel silenzio tanto perfetto.
Si complimentò con se stesso per il tempismo. Adesso la Granger era come spalle al muro.
Toccava a lei la prossima mossa. Ci stava soltanto pensando. Ma lui non poteva permettere che pensasse troppo. Ogni volta che lo faceva, succedeva qualcosa di catastrofico.
La Granger era pericolosa quando pensava.
« Sfogati. » la provocò, tranquillo, cercando di farla reagire. « So che non vedi l'ora di urlarmi addosso. E in questa particolare occasione sarei anche abbastanza masochista da lasciartelo fare ».
Hermione piegò un poco la testa in avanti. Draco non poteva vederla, ma immaginò che avesse respirato profondamente – quasi tentata di accettare l'invito che soddisfaceva la tentazione provata soltanto nel rivederlo, bloccata però in tempo dal proprio, indomabile orgoglio.
Sbraitargli quanto male le avesse fatto, quanto ingiuste fossero state quelle parole, equivalevano a una vittoria per lui. E lei non gli avrebbe mai dato una simile soddisfazione.
« Perché vuoi che lo faccia? » gli domandò Hermione, quasi vagamente.
« Perché tu lo vuoi » replicò Draco.
« Ti sbagli. Ti sorprenderà saperlo, ma non ho veramente niente da dirti ».
« Prevedibile, Mezzosangue. » sbottò, e sentendosi chiamare in quel modo, Hermione incrociò i suoi occhi. « Preferiresti perdere un braccio piuttosto che darmela vinta, vero? Guardati... rigida come un pezzo di legno. Vuoi far finta di non avere emozioni, ma io ti conosco troppo bene. Con me non funziona. Io so che ti sei arrabbiata molto, Granger... mi hai bruciato la camicia ».
« E' stato fatto freddamente ».
« Cosa? »
« Non l'ho fatto urlando o piangendo. E' stato il mio modo per... »
« ... liberarti di me. Ma non ha funzionato. Tu hai pianto ogni singola notte e ogni singolo giorno. E vorresti farlo anche adesso. Sei un libro aperto per me ».
Hermione sostenne il suo sguardo per una manciata di secondi; poi lo distolse.
Si avvicinò alla finestrella e guardò fuori come se non avesse sentito l'ultima frase, e lei fosse soltanto lì ferma perché magari si annoiava.
Ma Draco sapeva che, dentro quella ragazza, una guerra si scatenava da ben prima che loro due si fossero incontrati quel giorno. Così come allo stesso modo succedeva dentro di lui.
Sembrava così facile, all'apparenza, risolvere quelle situazioni.
Parlarne, gridare un po', lasciarsi tutto alle spalle e fare pace. Ma trovarsi lì dentro... era un'altra cosa. C'erano cose troppo grandi e troppo misteriose a dividerli.
Lui sapeva tutto di lei; e anche la Granger, che non era stupida, doveva aver capito che tutte quelle domande provenivano dai suoi sensi di colpa.
Sapeva che Draco si era pentito di tutto, tutto quanto.
Sapeva che voleva portarla, lentamente e come soltanto lui sapeva fare, a considerare la possibilità di ricominciare a frequentarsi.
Ma quelli erano tutti concetti astratti. Non c'era nulla di concreto.
Perché lui non avrebbe mai davvero avuto il coraggio di chiederle scusa, e lei di perdonarlo. Nessuno dei due riusciva a mettere in pratica ciò che davvero voleva. Draco per primo.
E questo, che poteva sembrare solo un piccolo passaggio, era in realtà l'oceano di incomprensione che ancora lo divideva da lei. Erano nella stessa capanna, ma distanti come se non riuscissero a vedersi.
« Stanno arrivando ».
Draco guardò Hermione che, mordendosi le unghie, seguiva con lo sguardo qualcosa al di là del vetro. Si sentì infastidito. E forse anche lei stava pensando la stessa cosa.
Ancora un minuto lì, da soli, e poi più niente.
Poi tutto sarebbe tornato come in quei giorni.
Il calore sarebbe tornato gelo. Il mondo, là fuori, avrebbe ricominciato a girare mentre loro erano stati capaci di condividere un momento – di così fortunata solitudine – senza concludere niente.
Hermione lo guardò e si abbandonò totalmente negli occhi di Draco, come disarmata.
Lui avrebbe voluto alzarsi e andarsela a prendere fino ad affondare la bocca in quella di lei.
Il fuoco del camino gli bruciò il viso, la ferita sulla gamba riprese a pizzicare – ma no, il dolore più forte non era quello.
Hermione aveva gli occhi lucidi. Draco aprì la bocca per dire qualcosa. Non uscì nessun suono.
Passi all'esterno della capanna. Voci alte e concitate.
Hermione saettava lo sguardo da Draco alla porta, i denti sulle labbra.
« Vieni a trovarmi in infermeria stasera ».
Lei gli restituì uno sguardo perso, lo sguardo di chi non ha la minima padronanza di se stessa.
Subito dopo, Hagrid, Neville e il professor Piton irruppero nella capanna. Il silenzio andò in mille pezzi.
Hagrid, pieno di neve, fissò la ferita di Draco.
« Oh beh... a volte succede, eh? » sdrammatizzò.
Draco, che non era in vena, si accontentò di arricciare il naso a suo indirizzo.
Piton si fece avanti a labbra strette, puntandogli la bacchetta sulla gamba. « Ferula » sibilò, e un fascio di bende avvolse la ferita. « In infermeria per almeno tre giorni direi, signor Malfoy ».
Ma lui non disse niente. Fu accompagnato al castello attraverso la tormenta, e poi adagiato su un letto nell'infermeria al primo piano.
Dentro di sé, un tetro presentimento.
E infatti, quella sera, Hermione Granger non andò a trovarlo.





- Titolo del capitolo tratto da "Fragile tension", Depeche Mode.

The TheatreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora