34° capitolo

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Mi misi a sedere sul letto. Ero rimasta a dormire dalla mia migliore amica e, per una frazione di secondo, avevo persino creduto che gli avvenimenti della sera precedente non fossero stati altro che un brutto sogno.

Poi però, tornai alla realtà.

Afferrai il telefono, certa che accendendolo vi avrei trovato delle telefonate di Lorenzo, dei messaggi in cui mi chiedeva scusa, in cui mi diceva che aveva sbagliato, che non pensava le cose che aveva detto.

Nulla.

Non una telefonata, non un messaggio. Niente di niente.

Mi sforzai di trattenere le lacrime: avevo già pianto abbastanza, e il gonfiore dei miei occhi lo dimostrava.

Mi alzai dal letto. Nella stanza accanto alla camera in cui avevo dormito trovai Alessandra, la mia migliore amica, intenta a cucinare qualcosa ai fornelli.

"Che fai?", le chiesi, a mo' di buongiorno.

"Ehi, ho pensato di cucinare qualcosa per pranzo dato che ci sei anche tu"

"Ma che ore sono?"

"Le undici", mi disse ridendo, poi abbandonò la forchetta che teneva in mano e corse verso di me per abbracciarmi.

"Come stai?"

"meglio"

Era una bugia. Non mi ero mai sentita peggio in tutta la mia vita. Ma non avrei ceduto, non avrei scritto a Lorenzo, non sarei andata a casa sua: era lui che mi aveva insultata, lui aveva torto, lui doveva tornare da me, non io.

"Vado subito a prenderti del caffè qua sotto", mi disse Alessandra spegnendo il gas sotto alla pentola.

"Non serve Ale, me lo faccio io"

"Ma il tuo è schifoso, lo sai", mi disse ridendo.

Risi. Mi era mancato un po' vivere con lei e con quella sua schietta sincerità. Mi mancavano le nostre serate in cui cantavamo a squarciagola dal divano del nostro appartamento, rompendo le scatole ai vicini che tentavano di dormire.


Trascorsi l'intera mattinata con lei, cercando di convincere più che altro me stessa che tutto sarebbe tornato a posto nel giro di qualche giorno al massimo.

Restare in compagnia mi fu indispensabile per cercare di svagare la mente. Per quanto cercassi di pensare ad altro però, avevo sempre un occhio puntato verso il telefono per captare qualsiasi messaggio o telefonata, ma nulla. A parte qualche messaggio dalle mie amiche o dai miei genitori, che naturalmente erano allo scuro di tutto e lo sarebbero rimasti, nulla.


Dopo pranzo decisi di andare a fare una passeggiata in giro per Milano, da sola. Avevo bisogno di pensare.

Incredibile quanti chilometri riuscii a fare senza accorgermene: andai da una parte all'altra della città camminando, senza mai fermarmi.

A forza di pensare giunsi ad una conclusione: c'era una sola persona con cui avrei potuto parlare in quel momento, e quella persona era Federico.

Afferrai il cellulare e gli telefonai.

"Pronto?", chiese.

"Fede ti devo parlare, è urgente"

"Ok. Sono a Milano. Ci vediamo tra mezz'ora in Piazza dei Mercanti, va bene?"

"Perfetto Fede"

"Ma è successo qualcosa?"

Riattaccai senza dirgli nulla. Non volevo parlargliene al telefono. Era una cosa troppo importante.


Mezz'ora dopo svoltai l'angolo per raggiungere piazza dei mercanti, e mi ritrovai davanti Federico.

Corsi subito ad abbracciarlo. Sentire la sua stretta, come quella si un fratello, mi aiutò tantissimo a mandar giù quel groppo alla gola che mi portavo dietro dalla sera prima.

"Cosa succede?", mi chiese poi, guardandomi negli occhi.

Distolsi lo sguardo. Nonostante il colore dei loro occhi fosse diverso, le loro espressioni erano le stesse. Non potevo guardarlo senza pensare a Lorenzo.

Gli raccontai tutto, nei minimi dettagli. Ad un tratto mi accorsi che stavo piangendo come una fontana, ma non me ne fregava nulla. Dovevo sfogarmi.

Federico rimase qualche istante in silenzio, probabilmente per riflettere su ciò che stava per dire, o per ciò che gli avevo detto. Mi dette il tempo di calmarmi, e di asciugare le lacrime.

"Tu sei come una sorella per me. Ti ho vista crescere. Quanto ti ho conosciuta avevi appena quindici anni, era un'adolescente piena di sogni, di ambizioni, e ora guardati qui: hai ventun anni e stai lavorando concretamente per costruire il futuro che avevi sempre sognato."

Restai in silenzio. Mi veniva da piangere. Troppi ricordi affioravano alla mente. Ero cambiata tantissimo in quegli anni, ma se lo avevo fatto era soprattutto grazie a Lorenzo, l'altra metà di me.

Federico proseguì: "Sarei pronto ad ammazzare chiunque ti facesse del male, e la cosa che odio di più è che sia stato proprio mio fratello a fartene. Non me lo sarei mai aspettato sinceramente"

"Nemmeno io Fede"

"devi essere forte. Lorenzo è immaturo, lo è sempre stato e continua ad esserlo. Speravo che il tuo incidente lo avesse fatto crescere, che lo spettro di una vita senza di te potesse farlo maturare"

"Anch'io lo credevo"

"Si renderà conto presto di quello che ha fatto, ma deve rendersene conto da solo"

"Mi aveva detto che mi avrebbe portata all'altare"

"E ti ci porterà, credimi"

Ci abbracciammo. Era il fratello che non avevo mai avuto, e per quanto le cose tra me e Lorenzo si fossero complicate, lui sarebbe sempre rimasto tale.


Tornai nell'appartamento della mia migliore amica.

"Ale posso prendere la macchina?"

"Sì certo, dove devi andare?"

"a casa"

"da Lorenzo?"

"No, a Conegliano"

Alessandra mi fissò interdetta, ma poi mi porse le chiavi della macchina.

"Stai attenta, è lunga la strada"

"Ti voglio bene Ale, grazie di tutto"

Mi abbracciò.


Lorenzo Chiesa || la prova che il destino esisteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora