24. I want to break free

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Un bacio legittimo non vale mai quanto un bacio rubato.
Guy de Maupassant

Quando i suoi occhi sfiorarono il buio, Draco ebbe la netta sensazione che il mondo avesse appena cessato di ruotare. Tutto si era fermato - il respiro congelato nei polmoni, la schiena paralizzata, lo sguardo a guizzare istintivamente entro le profondità delle tende di velluto nere che occupavano la sua vista.
Rimase, per un istante, in balia dell'oscurità più totale. A guardarsi intorno, a staccare i piedi dal suolo. Scoprì con meraviglia che ci riusciva. Poteva camminare; era libero.
Draco mosse qualche passo chissà dove, avanzando sul pavimento nero come il carbone, le labbra socchiuse e rese aride dalla sorpresa. Era bello sentirsi liberi dentro la propria testa. Camminò ancora, le braccia portate in alto, le dita tese a sfiorare l'immaginario soffitto che aleggiava in alto, da qualche parte. Probabilmente stava distante di un paio di metri, o forse dieci, cento. Non importava; la sedia era sparita, le manette non erano altro che un vago ricordo. E lui poteva avanzare, distendere le braccia, correre a perdifiato, se solo avesse voluto. Avrebbe potuto toccarla.
Draco si arrestò di botto, la fronte increspata, come trovatosi di fronte a un bivio invisibile. Avvertire la pelle della Mezzosangue riscaldarsi sotto le sue dita. Prendere in mano la situazione, agire, smettere di pensare. L'idea gli mise addosso un vago sentore di inquietudine. Si guardò intorno, lasciando che gli occhi si perdessero in ogni traccia dell'oscurità che lo avviluppava, quasi come aspettandosi che qualcosa - lei - sbucasse d'un tratto nelle vicinanze, l'unica abitante di quella visione, dei suoi pensieri, della sua testa. Rimase lì fermo, immobile, il fiato corto che intralciava inevitabilmente ogni sua possibile riflessione. Non mancava molto tempo.
Il sudore gli imperlò delicatamente la fronte; la camicia scolastica cominciò ad aderire fastidiosa alla sua pelle. Attese e attese, irrequieto, nel silenzio tombale a premergli nei timpani come il cuore che gli batté forte contro lo costole quando, proprio di fronte a sé, lei si stagliò decisa contro la notte che le faceva da sfondo. E allora tutto perse di consistenza, tutto divenne vapore. Draco non credeva di aver mai usato tanto gli occhi in vita sua. Stavano lì incollati, decisi, ostinati, premuti forte su ogni centimetro, su ogni curva, su ogni linea. Nessuno li avrebbe mai più scollati, nemmeno pregandoli in ginocchio. La abbracciavano, la svestivano, la rivestivano, e poi la spogliavano ancora, di nuovo, più velocemente, più delicatamente. Avrebbe potuto fare l'amore con lei ad occhi chiusi, solo lasciandosi guidare dal ticchettio di quei tacchi e dal profumo ricamato sul suo collo. Solo per quegli occhi, per gli occhi senz'anima - ma che somigliavano tanto a quelli veri, lo stesso taglio, e la tonalità, e lei.
Non era che un'ombra, un'imitazione fasulla, ma Draco non aveva mai provato più gusto ad essere ingannato. Era divertente, era pericolosa. Era il terreno fradicio di pioggia su cui ti schiantavi, su cui rischiavi di ammazzarti. Era Hermione Granger che si faceva vicina, sorridente, la coda di cavallo ad ondeggiarle sulla schiena e le gambe scoperte che solo a guardarle davano le vertigini.
Draco tese d'istinto un braccio e le dita di lei si intrecciarono nelle sue, meccaniche, al di là del suo rossetto rosso curvato verso l'alto. Ciao, pensò. Non aveva mai sentito la necessità di salutare la Granger come in quel momento. E lei artigliò le unghie sul dorso della sua mano, decisa, mentre si accostava sensuale al suo corpo paralizzato. Gli sfiorò il collo con le labbra, gli sorrise, sbatté le ciglia e dondolò un po' sulle proprie gambe. Draco sentì la gola farsi arida, e lei continuava a tenergli la mano, a fissarlo. Non sembrava voler parlare; probabilmente non l'avrebbe fatto. Forse sapeva già di aver vinto la sfida. Di averlo messo nel sacco soltanto facendo la sua comparsa, le gambe, gli occhi, i fianchi, le labbra e via dicendo.
