17. Blackout

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La fantasia si può paragonare

al sogno di Adamo: Adamo si destò,

e scoprì che era verità.

John Keats

Harry James Potter non era mai stato un tipo di molte parole, ed era solito consumare quelle poche che aveva in un basso numero di argomenti ben distinti e valutati. O almeno, così avrebbero dimostrato i tristi risultati di uno studio attento. Si diceva che oltre agli allenamenti di Quidditch e all'aiuto che sovente richiedeva per i compiti, quest'ultimo diretto quasi esclusivamente alla cerchia stretta di amici, le occasioni in cui il Ragazzo Sopravvissuto spiccicava parola erano talmente sporadiche da poter essere scambiato tranquillamente per un sordomuto.
La verità era che Harry e le parole non andavano proprio d'accordo. Sfuggirle avrebbe tirato fuori l'eroismo più temerario della sua indole; era di gran lunga preferibile fronteggiare Basilischi al posto di conversazioni cuore a cuore, un Piton infuriato anziché un discorso serio, un anno intero dai Dursley a costo di sfuggire a una confessione. No, gli argomenti che gli si adattavano si potevano enumerare facilmente sulle dita di una mano, e Harry, ostinato, se li teneva stretti al petto con grande fermezza.
Erano tante le cose che non sapeva fare, ma l'essere sensibili era un'attività che nell'ultimo periodo cominciava a pesargli in modo non indifferente. Lui non ci riusciva proprio, a capire la gente. Sapeva che c'erano persone, come Hermione, così acute da intuire al volo gli abissi problematici in cui talvolta si sprofondava, e con qualche parolina magica ecco che riuscivano a veder chiaro la situazione e ad offrire il proprio prezioso incoraggiamento. Tutto ciò richiedeva una gran dose di cervello, obiettività, concretezza. In poche parole, non era un lavoro adatto a lui.
Considerate dunque queste premesse, era forse una fortuna che i suoi due migliori amici fossero ormai abituati a riscaldare la sua compagnia con gli argomenti precedentemente accennati. Con Hermione era uno snocciolare ininterrotto di compiti, e con Ron avrebbe potuto parlare unicamente di Quidditch fino alla fine dei suoi giorni. Erano tutte cose tranquille, per i suoi standard; niente che mettesse a dura prova la sua poco sviluppata vena sentimentale, a meno di non contare la reale commozione di Ron quando, qualche settimana prima, i Cannoni di Chudley erano finalmente riusciti a portarsi quinti in classifica. In quella situazione Harry aveva scambiato la sua reazione intenerita per una dispiaciuta, e allora si era precipitato a commentare il lato realistico della vicenda - le scarse prestazioni fisiche dei giocatori dei Cannoni, l'età che non era più la stessa, i riflessi deboli, le vittorie passate che comunque fungevano da consolazione. Ron non gli aveva rivolto la parola per tre giorni.
Al di là di questi comunissimi errori, come era più semplice giudicarli, Harry in cuor suo sapeva che i sentimentalismi non gli sarebbero rimasti lontani troppo a lungo. Lo inseguivano, fluttuavano nell'aria circostante, e a tradimento si ficcavano nei corpi delle persone più insospettabili del pianeta; e allora lui ne veniva avvinghiato, intrappolato, e non c'era più niente da fare. I sentimentalismi vincevano sempre, erano tenaci. Per questo non si sorprese più di tanto, quel giorno, nel venire scaraventato così improvvisamente su lande di desolata e inarrivabile incomprensione; e ancora meno sconcertante, in verità, era che gli stessi fautori della sua rovina risultassero proprio le persone di cui si era sempre così ciecamente fidato. Adesso sentiva di capire zio Vernon quando brontolava, in sua presenza, di aver allevato una serpe in seno.
Harry si ritrovò a sospirare pesantemente.
Amore! Che lui, l'essere impacciato, insensibile e meno affettuoso per antonomasia si ritrovasse così drammaticamente imprigionato in una conversazione d'amore!
Lui che di donne non era mai riuscito a capire un accidente, che a malapena riusciva a salutarle al mattino senza impappinarsi nella propria voce, che aveva sofferto come un elfo domestico nell'invitare Cho, qualche anno prima, a quello stramaledetto Ballo del Ceppo; lui che detestava le loro parole, sempre strapiene di reconditi e assurdi significati, le loro risatine isteriche, indice di apprezzamento e derisione in egual modo, i loro sguardi ammiccanti, che ti inducevano a riflettere per ore intere se per caso ti stessero prendendo in giro oppure no.
Qualcuno doveva avercela con lui, si disse pietosamente. Non era l'unico amico di Ron; c'erano anche Dean, Seamus, Neville. Eppure, dov'erano finiti? Perché tutti sembravano averlo abbandonato in un momento tanto tragico?
