I due giorni successivi li passai in giro per New York, evitando accuratamente di pensare, la mattina andavo a correre o visitavo i luoghi più famosi per poi arrivare la sera stanco morto. Furono giorni pessimi, l'incubo con Harry come protagonista continuava a tormentarmi e il mio stomaco ripudiava qualsiasi tipo di alimento. Ero uno zombie, mi reggevo in piedi per miracolo e tutto perché il senso di colpa mi stava attanagliando, tutto perché nonostante avessi promesso a mia madre di essere felice sabotavo la mia vita per paura.
Erano le nove di sera del ventisette dicembre quando arrivai all'aeroporto, essendo sabato, non c'era praticamente nessuno -"buongiorno Signor Tomlinson, già di ritorno?" -chiese la signora appostata al punto informazioni -"sì, il lavoro mi attende" -risposi accennando un sorrisetto -"beh allora spero che il viaggio vada bene, alla prossima" -la ringraziai e mi sedetti as aspettare la chiamata del volo.
Un'ora più tardi mi imbarcai sull'aereo privato, avevo insistito con mio padre per prendere un volo di linea ma aveva già acquistato un biglietto in prima classe. Odiavo questi privilegi, mi facevano sentire diverso, nonostante lavorassi sodo per guadagnare il ruolo di capo nella Tomlinson. "Signor Tomlinson, le porto qualcosa? Un bicchiere d'acqua? Qualcosa da mangiare?" -domandò una delle hostess sorridendomi cordialmente -"va benissimo un caffè, grazie mille" -borbottai sospirando leggermente, erano da oramai quattro giorni che andavo avanti bevendo caffè. Qualsiasi alimento ingerissi il mio corpo lo rimetteva, come se tutta l'ansia che provavo m'impedisse di mangiare...
L'hostess arrivò due minuti dopo con una tazza gigantesca di caffè fumante, la ringraziai e mi accoccolai meglio contro al sedile. Mi gustai la bevanda calda in tutta tranquillità, il volo era decisamente silenzioso: moltissimi passeggeri dormivano, altri leggevano, altri ancora guardavano i loro cellulari con le cuffie. Restai a guardare il paesaggio attraverso al finestrino, una coltre di nuvole bianche sembrava galleggiare nel cielo decisamente troppo chiaro.
Il volo durò sei ore, circa, varie volte il capitano prese parole per assicurarsi che tutti i passeggeri fossero a loro agio e puntualmente riceveva un coro di "sì", mi chiesi cosa si aspettava da un volo in prima classe. Quando l'aereo finalmente atterrò vidi l'aeroporto della mia città, mi diede un senso di sicurezza sapere di essere dai miei amici, ma una morsa allo stomaco mi fece pensare al fatto che non avevo idea se avrei rivisto Harry o se l'avrei perso per sempre. Per una stupida battuta...
Arrivai a casa che erano le cinque del mattino, ero talmente stanco che mi precipitai sul divano, buttandomici sopra a peso morto. Accesi la televisione e aspettai di crollare, cosa che ultimamente mi accadeva spessissimo, forse non ero più abituato a dormire da solo, forse era bastato quel ricciolino per farmi rimettere in sesto.
Ero in un corridoio bianco, la luce sembrava potermi soffocare, faceva freddo. Tanto freddo. Mi guardai intorno cercando qualcuno, solo dopo essermi voltato su me stesso notai un vetro che dava su una piccola stanza, era un ospedale. Quell'ospedale.
Corsi dentro alla stanza, mia madre era sdraiata sul letto -"mamma" -dissi sputando fuori tutta l'aria che avevano i miei polmoni -"ehi L-Lou" -la sua voce era flebile, mi avvicinai a lei tanto da sedermi sulla poltrona vicino al letto e prenderle la mano -"posso andare a chiamare un d-dottore" -dissi cercando di restare calmo -"n-non serve amore, non p-può cambiare q-quello che sta p-per succedere" -sussurrò scuotendo lievemente la testa -"mamma, non dire così per favore, ti faremo portare a casa, va bene?" -mi passò una mano tremante sulla guancia, asciugandomi le lacrime -"L-Lou"."No mamma, n-non preoccuparti, riposati" -mormorai uscendo dalla stanza, raggiunsi velocemente la sala dei medici poco più avanti. Entrai: c'erano dottori e dottoresse con il camice bianco seduti ad un tavolo quadrato -"possiamo aiutarti?" -chiese un ragazzo giovanissimo, aveva due occhi azzurri, capelli lisci e corti. Era molto più alto di me e aveva un' aria gentile -"m-mia mamma" -provai a parlare ma un allarme proveniente dal cercapersone dei medici mi fermò -"la signora Johannah è in codice rosso, mi serve un cardiochirurgo, un defibrillatore e le infermiere" -disse una donnetta bassa, scattando verso il corridoio.