Draco si sentiva già in confusione, ed era lì con lei soltanto da mezzo minuto. Pensò che in quel momento non voleva essere da altre parti, che in quella visione ci avrebbe passato anche il resto della vita, se solo fosse stato possibile. Anche se lei non era altro che un'immagine, la fantasia erotica in cui ogni ragazzo si era rifugiato almeno una volta nella vita. Anche se lei non era la vera Hermione Granger. Lì dentro si sentiva al sicuro, si sentiva vivo e libero come mai era stato. Stava bene.
E quando lei si sporse, piano, fino ad incontrare le sue labbra, Draco si dimenticò di tutto il resto. Riuscì a staccare gli occhi da lei, ma solo per poter immaginare qualcos'altro. Per poter baciare labbra senza rossetto, non così morbide, non così invitanti. Per poter toccare capelli crespi e arruffati e annodati, e sentire le gambe coperte da una gonna fastidiosa, e il seno ben celato da un maglione troppo largo. La immaginò furibonda, e la forzò ad esserlo, cercando la sua lingua con un certo vigore. Arrabbiata, lei, indisponente, lei, combattiva, lei.
E quella che gli rispose fu una bocca docile, ubbidiente, lasciva. Draco la strinse maggiormente a sé, le mani avvinghiate alle sue braccia, premendole così forte da poterle fare male. Ma nessuna protesta venne in risposta, né un gemito, o la più sottile resistenza. Fu un bacio arrabbiato, ma piatto, insoddisfacente. Era come gridare contro qualcuno che in risposta abbassava la testa. Draco la spinse via da sé, e rimase fermo a fissarla, a cercare di vedere davvero qualcosa di lei in quella bella faccia.
« Non ti ho fatto male, Mezzosangue? » sibilò.
La risposta fu un altro sorriso, l'ennesimo. La Granger lo guardava con occhi scintillanti di malizia, le dita già a sfiorargli le spalle, la schiena inarcata su di lui. Una bambola di pezza, pensò Draco. Nessun briciolo di emozione, o di sentimento. Di fronte a sé non aveva altro che un manichino creato su misura per compiacerlo. Non aveva in programma di arrabbiarsi con lui, o di essere violenta, o di parlare troppo, o di pensare.
Come aveva fatto a credere davvero che potesse essere lei? Hermione Granger non era mai stata più lontana da se stessa come in quel momento. Draco continuava a fissarla, immobile, sentendo il corpo della ragazza premergli addosso. Avrebbe solo voluto chiederle di smettere di sorridere, di guardarlo in quel modo così adorante e servile. Alzò le mani ad afferrarle i polsi e si ritrovò le sue labbra rosse a pochi centimetri, le ciglia lunghe e aperte come petali baciati dal sole. Non era lei, non veramente. Ma poteva essere un inizio, forse. Qualcosa che le somigliava, seppur vagamente, inconsciamente.
Aprì la bocca sulla sua e Draco sentì svanire la rabbia, la frustrazione. Poteva funzionare, per una volta. Una sola.
Si sentiva folle, avventato, maledettamente stupido. Ma di fronte a sé aveva una ragazza come le altre, ed era intrappolato in quel sogno. Per andarsene avrebbe dovuto desiderarlo davvero. Avvertire l'impulso esplodergli nel petto mischiato alla paura, al terrore.
E più continuava a baciarla, a lasciar scorrere le mani sul corpo che si vedeva offrire, meno avrebbe voluto staccarsi. Presto smise di pensare e si abbandonò a lei. Senza rendersene conto, senza realizzare completamente i propri movimenti. Forse aveva già cominciato a spogliarla. Forse stava disteso con lei sul pavimento, o magari erano ancora lì in piedi. Tutto aveva perso di consistenza, e lui era animato dal semplice desiderio di andare avanti, di lasciarsi trasportare. Non ricordava niente, non immaginava niente. Nemmeno apriva più gli occhi, tanto il sogno gli stava penetrando nelle ossa, demolendo una ad una ogni sua difesa. Il momento si trascinò per molto tempo, nell'aria fitta di sospiri e sprazzi di calore. Pelle, baci, mani, morsi, gambe. Una ciocca di capelli crespi che Draco aveva intrappolato nel pugno.
Quando si risvegliò, quelli che parvero molti anni dopo, si sorprese nel trovare la propria mano abbandonata sul cuscino e le dita ancora piegate.

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