Intanto, Ron continuava a stare disteso sul letto. Fortuna che stesse fissando il soffitto; Harry non avrebbe voluto farsi beccare nel guardarsi disperatamente intorno alla ricerca di un Neville miracolosamente nascosto sotto a un letto.
Non avrebbe mai dimenticato come esattamente fossero andati a impelagarsi in un discorso tanto pericoloso.
« Dici che è colpa mia? »
Harry si era subito raggelato. Il tono di Ron era stato inconfondibile. Per quanto poco affine fosse ai sentimentalismi, infatti, un simile tono non lasciava adito a nessuna speranza; era quello utilizzato quando si aveva qualcosa di importante da dire, e si cercava una sorta di appiglio dall'altra parte. Harry si era subito voltato verso l'amico, e aveva visto Ron spuntare appena dalle falde rosse del letto a baldacchino.
« Ehm... riguardo a cosa? »
Aveva sperato che fare il finto tonto avesse aiutato. Magari Ron non sarebbe riuscito ad esprimersi con chiarezza e avrebbe preferito parlare di Quidditch.
Eppure erano valsi sì e no pochi istanti perché l'altro si accigliasse, confuso. Harry aveva capito al volo che la vagonata di parole era in arrivo, e sarebbe stata scaricata su di lui, che vi avrebbe annaspato dentro alla ricerca di aria fresca.
« Bè... non so. » Borbottò Ron in quel momento. « Hermione è parecchio strana in questi giorni ».
Afferrando un cuscino, Harry si distese sul proprio letto e cercò di premerselo sulla faccia. Per un attimo contemplò l'idea di soffocarsi. Poi, in uno sprazzo di pietà per sé stesso, decise che non sarebbe stato poi così male ascoltare senza dover dire niente.
Magari Ron voleva soltanto sfogarsi. Tutto qui.
Niente che necessitasse della sua collaborazione.
« L'altro giorno mi ha detto cose strane. » Continuò Ron, rivolto al soffitto. « Insomma, non proprio strane. Diciamo che sono nella norma. Ma io e lei non siamo nella norma ».
Pur avendo udito soltanto metà frase, Harry annuì con vigore al di sotto del cuscino, sperando che Ron potesse vederlo. Questa si chiamava partecipazione.
« Cioè... è vero, quattro mesi insieme non sono pochi, considerato poi che ci conosciamo da quando siamo bambini... ma Harry, io credo di avere un problema ».
Il Ragazzo Sopravvissuto smise immediatamente di annuire. Di sicuro doveva essere in arrivo qualcosa di agghiacciante. Rimase immobile, deglutendo.
« Ti è mai capitato di avere problemi a scopare con una ragazza? »
Silenzio.
Ron corrugò la fronte in direzione del soffitto. « Harry? »
Nessuna risposta. Il giovane Weasley si affrettò a sporgersi e a scostare la falda. Trattenne bruscamente il respiro. Harry Potter giaceva immobile sul suo letto con un cuscino premuto sulla faccia.
« Harry! »
L'altro si mosse piano. « Gronf? »
« Ah... credevo... niente. » Sconcertato, Ron si stese di nuovo sul materasso. « Dicevo... oh, ho perso il filo del discorso ».
Che peccato, pensò piattamente Harry da sotto al cuscino, che invece ricordava le parole di Ron anche fin troppo bene.
« Ah già, » continuò poi l'amico, « parlavo di Hermione. Stavo dicendo che lei vuole fare sesso ».
Harry si impose di non dire niente e di continuare a fingersi morto.
« Solo che... Harry, tu faresti sesso con Hermione? »
Possibile che Ron non trovasse domande migliori?
Harry cominciò mentalmente a pianificare il proprio testamento. Scosse vigorosamente la testa al di sotto del cuscino, ondeggiandolo sopra di sé.
Ron doveva aver colto la risposta. « Perché? »
A chi sarebbe stata affidata Edvige? Di certo nessuno dei mentecatti che lo circondava avrebbe potuto prendersi cura di lei degnamente.
« Sorella » grugnì con voce soffocata.
E la sua Firebolt, a chi sarebbe stata destinata? In tempi migliori avrebbe pensato a Ron, ma considerando l'abissale tortura a cui lo stava sottoponendo, era già tanto se al momento cruciale lo avesse degnato di un addio.
Preso com'era dalla sua disperazione, Harry a malapena si accorse del lungo silenzio che gravava per la stanza. Ron ancora non rispondeva; e quando lo fece, la sua voce apparve molto pensierosa.
« Sì. La vedi come una sorella, ti capisco. Forse... Harry, ho paura che sia la stessa cosa anche per me ».