"M-mamma" -sussurrai tremando -"vieni con me, andrà tutto bene" -rispose il ragazzo prendendomi per mano e scortandomi fino ad una stanza del corridoio -"andrà tutto bene, ok? Respira" -mormorò il ragazzo facendomi sedere su uno dei lettini bianchi dell'ospedale -"io sono Thomas, come ti chiami?" -domandò preoccupato, forse era non era da tutti i giorni trovare un ragazzino di quindici anni piangere e girare per l'ospedale -"L-Louis" -singhiozzai cercando di asciugarmi le guance -"bene Louis, ora puoi provare a calmarti? Puoi farlo per me?" -chiese posandomi una mano sulla coscia e una sulla spalla -"n-no, lei sta m-morendo, l-lei forse è m-morta" -singhiozzai scuotendo la testa animatamente.
"No Louis, andrà tutto bene ma devi respirare. Devi farlo per tua mamma" -insistette cercando di farmi ragionare, come potevo anche solo pensare di calmarmi se mia madre, la donna più importante della mia vita, stava per abbandonarmi?
"Non posso" -singhiozzai più forte -"vieni qua dai" -Thomas si avvicinò a me e mi strinse in un abbraccio -"n-non voglio perderla, n-non p-posso, è la m-mia mamma" -oramai ero un disastro, non riuscivo a fermare i singhiozzi, le lacrime mi bagnavano l'orlo della maglietta -"lo so Louis, andrà tutto per il meglio, fidati di me. Te lo prometto"."P-posso portarla a casa?" -chiesi tra le lacrime -"chiederò ai medici, okay? Ora riposati" -disse allontanandosi da me per prendere una coperta dal carrello dei farmaci -"no, devo andare da lei" -mi misi in piedi -"fermo! Ehi!" -Thomas accorse e mi prese per un braccio -"ti dimostro che sta bene okay? Guarda il mio cercapersone: hanno risolto tutto, i cardiochirurghi se ne sono occupati e ciò vuol dire che adesso starà riposando, sotto l'effetto degli antidolorifici" -mi rassicurò -"n-non ti credo" -forse gli sembrai un po' ipocrita ma il punto era che non sapevo come stesse mia madre.
"Allora andiamo da lei, ma dopo devi promettermi che torneremo qui e dormirai" -sorrise dolcemente -"promesso" -mi prese per un braccio e mi trascinò fino al fondo del corridoio, nella stanza 140. Guardai mia madre dormire, aveva un'espressione tranquilla, quasi rilassata. L'elettrocardiogramma segnava il battito del suo cuore e la normalità mi fece spuntare un sorriso triste. "Andiamo?" -chiese Thomas al mio fianco -"sì" -"non c'è nessuno che possa portarti a casa?" -domandò l'uomo -"non p-può stare all'ospedale da sola, quando tornerà a casa ci andrò anche io" -mormorai solennemente -"va bene, cercherò di farla dimettere sta sera, ora seguimi e ti porto a riposare" -borbottò Thomas tranquillamente -"grazie" -tornammo nella stanza di prima...
Thomas mi fece sdraiare sul letto, coprendomi con una trapunta azzurra -"da quanto tempo non dormi?" -mi chiese sedendosi al mio fianco -"d-due giorni, c-credo" -mormorai abbastanza confuso -"non va bene Louis, devi riposare se vuoi avere forze" -mi rimproverò gentilmente -"lo so, ma papà è in viaggio e le mie sorelle sono piccole, mamma ha solo me" -ed era questo a fare male, sapere di dover essere forte per tutti. "Riposati, okay?Quando si sveglierà te la farò vedere" -sorrise scompigliandomi i capelli -"grazie Tom" -sussurrai sbadigliando -"non capisco come tu faccia ad avere quindici anni, sembri un bambino" -scoppiai a ridere -"smettila! Sei tu che sei alto!" -risposi -"e come mai parti dal presupposto che sembri piccolo per la tua altezza?" -ribatté sedendosi sulla poltrona vicino alla porta.
"Oh fanculo!" -sbuffai ridendo -"ecco, ora sembri proprio un adolescente" -ridacchiò -"e tu un medico rompi coglioni" -oramai le mostre risate si udivano in tutta la stanza -"touché" -mormorò fingendo di pugnalarsi all'altezza del cuore -"dai, dormi ragazzino" -mi voltai verso l'altro lato e chiusi gli occhi...
Mi svegliai di soprassalto, tutto sudato e con le lacrime agli occhi, mi alzai e guardai il telefono: le nove del mattino. Non riuscivo a credere che un altro incubo mi tormentasse, il mio cellulare squillò -"pronto?" -chiesi ancora mezzo addormentato -"sei tornato, vero?" -chiese la vice di Zayn -"sì, sono a casa, mi sono appena svegliato" -dissi tranquillamente -"apri la porta" -sbuffando mi diressi verso l'ingresso, dopo aver lanciato il telefono sul divano.
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𝓂𝒶𝓎𝒷𝑒 𝓌𝑒 𝒻𝑒𝓁𝓁 𝒾𝓃 𝓁𝑜𝓋𝑒
FanficLouis Tomlinson, erede di una delle associazioni più importanti del mondo: la Tomlinson corporation, è un ragazzo con molti problemi. Un passato difficile e un presente composto da donne e alcol. La solitudine, però, colpisce tutti. Anche i più pote...