Capitolo 14

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"Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare."

-Frida Kahlo

Come al solito l'unico modo che ho per sfogarmi è colpire il sacco davanti a me.

I pugni entrano in collisione con la pelle, e affondano con così tanta forza che il sacco oscilla ripetutamente, senza darmi la possibilità di assestare colpi precisi.

All'ennesimo tiro sbagliato, digrigno i denti per non urlare ed esco dalla stanza per dirigermi nella palestra di Alex.

Inizio a colpire il suo sacco, nettamente più pensante del mio ed incatenato a terra, riuscendo finalmente a sfogare tutta la rabbia repressa, finché non mi accascio stanca morta al muro dietro di me.

Cerco di regolarizzare il respiro, noto solo ora il dolore persistente alla gamba, a cui non avevo fatto caso prima, talmente presa dai miei dolorosi pensieri che non posso condividere con nessuno.

Torno in camera per fare una doccia, spogliandomi noto il sangue rappreso sulla ferita, da cui sono saltati tre punti.

Entro in doccia non badando al bruciore della zona ferita e dopo venti minuti buoni esco.

Infilo una tuta grigia per evitare il contatto con la ferita e un top a canottiera nero.

Mi dirigo al piano di sotto per cercare qualcosa con cui medicarmi.

Dopo ben dieci minuti non ho trovato nulla a parte delle garze e del disinfettante. Dovrò accontentarmi di questo...

Non ho intenzione di chiamare qualcuno per farmi aiutare.

Appena uscita dallo sgabuzzino sento la porta sbattere e due voci ridere tra loro.

Mi affaccio alla fine del corridoio a passo felpato cercando di non farmi vedere da mio fratello ed il suo amico stronzo.

Maledizione.

Proprio adesso dovevano apparire?!

Li scorgo andare in cucina, mio fratello apre il frigo per prendere due birre mentre Dylan si siede su uno degli sgabelli dell'isola della cucina.

Sento dei leggeri passi dietro di me, mi volto scorgendo la domestica.

<<Signorina le serve una mano?>> Mi domanda a voce abbastanza alta da attirare due sguardi.

<<No>> Rispondo di getto sorpassandola per dirigermi verso l'ascensore.

Incrocio gli occhi di mio fratello che si sposta sugli oggetti che ho in mano, premo il pulsante e le porte si aprono.

<<A che ti servono?>> Domanda apprensivo, ma evito di rispondergli ed entro facendo chiudere le porte dietro di me, prima che incominci a comportarsi da mamma chioccia.

Esco dall'ascensore sentendo dei passi per le scale, entro in camera e sbatto la porta dietro di me per marcare che non voglio essere disturbata.

Mi siedo sul letto abbassando la tuta.
Solo ora noto che la ferita ha ripreso a sanguinare e si sono macchiati anche i pantaloni.

Tampono con del cotone imbevuto di disinfettante la ferita da cui continua ad uscire sangue dato anche gli altri punti di sono allentati.

Proprio in quel momento la porta si apre rivelando la figura di mio fratello, con Dylan dietro di lui.

<<Ma che cazzo Sayah.>> Si avvicina in fretta e si china per esaminare la ferita.

<<Nessuno ti ha dato il permesso di entrare.>> Ribatto con tono arrogante per esprimere il mio dissenso.

<< Dylan prendi ago e filo nella sezione infermieristica della sala di addestramento.>> Lui annuisce e sparisce dalla soglia.

Mi prende delicatamente la coscia ed inizia lui ad occuparsi della ferita.

Uno sbuffo esce dalle mie labbra. <<Ho già guardato io e non ci sono.>> Lo informo guardando altrove.

<<Ci devono essere per forza.>> Risponde lui.

<<Guardami.>> Sospira.

Alzo gli occhi al cielo e lo guardo indifferente.

<<Io sono qui Sayah, sono qui per te, il nonno è qui per te, siamo la tua famiglia, siamo qui per aiutarti e sostenerti. Devi capirlo. Ti devi fidare di noi. Quando ti renderai conto che non siamo una minaccia?>> Domanda con tono sconfitto.

Lo so che non siete una minaccia, ma non posso lasciare che il mio dolore inondi di oscurità le vostre vite...
È proprio per questo che vi lascio fuori da tutto.

La mia mente pensa ciò che non riesco a dire.

Fortunatamente l'arrivo di Dylan interrompe il momento e mio fratello si allontana per farlo avvicinare.

Metto le braccia conserte mentre si sistema davanti a me.

<<Ti ricucirà lui i punti, era medico nell'esercito, se la cava piuttosto bene.>>

Rimango indifferente dato che lo sapevo già.

Ovviamente mi sono informata su di lui, scoprendo poco e niente.

I suoi genitori sono morti in un incidente stradale quando aveva nove anni, è passato da un orfanotrofio all'altro per poi entrare nella marina militare.

La sua vita sentimentale è sempre stata molto attiva ma non ha mai avuto legami di alcun tipo.

In pratica niente, come se la sua vera vita fosse invisibile ai miei occhi.

Sono sicura che c'è dell'altro sotto e stanne certo Dylan Johnson che lo scoprirò.

Assottiglio lo sguardo e mi irrigidisco quando mi afferra rudemente la coscia e si avvicina per esaminare la ferita.

Il suo sguardo è privo di espressione.

Vedo che fa per prendere una siringa che ha portato con lui, ma lo fermo prima che possa farlo.

<<Non serve l'anestesia, fallo e basta.>> Lui non dice niente e dopo avermi fissato per qualche secondo, in cerca di esitazione nel mio sguardo, si mette al lavoro.

>> Lui non dice niente e dopo avermi fissato per qualche secondo, in cerca di esitazione nel mio sguardo, si mette al lavoro

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Spazio autrice

Sayah ha molto dolore dentro di lei, deve pur trovare un modo per sfogarsi, annega quindi nel dolore fisico per sfuggire a quello mentale, e allontana sempre le persone che la vogliono aiutare.

Appoggiate il suo atteggiamento?

Sappiamo realmente chi è Dylan Johnson?

Fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo con una stellina o un commento 💚

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