Harry si sentì gelare. Rispose con un grugnito interrogativo; Ron non si mosse di un millimetro, gli occhi puntati in alto.
« Vedi... è strano. » Profferì, confuso. « Lei mi è sempre piaciuta. Anche fisicamente, intendo. Solo che non penso mai a Hermione in quel modo... » Ron esitò per un momento, « E' come se fosse sbagliato fare sesso con lei. Miseriaccia, ci conosciamo da così tanto tempo, è di famiglia. Forse fin troppo... Harry, sarebbe come commettere incesto ».
L'altro cominciò a non sentirsi più le gambe. Forse era una Ginny immaginaria che gliele stava tagliando?
« Cioè... forse detta così è un'esagerazione, » ci ripensò Ron, meditabondo, « ma è più o meno come mi sento. Voglio dire, non penso mai a lei. Quando stavo con Lavanda, ecco, quel piccolo periodo... qualcosa facevamo. Qualcosa che con Hermione sembrerebbe così... » cadde il silenzio, « sbagliato ».
Harry ebbe una chiara illuminazione di sé stesso, sottoforma di fantasma, con la testa tagliata. Sì, ecco, sarebbe andato in giro con Nick quasi senza testa; avrebbero fatto davvero una bella coppia, e Harry gli avrebbe raccontato con rammarico di come fosse avvenuto il decesso, ad opera di quella che credeva essere la sua migliore amica e la sua ex isterica e ficcanaso.
« Harry, credi che dovrei dirglielo? »
L'interpellato si prese altro silenzio. « Non so » fu la sua utile risposta.
« Nemmeno io. » Annuì Ron. « Non saprei come spiegarglielo. Hermione mi ammazzerebbe ancora prima di finire il discorso. Miseriaccia » aggiunse, e si prese la testa con le braccia.
Harry scostò piano il cuscino dalla faccia. Guardò la sagoma del suo migliore amico con grande prudenza. Sembrava tutto finito, la più ignobile delle confessioni era stata fatta, e lui, Harry, era pressoché vivo. Prima che potesse gioirne, però, un tonfo sordo li fece sussultare; nel dirigere gli sguardi verso l'entrata, entrambi finirono accecati dalla luce di un flash.
« Ehilà, ragazzi. » Colin Canon sorrise loro al di là della macchina fotografica. « Qualche scatto, permettete? »
« Non c'è niente da fotografare. » Ron si ributtò depresso sul materasso. « A parte la mia disgrazia, s'intende ».
Colin si fece avanti, un sorriso furbo rivolto all'indirizzo di Ron. « Brutta giornata, Weasley? »
« Una specie » si limitò a rispondere l'altro.
Harry, dal canto suo, continuava a guardare torvo la macchina fotografica. « Non finiranno sul giornale, vero? »
Colin, dopo aver scattato una foto a un Ron in stato vegetativo, si voltò verso Harry con aria rassicurante. « Non preoccuparti. È per mio diletto personale ».
E in tutta risposta, Harry si beccò un altro flash in piena faccia. Imprecando tra i denti, riprese il cuscino e se lo piantò sulla testa.
« Dunque, Ron. » Proseguì Colin, e Harry lo sentì sedersi su una sponda del proprio letto. « Dalla tua faccia, direi che si tratta di problemi d'amore ».
Continuando a tenersi la testa nelle braccia, Ron mugolò. « Esatto. Ma né Hermione né nessun altro dovrà saper... »
« Sarò una tomba. » Harry sentì che la voce di Colin era molto sicura e rassicurante. « Fidati, ci so fare in certe questioni ».
Accigliandosi, Harry sbirciò Colin dall'angolo del cuscino. Quando finì accecato per la terza volta, si arrese e tornò a coprirsi.
« Uhm... » Ron sospirò, « si tratta di me e Hermione. La verità è che, bè, comincio a vederla più come una sorella... »
Colin scattò un'altra foto alla sagoma distesa di Weasley. « Oh, sì. Può succedere, quando ci si conosce da troppo tempo ».
« Dici? » Ron era sorpreso.
Colin sorrise, armeggiando con la macchina fotografica. « Certo. La gente tende a dare per scontato che l'aver trascorso l'infanzia insieme sia una garanzia per un amore perfetto. Non dico che ciò non possa accadere, ma capita davvero pochissime volte. E se dopo tutto questo tempo ti rendi conto di vedere Hermione come una sorella, direi che purtroppo voi due non avete avuto questa fortuna. Può succedere ».
Adesso sia Harry che Ron fissavano Colin. Quest'ultimo, lo sguardo impresso sul laccio della macchina fotografica, si strinse nelle spalle.
« Ovviamente devi esserne certo; il tuo potrebbe essere soltanto un capriccio momentaneo. Potresti mandare all'aria tutto quanto per poi scoprire troppo tardi di esserti sbagliato. Dimmi, la ami davvero? »
Harry sentì la mascella di Ron sprofondare nel materasso.
« Ohm... » fu la perplessa risposta.
« Oppure no? » Colin, stupito, inarcò un sopracciglio biondo. « Morgana, se nemmeno sei sicuro di amarla, il problema non si pone. Mi sembra di capire che tu non sia innamorato di lei. Credo che parlare con Hermione una volta per tutte ti solleverà da molte incertezze. Dovrai utilizzare molto tatto, però; una notizia del genere darebbe una scossa traumatica a qualsiasi ragazza. Cerca di divagare, senza arrivare subito dritto al punto; fatti delle domande e ponile anche a lei, in modo che possa lentamente capire dove tu intenda andare a parare. Chissà, magari sarà abbastanza matura da appoggiare le tue parole, e in quel caso potreste rimanere amici senza che il vostro rapporto abbia subìto troppi scossoni ».
Cadde un silenzio sconcertato. La bocca di Ron era spalancata oltremisura e Harry, al di là del cuscino, aveva gli occhi completamente sgranati. Il giovane Weasley si alzò e guardò Colin come se fosse una divinità appena scesa dal cielo.
« Si può sapere come diavolo fai? » Sbottò, impressionato. « Come... miseriaccia, hai capito la situazione meglio di me! »
« Non ci voleva poi molto » cercò di minimizzare Colin con una smorfia.
Ma Ron continuava a guardarlo in trance. « Comunque non sono così sicuro. Di ciò che hai detto, intendo. Io ero ancora rimasto al punto in cui mi accorgo di vederla come una sorella... »
« Ho corso un po' troppo, dici? »
« Mi hai terrorizzato ».
Con uno sbuffo, Ron si rituffò tra le coperte. Colin fece una risatina e si volse verso Harry, che ancora lo guardava sconvolto. Non si era mai trovato di fronte a una simile manifestazione di sensibilità avanzata. Per lui le consolazioni erano pacche sulla spalla e il conforto l'offerta di un tè caldo. Tanto ci avrebbe pensato la bevanda a fare tutto il lavoro. Ma Colin lo aveva a dir poco lasciato di stucco, e ancora Harry non capiva come un maschio potesse raggiungere certi risultati. Oppure non era Colin ad essere così straordinario; forse lui, Harry, era un ritardato, pensò meditando su sé stesso. Che avesse dovuto prendere ripetizioni per imparare a comprendere la gente?
« Per curiosità, » gli domandò Canon in quel momento, « cosa gli avevi consigliato tu esattamente? »
Harry si impensierì. « Ehm... bè... »
Qualcuno, quel giorno, doveva essersi messo d'accordo per indurlo al suicidio. Colin, però, sorrise comprensivo. « Lo immaginavo. Non sei mai stato molto bravo con le parole ».
Harry lo occhieggiò con sospetto. Si fissarono per un momento, poi l'altro rise.
« Sì, me ne sono accorto. Ti ricordi quando durante i primi anni ti chiedevo gli autografi e cercavo ogni scusa per parlarti? Tu non sapevi mai cosa rispondermi, eri così imbarazzato. Forse però la tua è una buona tecnica. Magari sei una persona rispettosa e, a costo di non offendere le persone con brutte opinioni, preferisci tenertele per te ».
Harry sentiva di aver mancato qualche passaggio, ma a costo di non apparire davvero un ritardato, si aggrappò all'unica considerazione che aveva compreso. « No, non... non avevo brutte opinioni. Non le ho nemmeno adesso, se è per questo. Cioè... non su di te, credo. Anzi, no, sono completamente sicuro di non avere cattive opinioni su di te ».
E dire che era addirittura partito con l'idea di non sembrare un'idiota colossale.
Harry si sentì avvampare per il proprio strambo discorso; tuttavia, Colin non doveva affatto aver disprezzato. Al contrario, i suoi occhi erano più luminosi del solito. Poi parve decidere di andarsene, e si alzò dalla sponda.
« Torno di sotto. Buona fortuna, Weasley ».
Ron mugolò un triste assenso. Colin Canon salutò entrambi con la mano e uscì in un batter d'occhio fuori dal dormitorio. Quando la porta si fu richiusa, Harry si rimise disteso e fissò il soffitto come Ron.
« Che tipo, eh? »
Harry annuì, seppur cosciente di essere fuori dalla visuale dell'amico. Poi sentì Ron sistemarsi meglio contro il materasso.
« Quindi cosa ne pensi? Come dovrei dire a Hermione quello che ho appena scoperto? »
Cadde ancora il silenzio. Harry agguantò il cuscino e se lo ripiantò sulla testa.
Decisamente, le parole non avevano mai fatto per lui.

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